martedì 28 novembre 2017

Lavoro: categorie protette, assunzioni obbligatorie e nominative per i disabili



La legge obbliga i datori di lavoro ad assumere una determinata quota di lavoratori iscritti alle categorie protette. Con questa legge lo Stato italiano ha voluto promuovere l'inserimento nel mondo lavorativo delle persone disabili e delle altre persone a cui la legge riconosce una condizione di svantaggio (es. cechi e sordi, invalidi di guerra, orfani ecc.).

La definizione “categorie protette” si riferisce in particolar modo a soggetti svantaggiati quali orfani, vedove e profughi. Quando invece ci si riferisce alle assunzioni obbligatorie, non è corretto fare riferimento esclusivamente alle categorie protette, poiché a queste si somma la categoria degli invalidi che, chiaramente, riguarda la maggior parte dei destinatari delle leggi a sostegno del lavoro dei disabili.

Quindi, alla luce della normativa vigente, i soggetti beneficiari delle disposizioni relative alle assunzioni obbligatorie sono le persone disoccupate e:

affette da minorazioni fisiche, psichiche e portatori di handicap intellettivo con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;

invalide del lavoro con grado di invalidità superiore al 33%;

cechi assoluti o con residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi, con even-tuale correzione (vedi la scheda su cecità e sordità civile);

sorde (vedi la scheda su cecità e sordità civile);

invalide di guerra, invalide civili di guerra e di servizio;

vedove/i di deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, orfani, profughi e vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

Le aziende potranno assumere tramite richiesta nominativa o convenzione. Vi è maggiore libertà nella scelta delle persone da avviare al collocamento obbligatorio.

Per i disabili esistono le assunzioni nominative. L'obiettivo legislativo è razionalizzare e semplificare la normativa sul collocamento dei disabili e di potenziare l'accompagnamento e il supporto della persona con disabilità al fine di facilitarne l'inserimento lavorativo.

I datori di lavoro potranno assolvere l'obbligo di avviamento al lavoro scegliendo tra la chiamata nominativa o la stipula di apposite convenzioni con i centri per l'impiego aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali.

Al datore viene anche riconosciuta la possibilità di far precedere la richiesta nominativa dalla richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità iscritte negli speciali elenchi tenuti dai centri per l’impiego che aderiscano alla specifica occasione di lavoro (sulla base delle qualifiche e secondo le modalità concordate dagli uffici con il datore di lavoro).

Oltre alla chiamata nominativa o per convenzione i datori potranno effettuare l'assunzione diretta di lavoratori in specifiche condizioni di difficoltà, riconoscendo altresì per tali datori di lavoro il diritto a fruire degli incentivi previsti. Nello specifico la chiamata diretta potrà essere effettuata nei confronti di persone con disabilità che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o minorazioni annoverate dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al D.P.R. 915/1978 o che abbiano una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% ed il 79% o minorazioni elencate dalla quarta alla sesta categoria di cui alle tabelle citate, oppure lavoratori con disabilità intellettiva e psicofisica e con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% per un periodo di 60 mesi.

Solo in caso di mancata assunzione secondo le richiamate modalità entro 60 giorni dal momento in cui sorge l’obbligo di assunzione, scatta l’obbligo, per gli uffici competenti, di avviare o i lavoratori secondo l'ordine di graduatoria per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata con il datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili. Gli uffici possono altresì procedere anche previa chiamata con avviso pubblico e con graduatoria limitata a coloro che aderiscono alla specifica occasione di lavoro).

Lo scopo del legge è quello di semplificare la normativa che regola il collocamento dei disabili per facilitarne l’inserimento lavorativo. Il decreto, dal punto di vista delle aziende, lascia una maggior libertà ai datori di lavoro nella scelta dei dipendenti da avviare all’attività. Essi potranno, infatti, scegliere tra la chiamata nominativa e la stipula di convenzioni con i centri dell’impiego mirate al raggiungimento degli obiettivi occupazionali.

Alla richiesta nominativa il datore di lavoro può far precedere la richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità che aderiscano a quella specifica richiesta di lavoro. Ai datori di lavoro resta anche la scelta dell’assunzione diretta dei lavoratori con disabilità usufruendo comunque degli incentivi previsti.

L’assunzione diretta si potrà effettuare nei confronti di persone con una disabilità fisica superiore al 79% o una ridotta capacità lavorativa compresa tra il 67 e il 79%, oppure, ancora, lavoratori con disabilità psicofisica superiore al 45%.

I datori di lavoro, sia pubblici e sia privati, sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie descritte nel precedente paragrafo nella misura di:

sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;

due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;

un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.

Per la definizione della base di calcolo, bisogna includere nel computo tutti i lavoratori assunti con vincolo di subordinazione (tranne quelli già assunti con collocamento obbligatorio), i soci di cooperative di produzione e lavoro, i dirigenti, i contratti di inserimento, i lavoratori sommini-strati presso l’utilizzatore, i lavoratori assunti per attività all’estero, i lavoratori socialmente utili (LSU), i lavoratori a domicilio e gli apprendisti.  Bisogna conteggiare anche gli assunti con contratto a tempo determinato fino a 9 mesi.

I datori di lavoro privati che hanno diverse unità produttive sul territorio, possono essere autorizzati dal Servizio provinciale del lavoro (della provincia in cui si ha la sede legale), ad assumere in una unità un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità. La richiesta deve essere motivata, e se le unità sono ubicate in regioni diverse, l’autorizzazione deve essere rilasciata dal Ministero del Lavoro.


lunedì 27 novembre 2017

Bonus assunzioni 2018: incentivi per assumere gli under 32



Vediamo in dettaglio le diverse misure.

