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lunedì 30 marzo 2020

Emergenza sanitaria come si accede alla cassa integrazione



Non è necessaria l’intesa con i sindacati. Gli ammortizzatori sociali si possono attivare anche se preventivamente non sono state fruite le ferie.

Da oggi 30 marzo potranno essere inoltrate le domande per la cassa integrazione dei lavoratori. Il pagamento potrà essere anticipato dal datore di lavoro. Con la circolare n. 47 pubblicata ieri dall’Inps, le aziende possono iniziare a presentare le domande per dare copertura economica ai lavoratori che, a causa dell’emergenza Coronavirus, sono fermi e non stanno lavorando.

La domanda deve essere trasmessa all’Inps utilizzando la causale “Covid-19 nazionale”. Il periodo va dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, per una durata massima di 9 settimane. La Cigo può essere chiesta anche se è stato consumato il plafond “ordinario”.

Le imprese che hanno già in corso un’autorizzazione Cigo o assegno ordinario o hanno presentato domanda possono richiedere l’ammortizzatore con causale «Covid-19 nazionale” anche per periodi già autorizzati o per quelli di oggetto di domande già presentate e non ancora definite.

Le aziende che rientrano nel campo di applicazione dei fondi bilaterali alternativi (come ad esempio il settore artigiano) devono presentare domanda di accesso all’assegno ordinario con la nuova causale «emergenza Covid-19» al relativo fondo. I fondi devono erogare la prestazione indipendentemente dal fatto che l’azienda sia in regola con il versamento della contribuzione e pertanto non possono subordinare la prestazione al pagamento degli arretrati.

Per accedere alla cassa integrazione in deroga è sufficiente un’informativa. La tutela scatta anche per i lavoratori assunti dopo il 23 febbraio 2020 a seguito di cambio appalto. Questi i principali chiarimenti Inps contenuti nella circolare 47/2020 che fornisce le istruzioni operative alle aziende per richiedere la cassa integrazione prevista dal Dl 18/2020.

La domanda deve essere trasmessa all’Inps utilizzando la causale «Covid-19 nazionale» per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, per una durata massima di 9 settimane. La Cigo può essere chiesta anche se è stato consumato il plafond «ordinario».

Secondo l’Inps le aziende che trasmettono domanda sono dispensate dall’osservanza della procedura sindacale, fermo restando l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva. Peraltro la circolare spiega che si tratta di un atto interno e quindi non deve essere data comunicazione all’Inps che potrà, in ogni caso, procedere all’autorizzazione.

L’azienda può anticipare le prestazioni e conguagliare gli importi successivamente nel modello F24. Tuttavia, in considerazione dell’emergenza è data la possibilità di richiedere il pagamento diretto ai lavoratori da parte dell’Inps.

È confermato inoltre che per le unità produttive situate nelle ex zone rossa e gialla possono richiedere il doppio periodo di cassa integrazione: quello previsto dal Dl 9/2020 in aggiunta alle nove settimane del Dl 18/2020.

Le imprese che hanno già in corso un’autorizzazione Cigo o assegno ordinario o hanno presentato domanda possono richiedere l’ammortizzatore con causale «Covid-19 nazionale” anche per periodi già autorizzati o per quelli di oggetto di domande già presentate e non ancora definite.

Le aziende che rientrano nel campo di applicazione dei fondi bilaterali alternativi (come ad esempio il settore artigiano) devono presentare domanda di accesso all’assegno ordinario con la nuova causale «emergenza Covid-19» al relativo fondo. I fondi devono erogare la prestazione indipendentemente dal fatto che l’azienda sia in regola con il versamento della contribuzione e pertanto non possono subordinare la prestazione al pagamento degli arretrati.

Possono ottenere la cassa in deroga i datori di lavoro che non hanno nel loro inquadramento previdenziale la tutela alla Cigo, al fondo integrazione salariale (Fis) o ai fondi bilaterali. Ne deriva che potranno accedere alla prestazione anche le aziende che hanno la sola tutela Cigs come quelle della grande distribuzione organizzata e le agenzie di viaggio e turismo sopra i 50 dipendenti. Anche in questo caso, la circolare spiega che le nove settimane sono aggiuntive ai periodi di cassa integrazione già individuati dal Dl 9/2020.

