mercoledì 24 agosto 2016

Tfr: come considerare il riscatto della laurea



Il riscatto della Laurea, ossia dei periodi di studi universitari, influisce sull'anzianità (nel senso che detti periodi vengono computati) e conseguentemente sul trattamento di fine rapporto.
La quota di Tfr, legata ai versamenti effettuati dal lavoratore per il riscatto suddetto, non deve essere sottratta dall'imponibile ai fini Irpef da versare sull'indennità di buonuscita (Tfr). Così ha disposto una sentenza della CTR (Commissione tributaria regionale) del Lazio, che si è espresso in seguito all'appello presentato dall'Agenzia delle Entrate contro un lavoratore che aveva ottenuto una sentenza favorevole in primo grado, ossia dalla Commissione tributaria provinciale.

Il riscatto della Laurea, ossia dei periodi di studi universitari, influisce sull'anzianità (nel senso che detti periodi vengono computati) e conseguentemente sul trattamento di fine rapporto,  cioè il versamento dei contributi per gli anni passati all'università in modo da avvicinare il momento della pensione. L’idea è rendere flessibile anche il riscatto: potendo scegliere non solo il numero degli anni da recuperare, cosa possibile già oggi. Ma anche la somma da versare e quindi l’effetto sull’assegno futuro. Perché una mossa del genere? Chi oggi è vicino dalla pensione e chiede il riscatto della laurea di solito si vede presentare un conto parecchio salato. E questo perché il calcolo viene fatto sulla base del suo stipendio attuale che, a fine carriera, tende a essere più alto. Chi chiede il conteggio, quindi, spesso rinuncia all'operazione e resta al lavoro fino alla scadenza naturale. Rendere flessibile il riscatto significa slegare la somma da pagare dallo stipendio attuale, considerarla un versamento volontario di contributi.


La quota di Tfr, legata ai versamenti effettuati dal lavoratore per il riscatto suddetto, non deve essere sottratta dall'imponibile ai fini Irpef da versare sull'indennità di buonuscita (Tfr). Così ha disposto una sentenza della CTR (Commissione tributaria regionale) del Lazio, che si è espresso in seguito all'appello presentato dall'Agenzia delle Entrate contro un lavoratore che aveva ottenuto una sentenza favorevole in primo grado, ossia dalla Commissione tributaria provinciale.

Di contrario avviso l’appellante. A suo avviso la parte dell’indennità di buonuscita corrispondente ai contributi volontari versati dal dipendente per il riscatto dei periodi di studi universitari andava invece sottoposta all'imposizione fiscale ordinaria.

La Ctr, con questa sentenza, accoglie le ragioni del fisco e rigetta l’istanza di rimborso.

Alla base della decisione non solo il dato normativo ma anche il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e costituzionale.

Ai sensi dell’articolo 2 della legge 482/1985 dall’imponibile ai fini dell’Irpef dovuta sull'indennità di buonuscita che è erogata al dipendente statale cessato dal servizio, non deve essere esclusa la quota di tale indennità correlata ai versamenti volontari effettuati dal dipendente per riscattare il periodo di studi universitari.

Come chiarito dalla Corte di cassazione (recentemente sentenza 8403/2013), la funzione dei versamenti contributivi volontari è funzionale al riconoscimento normativo di un’anzianità convenzionale, con il beneficio della valutazione di periodi altrimenti non valutabili.

In questa prospettiva, già la Corte costituzionale, con la sentenza 42/1992, aveva dichiarato la legittimità costituzionale (rispetto al principio di capacità contributiva di cui all’articolo 53 della Costituzione) dell’articolo 2 della legge 482/1985 nella parte in cui non prevede, per la quota di indennità di buonuscita relativa a servizi o periodi volontariamente riscattati dall'interessato, una detrazione dall’imponibile che tenesse conto dei contributi versati per esercitare il riscatto.

Questa quota non è correlata a un rapporto previdenziale automatico e ad un meccanismo contributivo, istituzionalmente e cumulativamente riferibile al datore e al prestatore di lavoro. Il riscatto è collegato ad una determinazione di volontà dell’interessato e i contributi relativi sono fissati senza riferimento al rischio concreto, non essendo rilevante al riguardo lo stato di salute del dipendente.

È dunque una fattispecie del tutto diversa da quella per la quale vi è il doveroso concorso al versamento contributivo del lavoratore e datore, in costanza di un rapporto di lavoro effettivo e stabile, che giustifica la flessione della base imponibile della indennità di buonuscita finale cui tali contribuzioni congiunte hanno dato vita.

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