Sgravio contributivo quinquennale per imprenditori agricoli under 40 che si iscrivano per la prima volta alla gestione IVS.


La decontribuzione è totale per 36 mesi, ferma restando l'aliquota di calcolo ai fini pensionistici. Lo sgravio scende poi al 66%  nel 4° anno e al 50% nel 5° anno. La misura è soggetta alla normativa comunitaria  "de minimi"sugli aiuti di stato.

Sgravi contributivi per assunzioni nel settore privato

Allo sgravio contributivo dei lavoratori autonomi in agricoltura,  nel ddl bilancio 2018, si aggiungono le altre misure di incentivo  per  i datori di lavoro privati in caso di assunzioni di giovani :
sgravio contributivo del 50% per i primi tre anni di contratto a tutele crescenti, con un tetto massimo annuale Nel 2018 sono compresi i soggetti  under 35 anni ;  nel 2019 e 2010 la soglia si abbassa a 30 anni (non compiuti)

L’incentivo si applica per:
• assunzioni ex novo
• prosecuzione di contratti di apprendistato un periodo massimo di 12 mesi
• conversione di contratto a termine con durata di 36 mesi

n.b. E' prevista la portabilità dello sgravio , nel senso che se il contratto si interrompe prima che siano stati fruiti tutti  i 36 mesi con decontribuzione al 50% , le mensilità residue possono esserre utilizzate anche da un altro datore di lavoro che assuma  nuovamente lo stesso lavoratore. In questo caso non è nemmeno piu richiesto il requisito anagrafico.


Sgravio del 100% per le stesse categorie  e anche per gli over 35  (se disoccupati da piu di sei mesi)  nelle otto regioni meridionali (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna) per una durata di 12 mesi.

Sgravio del 100%  alle aziende che assumono  i ragazzi che hanno ospitato per alternanza scuola lavoro per almeno il 30% del totale delle ore previste, o  per periodi di apprendistato di primo o di terzo livello .


Questi esoneri dal versamento dei contributi previdenziali  non sono applicabili ai rapporti di lavoro domestico e non sono cumulabili con altri  sgravi contributivi, limitatamente al periodo di applicazione degli stessi. Va specificato anche che in tutti i casi sopracitati lo sgravio non riguarda i versamenti per assicurazione INAIL.

La relazione tecnica del Governo stima  che le misure potranno portare un miglioramento dell'occupazione giovanile , in particolare :

350 mila nuovi contratti a tempo indeterminato nel 2018 per giovani sotto i 35 anni
trasformazione di 53mila contratti di apprendistato  e assunzione di 18.900  giovani post alternanza scuola lavoro

COS’E’ IL BONUS LAVORO?
L’Incentivo Occupazione Giovani è una misura introdotta in Italia per favorire l’inserimento lavorativodei giovani, nell’ambito di Garanzia Giovani, ovvero il piano europeo per combattere la disoccupazione giovanile. Si tratta di una agevolazione rivolta alle aziende che assumono ragazzi iscritti al programma, mediante una diminuzione del costo del lavoro.
Cosa significa? Che i datori di lavoro possono usufruire di una riduzione dei contributi previdenzialiche, per legge, devono versare a favore dei lavoratori assunti. L’agevolazione viene erogata in 12 rate mensili e può essere concessa fino ad un massimo di 8.060 Euro l’anno.
Attualmente è in vigore il Bonus 2017, la cui attuazione è disciplinata dal Decreto Direttoriale n. 394 del 2 dicembre 2016 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rettificato dal Decreto Direttoriale n. 454 del 19 dicembre 2016. L’ente incaricato della gestione degli incentivi per il lavoro giovanile è l’Inps.

A CHI E’ RIVOLTO?
Il Bonus Lavoro Giovani può essere richiesto da tutti i datori di lavoro privati che assumono giovani che si registrano al ‘Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani’.

Dunque le aziende possono beneficiare degli aiuti solo se assumono i cosiddetti NEET – Not (engaged in) Education, Employment or Training, ovvero ragazzi disoccupati che non sono inseriti in percorsi di studio o formazione. I nuovi assunti, inoltre, devono avere una età compresa tra i 16 e i 29 anni.

QUALI RAPPORTI DI LAVORO POSSONO ESSERE INCENTIVATI?
Le agevolazioni attualmente in vigore possono essere concesse per le assunzioni effettuate mediante una delle seguenti forme contrattuali:

contratto a tempo determinato, anche di somministrazione lavoro, di durata pari o superiore a 6 mesi;

contratto a tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione;

contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, ad eccezione di quello per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, e per quello di alta formazione e di ricerca.

Non sono ammessi alle agevolazioni i contratti di lavoro domestico, accessorio e intermittente. Gli aiuti possono essere riconosciuti, invece, anche per i rapporti di lavoro subordinato instaurati in attuazione del vincolo associativo con una cooperativa di lavoro.

QUALI SONO GLI AIUTI PREVISTI?
L’Incentivo Occupazione Giovani 2017 prevede una riduzione dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro per i seguenti importi, a seconda del tipo di assunzione effettuato:

50% della contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, fino ad un massimo di 4.030 Euro annui, per ciascun lavoratore assunto con contratto a tempo determinato, ad esclusione di premi e contributi dovuti all’INAIL;

intera contribuzione previdenziale a carico dei datori di lavoro, fino ad un massimo di 8.060 Euro annui, per ciascun lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato o di apprendistato, esclusi i premi e contributi dovuti all’INAIL.

COSA CAMBIERA’ NEL 2018?
A partire dal prossimo anno il pacchetto di incentivi per l’occupazione giovanile sarà sostituito dal nuovo Bonus Lavoro Giovani 2018 si prevede, tra le varie misure, uno sgravio fiscale per i datori di lavoro privati che assumono giovani con contratti a tutele crescenti.