Quanto all’accordo sindacale, è sufficiente una informativa al sindacato e una eventuale consultazione che si deve esaurire entro tre giorni; in ogni caso questo atto non è vincolate ai fini del procedimento. Il problema ora è rendere compatibile questa posizione con gli accordi quadro delle Regioni che invece sono molto più vincolanti.

Per i datori di lavoro con unità produttive in cinque o più regioni la prestazione sarà concessa con decreto del ministero del Lavoro che però potrà richiedere fino a trenta giorni. A seguito del decreto ministeriale, scatta un’altra autorizzazione dell’Inps. Poi le aziende dovranno inoltrare all’Istituto la documentazione per la liquidazione dei pagamenti. Ora il problema si sposta sui tempi che occorrono per svolgere tutte queste attività.



domenica 11 marzo 2018

Lavoro dipendente: trasferte e orario di lavoro





La trasferta presuppone che al lavoratore venga temporaneamente richiesto di prestare la propria opera in un luogo diverso da quello in cui deve abitualmente eseguirla (si tratta della sede indicata nel contratto di lavoro quale luogo normale di svolgimento dell’attività lavorativa) anche all'estero. A tale richiesta alla quale il lavoratore in genere è tenuto a adeguarsi.

Trasferte, le indicazioni del Ministero del Lavoro sulla nozione di orario di lavoro, nella quale non rientrano le ore trascorse in viaggio.

Per il Ministero del Lavoro, il tempo impiegato per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non è da considerarsi orario di lavoro, quindi, per definire se un periodo sia da ricomprendersi nell’orario di lavoro è necessario che si verifichi la coesistenza di tre criteri indicati dall’art. 1, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 66/2003:

il prestatore di lavoro deve essere al lavoro,

deve essere anche a disposizione del datore di lavoro,

nonché deve essere nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Nella normativa non è più quindi presente alcun riferimento alla nozione di orario di lavoro effettivo e per questo va considerato orario di lavoro sia il tempo dedicato al lavoro che quello in cui il lavoratore è presente nel luogo di lavoro, disponibile a far fronte alle necessità del datore di lavoro con la propria attività. A titolo di esempio, si ritiene che rientrino nell’orario di lavoro:

la timbratura del cartellino;

il tempo necessario per la vestizione e la vestizione quando è d’obbligo una divisa ed è disciplinato il tempo e il luogo in cui deve avvenire;

l’entrata ed uscita dal pozzo nelle cave e nelle miniere.

Il luogo della prestazione lavorativa è un elemento fondamentale del contratto di lavoro subordinato. Per quanto nella maggior parte dei casi la sede di lavoro sia fissa e identificata in modo specifico al momento della stipula del contratto di assunzione, per particolari tipologie di attività può essere richiesto, occasionalmente o con maggior frequenza, lo svolgimento della prestazione lavorativa in luoghi differenti rispetto alla normale sede di lavoro contrattualmente definita. In queste ipotesi il datore di lavoro deve valutare se vi sia l’obbligo di erogare trattamenti economici aggiuntivi rispetto alla retribuzione ordinaria che vadano a remunerare il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere il luogo di temporanea assegnazione e per il rientro.

Va considerato orario di lavoro sia il tempo dedicato al lavoro che quello in cui il lavoratore è presente nel luogo di lavoro, disponibile a far fronte alle necessità del datore di lavoro con la propria attività, ad esempio per timbrare il cartellino, vestirsi, se è d’obbligo una divisa. Non rientra nella nozione di orario di lavoro, invece, il periodo di reperibilità del lavoratore, a meno che egli non venga effettivamente chiamato al lavoro.

Dubbi sono sorti in passato anche con riferimento alle ore di viaggio effettuate quando il lavoratore è in trasferta, ovvero quando presti temporaneamente la propria attività in un luogo diverso da quello in cui effettua normalmente la sua prestazione lavorativa. Poiché in generale, non rientrano nell’orario di lavoro tutte le attività preparatorie allo svolgimento della prestazione se avvengono quando il prestatore non è soggetto al potere direttivo del datore di lavoro ma può godere di una certa autonomia, le ore di viaggio non rientrano nell’orario di lavoro qualora il lavoratore sia libero di scegliere i tempi di partenza, il mezzo di trasporto e così via. La giurisprudenza con riferimento alla trasferta ritiene che qualora al lavoratore sia corrisposta un’indennità di trasferta di tipo retributivo, il tempo impiegato per raggiungere la sede di lavoro non sia da sommare al normale orario di lavoro perché l’indennità di trasferta è volta anche a compensare il disagio psico-fisico degli spostamenti; qualora, invece, l’indennità di trasferta abbia una funzione di rimborso delle spese sostenute dal prestatore di lavoro, se il tempo di viaggio avviene al di fuori dell’orario di lavoro va assimilato all’orario di lavoro.