Lavoro e giovani, appuntamento tra un mese. Entro il 20 settembre sarà infatti presentato il documento di Economia e Finanza nel quale ci sarà un'attenzione particolare agli incentivi per l'assunzione di under 32.

ONERI CONTRIBUTIVI - "La mia idea - ha detto il viceministro a fine luglio - è che per ogni giovane che viene assunto occorre prevedere per i primi due anni una fiscalizzazione degli oneri contributivi dell'ordine del 50%. Passati i due anni, in capo a quel giovane deve rimanere una riduzione strutturale dei contributi di 4 punti percentuali da dividere al 50% tra impresa e lavoratore".

ASSUNZIONI GIOVANI - Anche il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, commentando lo scorso 16 agosto i dati preliminari del Pil diffusi dall'Istat, ha evidenziato che la strategia del governo per la manovra sarà concentrare le risorse sui giovani e confermare le agevolazioni agli investimenti.

AGEVOLAZIONI - Le risorse di cui si dispone, ha spiegato, "dovremmo concentrarle su misure per incentivare le assunzioni dei giovani che cercano lavoro, per confermare le agevolazioni a sostegno degli investimenti privati, per proseguire nel sostegno agli investimenti pubblici e per potenziare gli strumenti contro la povertà".

BENEFICI IMPRESE - Pochi giorni fa il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, ha fatto sapere che la misura degli incentivi in arrivo, "entro il 20 settembre", con "una attenzione particolare" per "l'assunzione di giovani under 32" è una misura che "ci trova d'accordo, ma a due condizioni: che i benefici vadano esclusivamente alle imprese che assumono a tempo indeterminato e non a termine; che si tratti di una misura strutturale".

SGRAVI MA... - Per il segretario di Scelta Civica, Enrico Zanetti, "se dall'anno prossimo verranno introdotti sgravi contributivi a favore dei giovani, sarà importante prevedere una norma che escluda la spettanza di questo beneficio per i datori di lavoro che, parallelamente alle nuove assunzioni agevolate, procedessero a cessazioni di contratti già in essere con altri lavoratori assunti con le vecchie agevolazioni che terminano quest'anno".

giovedì 23 novembre 2017

Stipendio in contanti forse un ricordo


Il datore di lavoro non potrà più pagare in contanti dipendenti e collaboratori, lo stipendio deve essere sempre tracciabile tramite bonifico, assegno o sportello bancario o postale.

Divieto di pagare lo stipendio in contanti per qualsiasi tipologia di rapporto (dipendente, collaboratori) e datore di lavoro: se l’impresa vuole versare la retribuzione in moneta sonante dovrà al massimo agire al massimo per il tramite di uno sportello bancario o postale; sono previste alcune esclusioni come il lavoro domestico, ma per tutte le altre formule di lavoro privato dovrà essere garantita la tracciabilità del pagamento.

Lo stipendio potrà essere accreditato unicamente secondo le seguenti modalità:

bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;

pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale indicato dal datore di lavoro;

emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, purché di età non inferiore a sedici anni.

La legge è pensata per evitare comportamenti scorretti, come il pagamento di stipendi inferiori a quelli previsti dai contratti nazionali o da quelli indicati in busta paga. Con il pagamento tracciabile, il datore di lavoro non potrà più versare una somma diversa da quella dichiarata.

In base alla legge (che per ora non è ancora stata approvata definitivamente), il pagamento della retribuzione potrà avvenire esclusivamente tramite bonifico, con assegno, o in contanti ma soltanto attraverso uno sportello bancario o postale. In quest’ultimo caso, il datore di lavoro deve comunicare al centro per l’impiego gli estremi della banca o dell’ufficio postale attraverso il quale vengono effettuati i pagamenti di stipendio, dandone notifica qualora si cambi lo sportello di riferimento.

In tutto questo, la firma della busta paga da parte del lavoratore non costituirà più prova del pagamento ella retribuzione.

La legge è molto chiara nel definire in modo chiaro le modalità di pagamento dello stipendio: "I datori di lavoro o committenti corrispondono la retribuzione ai lavoratori, nonché ogni anticipo di essa, attraverso un istituto bancario o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi

a) accredito diretto sul conto corrente del lavoratore;

b) pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale;

c) emissione di un assegno da parte dell’istituto bancario o dell’ufficio postale consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato", si legge nella norma.

Le norme non si applicano ai datori di lavoro non titolari di partita Iva e ai rapporti di lavoro domestico.

Poi vengono definite regole precise per i datori di lavoro: "Non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di assegni o di somme contanti di denaro, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato". Le sanzioni di fatto ammontano da 5mila a 50 mila euro.. Se invece l’impresa effettua i pagamenti attraverso uno sportello bancario o postale ma non ne comunica gli estremi ai centri per l’impiego, scatta una sanzione di 500 euro.

Una volta approvata in via definita la legge entrerà in vigore dopo 180 giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale.

È giusto combattere evasione fiscale e corruzione, ma sorgono dubbi sulle modalità; resta infatti da capire se sia eticamente corretto che lo Stato obblighi per legge i propri cittadini ad avere un conto corrente presso istituti privati, senza prevedere tutele come l’azzeramento delle commissioni bancarie per determinate operazioni ed ancor più la garanzia dei soldi dei correntisti in caso di fallimento della banca.




martedì 21 novembre 2017

Lavoro. Whistleblowing è legge: tutelato il dipendente che denuncia illeciti



La legge sul whistleblowing, che reca disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato, contiene numerose e importanti novità.

Soffiatore di fischietto, in inglese 'whistleblower', detto anche impropriamente gola profonda (deep throat), identifica un individuo che denuncia pubblicamente o riferisca alle autorità attività illecite o fraudolente. E' il protagonista della nuova legge, ovvero è un lavoratore che, nello svolgimento delle proprie mansioni in amministrazioni pubbliche o in un'azienda privata, si accorge di una frode, un rischio o una situazione di pericolo, che possa arrecare un danno e lo segnala.

Quindi il cosiddetto whistleblowing è la segnalazione di attività illecite da parte del dipendente che ne sia venuto a conoscenza per ragioni di lavoro ed  è uno strumento legale usato per segnalare all'autorità giudiziaria, alla Corte dei conti, all'Autorità nazionale anticorruzione o al responsabile nella propria azienda di un eventuale pericolo sul posto di lavoro, frode, danno ambientale, false comunicazioni sociali, illecite operazioni finanziarie, casi di corruzione, concussione o negligenza medica.

Dopo la segnalazione il lavoratore non potrà essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, sottoposto ad altre misure di ritorsione e sarà vietato rivelarne l'identità. Si prevede il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento e la nullità di ogni atto discriminatorio o ritorsivo. L'onere della prova è invertito. Spetterà cioè al datore di lavoro dimostrare che le misure sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione del dipendente.

L'eventuale adozione di misure discriminatorie va comunicata dall'interessato o dai sindacati all'Anac che a sua volta ne dà comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica e agli altri organismi di garanzia. In questi casi l’Anac può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del responsabile da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità. Inoltre, l’Anac applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile che non svolga le attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute. La misura della sanzione tiene conto delle dimensioni dell'amministrazione.

Spetta poi all'amministrazione l’onere di provare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente comunque sono nulli. Il segnalante licenziato ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno. Le tutele invece non sono garantite nel caso in cui, anche con sentenza di primo grado, sia stata accertata la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque reati commessi con la denuncia del medesimo segnalante ovvero la sua responsabilità civile, nei casi di dolo o colpa grave.

La nuova legge impone ai datori di lavoro di integrare e modificare i modelli organizzativi predisposti, ovvero dovranno individuare uno o più canali (di cui almeno uno di natura informatica) che consentano ai dipendenti di presentare, a tutela dell'integrità della società, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte.

Ogni tutela salta nel caso di condanna del segnalante in sede penale (anche in primo grado) per calunnia, diffamazione o altri reati commessi con la denuncia o quando sia accertata la sua responsabilità civile per dolo o colpa grave.



mercoledì 15 novembre 2017

Pensioni: vecchiaia o anticipata con decorrenza dal 2019



L'innalzamento delle aspettative di vita riguarda il requisito di accesso alla pensione, non la decorrenza del trattamento, tuttavia è necessario presentare domanda entro il 2018 per gli aventi diritto con le attuali regole altrimenti si rischia lo slittamento di cinque mesi previsto dal 2019. Quindi, i cinque mesi in più che scatteranno nel 2019 riguardano esclusivamente coloro che maturano il requisito per la pensione di vecchiaia o anticipata successivamente al primo gennaio 2019.

Tutte le procedure burocratiche fra la fine della mobilità e l’inizio del trattamento previdenziale vanno fatte entro il 31 dicembre 2018, altrimenti rischia di attendere cinque mesi in più in virtù dello scatto 2019.

L’innalzamento delle aspettative di vita pari a cinque mesi (decreto attuativo entro fine anno 2017) porterà a 67 anni il requisito per la pensione di vecchiaia dal primo gennaio 2019. Chi maturerà il requisito entro il 31 dicembre 2018 non è interessato da questo scatto. Nel suo caso, quindi, il diritto a pensione cade nel 2018 e di conseguenza avrà diritto a ritirarsi in base all’età pensionabile 2018, ovvero 66 anni e sette mesi.

L’età per la pensione di vecchiaia nel 2019 salirà a 67 anni, mentre per la pensione anticipata saranno necessari 43 anni e tre mesi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne: è la conseguenza dell’innalzamento dell’aspettativa di vita di cinque mesi confermata dall’ISTAT. A 65 anni, si legge nel report ISTAT arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013. Risultato, ci sarà il conseguente scatto di aumento dei requisiti per andare in pensione, previsto per il 2019, pari appunto a cinque mesi. In realtà, per l’ufficialità, bisogna attendere il decreto con cui il Governo recepisce il dato misurato dall’istituto di statistica, che arriverà entro al fine dell’anno.

Con l'adeguamento dell'uscita della pensione di vecchiaia Inps all'età di 67 anni (e la pensione anticipata a 64 anni, i primi ad essere interessati saranno i nati nel 1952 e nel 1953. Infatti, se nel 2017 usciranno a 66,7 i nati entro fine maggio del '51 e nel 2018 i nati entro lo stesso mese del 1952, con gli aumenti del 2019 andranno in pensione i nati entro la fine del '52 e, nel 2020, i nati entro la fine del '53.

Tuttavia, gli aumenti dei requisiti anagrafici delle pensioni di vecchiaia avranno cadenza diversificata ogni due anni. Infatti, nel 2021 è previsto un successivo adeguamento dell'età della pensione di vecchiaia a 67 anni e tre mesi. Interessati, pertanto, a lasciare il lavoro per la pensione saranno i contribuenti nati entro fine settembre del '54 (per il 2021) ed entro la fine di settembre del '55 per l'anno successivo. Solo nel biennio 2023/24 l'età della pensione salirebbe di un mese, passando a 67,4: per il 2023 andranno in pensione i contribuenti con data di nascita non successiva all'agosto '56, mentre per il 2024 l'uscita sarebbe matura per le nascite fino ad agosto '57.

La pensione anticipata è una strumento previdenziale che sostituisce la pensione di anzianità. Si consente sostanzialmente al lavoratore che non ha raggiunto l'età per ottenere la pensione di vecchiaia, ma che ha versato un elevato numero di contributi di ottenere una pensione.
Ecco precisamente come cambia l’età pensionabile dal 2019:

pensione di vecchiaia: 67 anni per tutti (dipendenti, autonomi, uomini e donne). Attualmente il requisito è pari a 66 anni e sette mesi;

pensione anticipata: 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini (che attualmente vanno in pensione a 42 anni e dieci mesi), e 42 anni e tre mesi di contributi per le donne (che al momento si ritirano con 41 anni e dieci mesi);

pensione anticipata precoci: passa a 41 anni e cinque mesi di contributi. Attualmente il requisito è pari a 41 anni. Ricordiamo che è necessario possedere tutti gli altri requisiti per essere considerati lavoratori precoci, in base a quanto previsto dalla finanziaria dell’anno scorso;

assegno sociale: 67 anni (attualmente il requisito è a 65 anni e sette mesi, ma salirà di un anno nel 2018);

pensione lavoratori usuranti: requisito invariato, la finanziaria 2017 congela gli scatti alle aspettative di vita fino al 2026. Quindi, quota 97,6 per i lavoratori dipendenti, 98,6 per i lavoratori autonomi, da 98,6 a 100,6 per i lavoratori notturni.



domenica 12 novembre 2017

Scatto età pensionabile a 67 anni



E’ nella fase decisiva la trattativa Governo-sindacati sulle categoria di pensionati a cui riconoscere l’esenzione dagli aumenti dell’età pensionabile, che dal 2019 salirà di cinque mesi.

L'elenco comprende 11 categorie di lavori gravosi già previste per l'Ape social e pensione precoci, cui si aggiungono lavoratori agricoli, siderurgici, marittimi e pescatori, ovvero:

Secondo la classificazione Istat, gli operai dell'industria estrattiva si occupano, con strumenti e tecniche diverse, dell'estrazione e della lavorazione di pietre e minerali. Lo stesso gruppo comprende anche chi si occupa della costruzione, della rifinitura e della manutenzione di edifici e di opere pubbliche e del mantenimento del decoro architettonico.

conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni sono specializzati nella manovra e nella manutenzione delle macchine per il movimento terra e il sollevamento di materiali, utilizzate soprattutto nei lavori di scavo o di sterro nei cantieri edili e per le grandi infrastrutture;

conciatori di pelle e pellicce si occupano della prima lavorazione e rifinitura del cuoio, delle pelli e delle pellicce, che portano a diverso grado di rifinitura per la confezione di capi e complementi di abbigliamento e accessori;

macchinisti e personale viaggiante alla guida dei convogli ferroviari per il trasporto su rotaia di persone e merci. A questa categoria appartengono anche i lavoratori denominati “Personale viaggiante”, impegnate nei servizi ai viaggiatori a bordo e nei viaggi dei convogli ferroviari. Si tratta dei lavoratori facenti parte di un equipaggio che svolgono, a qualsiasi titolo, servizio o attività lavorativa a bordo di una nave adibita alla navigazione marittima;

camionisti gli autisti alla guida degli autotreni e dei mezzi pesanti utilizzati per il trasporto di merci e materiali. Sovrintendono anche alle operazioni di carico e di scarico;

infermieri ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni, si tratta degli infermieri professionali (operatori sanitari con diploma universitario abilitante e iscrizione all'Albo professionale) responsabili dell'assistenza sanitaria generale. La categoria comprende anche le ostetriche (operatori sanitari con diploma universitario abilitante e iscrizione all'Albo professionale che assiste le donne durante gravidanza e parto). Tra i requisiti della categoria il lavoro organizzato a turni ed svolto in strutture ospedaliere;

addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza lavoratori che assistono le persone anziane, in convalescenza, disabili, e non autosufficienti nelle istituzioni o a domicilio, presso le famiglie;

maestre d’asilo e di scuola materna, facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati gli insegnati e gli educatori della scuola pre-primaria (scuola dell'infanzia e asili nido). Si occupano di organizzare, progettare e realizzare attività didattiche per i bambini in età prescolare Facchini e addetti allo spostamento merci che si occupano delle operazioni di carico, scarico e movimentazione di merci e bagagli presso aeroporti, stazioni ferroviarie, porti e imprese, anche per conto dei clienti di alberghi e di altre strutture ricettive;

addetti ai servizi di pulizia che comprende il personale non qualificato che si occupa di mantenere puliti e in ordine gli ambienti di imprese, organizzazioni, enti pubblici ed esercizi commerciali.

addetti a servizi di pulizia, operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti, sono i lavoratori che provvedono alla raccolta dei rifiuti nelle strade, negli edifici, nelle industrie e nei luoghi pubblici. Si occupano anche del trasporto dei rifiuti presso le aree di smaltimento.

Nel settore agricolo, sono i lavoratori addetti alla coltivazione di fondi o allevamento di bestiame e per attività connesse a favore di una azienda agricola.

Il punto saliente è il seguente: dal 2019 salirà l’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni, e si innalza di cinque mesi anche il requisito per la pensione anticipata, che arriverà dunque a 43 anni e tre mesi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne.

Per il momento non c'è nessun rinvio (così come chiesto invece dai sindacati e da un fronte politico bipartisan), della decisione amministrativa per rendere operativo l'adeguamento a 67 anni, a partire dal 1° gennaio 2019, dei requisiti di pensionamento all'aspettativa di vita certificata dall'Istat. Comunque si sta cercando di rinviare di almeno sei mesi il decreto ministeriale direttoriale con cui entro il 31 dicembre di quest'anno dovrebbe essere dato formalmente il via all'aumento dei requisiti a partire dal 1° gennaio 2019.



martedì 7 novembre 2017

Busta paga: cos'è la retribuzione imponibile



La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente.

La retribuzione imponibile è per definizione la base per il calcolo delle trattenute che il datore di lavoro è tenuto ad operare periodicamente sulla busta paga dei lavoratori. Le tipologie principali di imponibile sono quello contributivo o previdenziale e quello fiscale o imponibile IRPEF, ma esistono molti altri imponibili, come per esempio l'imponibile cassa edile, l'imponibile INAIL, ecc.

Imponibile previdenziale

La retribuzione imponibile ai fini contributivi non può essere inferiore alla retribuzione contrattualmente dovuta e comunque ad un valore minimo calcolato annualmente per settore, detto minimale contributivo.

Gli importi dei minimali contributivi vengono calcolati e pubblicati dall'INPS ogni anno sulla base del trattamento minimo di pensione.

In pratica questo significa che se per caso la busta paga di un dipendente che lavora a tempo pieno fosse di € 1.000 (Mille Euro) per un mese intero, i contributi previdenziali (9,19%) devono essere calcolati su € 1.224 ( 47,07 x 26) anziché su € 1.000 perché scatta appunto il minimale. Può capitare che in un dato mese il dipendente sia assente per motivi vari e che i 1000 euro si riferiscano ad indennità o a integrazioni carico datore di lavoro in misura inferiore al 100% della normale retribuzione e non a retribuzione diretta per ore effettivamente lavorate.

Per verificare il rispetto della condizione richiesta occorre quindi riportare a giornata la retribuzione corrisposta nel periodo di paga dividendo il suo ammontare complessivo per le giornate retribuite nel periodo. Se il lavoratore è retribuito in misura fissa mensile ovvero ha ricevuto la retribuzione per tutte le giornate lavorative del mese, il divisore è 26. Non sono soggette ad applicazione del minimale le giornate di assenza per malattia, maternità o infortunio per le quali il datore di lavoro ha corrisposto a proprio carico ai lavoratori solo indennità integrative delle prestazioni previdenziali dovute a carico degli Enti previdenziali (in questo caso infatti il numero giorni minimale del mese in busta paga sarà inferiore a 26).

Il minimale per i lavoratori assunti con contratto a tempo parziale è calcolato in misura unica per tutti i settori; si ottiene moltiplicando l'importo stabilito in misura giornaliera per il numero di giornate di lavoro settimanali (6 giornate anche in caso di settimana corta) e dividendo il risultato per il numero di ore settimanali contrattualmente previste per i lavoratori a tempo pieno.

Per un settore con orario normale di 40 ore il minimale orario sarà quindi pari a € 47,07 X 6 : 40 = € 7,06

Per alcune categorie di lavoratori la retribuzione imponibile è determinata in misura convenzionale; non vengono quindi prese in considerazione le retribuzioni effettivamente corrisposte.

Rientrano in questa casistica le retribuzioni relative:

ai soci delle cooperative di produzione e lavoro;

ai lavoratori italiani o comunque appartenenti a Paesi comunitari, assunti sul territorio nazionale con contratto avente come oggetto esclusivo la prestazione in Paesi extracomunitari non convenzionati o parzialmente convenzionati. Le disposizioni trovano applicazione anche ai lavoratori italiani trasferiti o assunti direttamente nel Paese extracomunitario;

ai lavoratori che prestano attività all'estero per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di 12 mesi;

agli operai agricoli a tempo determinato; per questi lavoratori viene applicato il salario convenzionale determinato con decreto ministeriale, se superiore a quello spettante in applicazione della contrattazione collettiva a livello provinciale.

Imponibile contributivo nel settore edile

Nel settore edile la contribuzione è riferita ad una retribuzione convenzionale commisurata ad un numero di ore settimana non inferiore all'orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva di categoria e territoriale, con esclusione delle assenze per malattia, infortunio sciopero, cassa integrazione ed altri eventi indennizzati (maternità, congedo matrimoniale, donatori di sangue, ecc.), eventi per i quali il trattamento economico è assolto attraverso accantonamento presso le casse edili (ferie, riposi annui).

Nel caso di rapporto di lavoro iniziato o concluso nella settimana si fa riferimento all'orario di lavoro relativo alle giornate nelle quali il rapporto si è svolto.

Imponibile fiscale

L'imponibile fiscale è la base di calcolo dell'IRPEF, Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, ottenuta applicando aliquote diverse a scaglioni progressivi di reddito (o imponibile)

Un esempio di calcolo dell'IRPEF in busta paga lo trovate a questo indirizzo:

Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori (intendendo con tale espressione la quantificazione dei beni e dei servizi) che il dipendente percepisce nel periodo di riferimento, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Costituiscono reddito da lavoro dipendente, dunque, tutti gli elementi reddituali che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, le voci imponibili della retribuzione concorrono alla determinazione della base di calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e delle ritenute fiscali.

Sono esclusi dall'imponibile fiscale e contributivo:

le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi;

le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi, ivi compresi gli esercenti servizi pubblici (ad esempio, la società che gestisce il servizio pubblico urbano o extra-urbano del luogo in cui si trova l'azienda oppure il servizio taxi);

i compensi e le indennità che il lavoratore percepisce da terzi e che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro o che per legge devono essere riversati allo Stato;

le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni, nonché i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza che per legge debbono essere riversati allo Stato;

le somme erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la frequenza di asili nido, colonie climatiche da parte dei familiari, nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari; il corrispettivo dell'utilizzo delle opere e servizi per le finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, da parte dei dipendenti;

le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale, nei limiti indicati;

i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore per le trasferte nell'ambito comunale;

le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, nella misura del 50% del loro ammontare;

le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, nella misura del 50% del loro ammontare;

le indennità di trasferimento, di prima sistemazione e equipollenti, nella misura del 50% del loro ammontare. L'importo escluso da tassazione non può tuttavia superare un valore massimo.

Non costituiscono reddito imponibile le seguenti spese rimborsate:

spese di viaggio, anche per i familiari fiscalmente a carico, e di trasporto delle cose, strettamente collegate al trasferimenti (non vi rientrano i successivi viaggi che il dipendente nel corso dell'anno faccia, esempio, per visitare la famiglia che non si è trasferita con lui);

spese ed oneri sostenuti dal dipendente in qualità di conduttore, per recesso del contratto di locazione in dipendenza dell'avvenuto trasferimento della sede di lavoro;

le spese di viaggio, di trasporto e di recesso dal contratto di locazione sostenute dal dipendente in occasione dell'avvenuto trasferimento della sede di lavoro, rimborsate dal datore di lavoro e analiticamente documentate;

gli assegni di sede e di altre indennità percepite per servizi prestati all'estero, nella misura del 50%;

gli assegni familiari e l'assegno per il nucleo familiare, nonché, con gli stessi limiti e alle medesime condizioni, gli emolumenti per carichi di famiglia comunque denominati, erogati nei casi consentiti dalla legge.

Riguardo i contributi, ossia parte dei soldi che vengono versati ogni mese dal dipendente e dal datore di lavoro per finanziare l'INPS, nei casi di dipendenti privati l’istituto di riferimento è l’INPS, mentre per i dipendenti pubblici è l’INPDAP. La differenza è che i contributi versati dal datore di lavoro non sono visibili sulla busta; al contrario, i contributi versati dal lavoratore sono indicati nell’apposita casella.

I contributi costituiscono il finanziamento delle prestazioni previdenziali e assistenziali, finanziamento che viene attuato mediante l'applicazione di una percentuale sulla retribuzione che il lavoratore percepisce. L’imponibile contributivo sia contributivo che fiscale, è un vero e proprio contenitore di valori che servono esclusivamente allo scopo di poter attuare una corretta tassazione da parte del datore di lavoro.



venerdì 3 novembre 2017

Retribuzione imponibile e minimali: come si determinano i contributi





La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente.

Con effetto dal 1° gennaio 2017, il minimale di retribuzione giornaliera per il tempo pieno, valido per la generalità dei lavoratori, è fissato in € 47,68. La retribuzione minima giornaliera per il calcolo dei contributi non deve essere inferiore al minimo contrattuale e al minimo legale. In particolare, il minimale contrattuale giornaliero è determinato sulla base delle tabelle retributive del contratto collettivo di settore e deve essere applicato anche dai datori di lavoro non aderenti, neppure di fatto, al CCNL. Il minimale legale rappresenta il “minimo dei minimi”, ovvero la soglia al di sotto della quale la retribuzione minima giornaliera non può comunque scendere.

Come calcolare i contributi?

La retribuzione imponibile utile al fine del calcolo della contribuzione previdenziale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi o individuali.

L’importo giornaliero della retribuzione imponibile, inoltre è soggetto al vincolo del controllo del minimale previsto dall’art 7 della legge 11 novembre 1983 n. 638, ovvero alla soglia minima pari al 9,5% del trattamento minimo di pensione in vigore al primo di gennaio.

La retribuzione minima giornaliera per il calcolo dei contributi, quindi deve essere non inferiore al maggiore dei due importi minimi, sia quello contrattuale che quello legale, se la retribuzione è superiore ad entrambi, andrà utilizzata quella effettiva.

I contributi entro il minimale sono i contributi previdenziali calcolati sul minimale di retribuzione imponibile: questo è il valore minimo che per legge deve essere rispettato per permettere l’accredito dei contributi, cioè il “reddito minimo” sul quale deve essere applicata l’aliquota contributiva, dunque su cui vanno calcolati i contributi. Normalmente i contributi previdenziali sono calcolati applicando un’aliquota alla retribuzione, o al reddito imponibile: quando, però, la retribuzione o il reddito sono inferiori a un determinato ammontare, detto minimale, i contributi sono calcolati applicando l’aliquota prevista al minimale e non al reddito effettivo.

Un esempio:

Tizio, che ha un negozio ed è iscritto alla Gestione Inps commercianti, guadagna, nell’anno, 5.000 euro;

l’aliquota previdenziale della Gestione commercianti è pari al 23,19% (salvo alcune eccezioni);

i suoi contributi dovrebbero quindi ammontare a 159,50 euro (il 23,19% di 5.000);

la Gestione commercianti, però, prevede un reddito minimale annuo pari a 548 euro: significa che chi ha un reddito inferiore a tale soglia, anche se non ha guadagnato nulla, deve comunque pagare i contributi sul minimale, come se avesse guadagnato, nell’anno, 15.548 euro;

Tizio, quindi, anziché pagare 1.159,59 euro, deve pagare 3.613,02 euro di contributi (3.605,58 contributo Ivs più 7,44 contributo maternità, calcolati sul minimale);

naturalmente, se il reddito è superiore, è a questo che deve essere applicata l’aliquota contributiva.

Per i lavoratori dipendenti è previsto un reddito, o stipendio minimale: se l’imponibile, di fatto, risulta inferiore al valore minimale determinato dall’Inps, i contributi si calcolano su quest’ultimo valore e gli accrediti sono diminuiti in proporzione.

Nel dettaglio, il minimale settimanale per l’accredito dei contributi obbligatori e figurativi per i lavoratori dipendenti ammonta al 40% del trattamento minimo di pensione in vigore al 1° gennaio di ogni anno.

Ciò vuol dire che poiché il trattamento minimo è pari a 501,86 euro, il minimale settimanale su cui calcolare i contributi è pari a 200,74 euro.

Quello annuale è invece pari a 10.438,48 euro (200,74 moltiplicato per 52 settimane).

I contributi settimanali calcolati sul minimale, per i dipendenti del settore privato, risultano così pari a 66,24 euro (200,74 per 33%, cioè l’aliquota complessiva Ivs a carico di dipendente e datore di lavoro), mentre quelli annuali devono risultare almeno pari a 3.444,48 euro (cioè 66,24 per 52).

Se è stato versato nell’anno un ammontare almeno corrispondente a tale cifra, il dipendente risulta assicurato per tutte e 52 le settimane. Se, invece, il lavoratore non raggiunge la retribuzione imponibile minima di 10.438,48 euro, i periodi coperti sono ridotti: la diminuzione è calcolata in proporzione a quanto versato, dividendo lo stipendio per il minimale settimanale.

Un esempio per comprendere meglio: se X, nell’anno, ha un imponibile di 8.500 euro, non si vedrà accreditate 52 settimane di contributi, ma soltanto 42 (ottenute dividendo 8.500 per il minimale settimanale di retribuzione, ossia per 200,74).

In pratica, anche se X ha lavorato tutto l’anno, ai fini della pensione si vedrà accreditate 10 settimane in meno, come se non avesse lavorato per oltre 2 mesi. Questo succede perché non è previsto un numero minimo di ore di lavoro su cui versare i contributi. Di conseguenza, la contribuzione va calcolata tenendo conto dell’orario pattuito tra le parti nel contratto di lavoro, anche se inferiore a un eventuale orario minimo stabilito dal contratto collettivo.

Lo stesso minimale valido per gli artigiani e i commercianti è valido anche per i liberi professionisti e i lavoratori parasubordinati (co.co.co.) iscritti alla Gestione separata: tuttavia, per loro, i versamenti calcolati sul minimale non sono obbligatori, ma il minimale serve unicamente per rapportare, su base mensile e annuale, i contributi versati.

Un esempio:

Caio, lavoratore parasubordinato, lavora per tutto l’anno come co.co.co., da gennaio a dicembre, ricevendo una retribuzione pari a 12.000 euro, liquidata mensilmente dal committente;

i contributi su 12.000 euro di reddito ammontano a 3.806,40 euro, di cui 1/3 sono a carico del lavoratore e 2/3 a carico del committente, che li versa all’Inps, Gestione separata (assieme a quelli a carico del collaboratore, che gli sono trattenuti dalla retribuzione) entro il 16 del mese successivo a quello in cui è erogato il compenso: il committente di Caio, dunque, ha versato 317,20 euro per 12 mesi;

tuttavia, nonostante Caio abbia lavorato per 12 mesi e il committente abbia versato i contributi ogni mese, alla fine dell’anno il lavoratore si vede accreditati soltanto 9 mesi di contribuzione: questo perché il suo reddito imponibile è sotto il minimale da assoggettare a contribuzione, dunque gli vengono accreditati soltanto i mesi di contributi corrispondenti ai contributi versati;
548 per 31,72% (l’aliquota contributiva valida per i co.co.co., nella Gestione separata) è pari, difatti, a 4.931,83 euro circa: questi sono i contributi annui calcolati sul minimale;

rapportando al mese i contributi minimali, abbiamo un ammontare di 410,99 euro circa: vuol dire che, perché sia accreditato almeno un mese di contributi, devono essere versati, nell’anno, almeno 410,99 euro;

poiché il committente di Caio ha versato 3.806,40 euro, Caio si vede accreditati, dunque, 9 mesi di contributi (3.806,40 euro/410,99): il risultato deve essere arrotondato solo per difetto e non per eccesso (quindi non si possono accreditare 10 mesi di contributi se i versamenti non sono almeno pari a 4109,90 euro).

Lo stesso procedimento di calcolo vale anche per i versamenti effettuati nel fondo delle casalinghe: in questo caso, il minimale è pari a 310 euro annui ed il minimale mensile a 25,82 euro.

In pratica, l’Inps accredita per ogni anno tanti mesi di contributi, quanti ne risultano dividendo l’importo complessivo versato nell’anno per 25,82 euro, sino a un massimo di 12 mesi. In questo modo:
se in un anno risultano versati 110 euro, ad esempio, i mesi accreditati sono 4;

perché risulti accreditata un’annualità intera, bisogna versare all’Inps 310 euro;

se in un anno sono versati più di 310 euro, i contributi non possono essere “spalmati” nelle annualità non interamente coperte, ma servono soltanto ad aumentare la misura dell’assegno di pensione.

In alcuni casi particolari i contributi non sono calcolati sulla retribuzione effettivamente erogata ma su retribuzioni stabilite convenzionalmente.

Per i lavoratori domestici l’importo del contributo orario è stabilito annualmente, sempre da una circolare dell’Inps. Tali importi sono stabiliti in relazione a retribuzioni convenzionali commisurate a fasce di retribuzione effettiva. L’Inps ha pubblicato la circolare per l’anno 2014 nella quale è confermato che per i lavoratori che prestano attività presso lo stesso datore di lavoro per più di 24 ore settimanali l’importo dei contributi da versare è fisso (nel 2014 pari a 1,01 euro ad ora, importo che si eleva a 1,08 euro all'ora in caso di contratto a termine) ed è indipendente dall’entità della retribuzione effettiva percepita. Per maggiori informazioni vediamo i contributi 2014 per lavoratori domestici.

Sulla base di retribuzioni convenzionali sono calcolati anche i contributi per i lavoratori italiani operanti all'estero, in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale. Tali retribuzioni sono fissate con decreto ministeriale.





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