domenica 26 marzo 2017

Call center: nuove regole sulla delocalizzazione



Per call center si intende l'insieme dei dispositivi, dei sistemi informatici e delle risorse umane in grado di gestire le chiamate telefoniche da e verso un'azienda. L'attività di un call center può essere svolta da operatori specializzati e/o risponditori automatici interattivi. Nei call center è definito inbound quell'operatore che lavora in ricezione telefonate: è il cliente a chiamare il call center, da un telefono fisso o mobile, e il lavoratore si limita a rispondere alle domande o a fornire l'assistenza richiesta. Nei call center si definisce invece outbound quell'operatore che lavora sulle telefonate in uscita. È dunque il call center, attraverso questo operatore, che contatta i clienti chiamandoli al telefono (soprattutto a quello di casa) per proporre offerte, prodotti o fare sondaggi e inchieste di mercato.

Il Ministero del lavoro  ha pubblicato ieri la  nota operativa 33/1328  con la quale sono state fornite le istruzioni sugli obblighi di comunicazione  per  i call center introdotti dalla legge di bilancio 2017 Le nuove norme anti-delocalizzazione si applicano a tutti gli operatori economici che utilizzano numeri pubblici   a prescindere dal carattere accessorio o prevalente di questa attività rispetto all'oggetto sociale e indipendentemente dal numero di dipendenti. Sono esclusi  le Pubbliche amministrazioni e gli enti non profit.

La nota ricorda che la  comunicazione obbligatoria della delocalizzazione dell'attività, anche con affidamento a terzi, in un paese extra UE va inviata con un preavviso di 30 giorni, e prevede l'obbligo di individuare i «lavoratori coinvolti». Il Ministero chiarisce che si fa riferimento ai lavoratori che, in conseguenza della delocalizzazione , subiscono una modifica della propria posizione lavorativa (tra cui il licenziamento). Nel comunicare il numero degli addetti, si devono indicare anche le unità produttive in cui  sono occupati, nonché le eventuali modifiche della posizione lavorativa.

Le nuove norme anti-delocalizzazione nel settore dei call center si applicano a tutti gli operatori che utilizzano numeri pubblici destinati all’utenza, a prescindere dal carattere accessorio o prevalente di questa attività rispetto all’oggetto sociale. Questa l’indicazione più importante della nota operativa 33/1328 del Lavoro pubblicata ieri, con la quale sono state fornite le istruzioni per attuare gli obblighi di comunicazione introdotti dalla legge di bilancio 2017 (la quale ha modificato l’articolo 24-bis del Dl 83/12) che dovranno essere applicati dalla data odierna.

La nota chiarisce che le norme non sono limitate alle aziende che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di call center, ma si rivolgono a qualsiasi operatore economico che svolge, indipendentemente dal numero di dipendenti, attività di call center utilizzando numerazioni telefoniche messe a disposizione del pubblico.

Questa interpretazione, rileva la nota, è coerente con la nozione di “operatore economico” contenuta nel nuovo Codice degli appalti, che fa riferimento a tutti coloro che offrono beni e servizi sul mercato a prescindere dalla forma giuridica di riferimento. Sono esclusi dalla nozione le Pa, se assolvono i loro compiti istituzionali, e tutti i soggetti che svolgono attività prive di finalità lucrative.

Quanto ai contenuti della comunicazione che va inviata, con un preavviso di 30 giorni, dagli operatori economici che decidono di localizzare, anche mediante affidamento a terzi, l’attività di call center in un Paese non Ue, la nota spiega cosa debba intendersi con l’obbligo di individuare i «lavoratori coinvolti». La legge, secondo il Ministero, fa riferimento al numero complessivo dei lavoratori che, in conseguenza della delocalizzazione delle attività di call center, subiscono una modifica della propria posizione lavorativa (tra cui il licenziamento). Nel comunicare il numero degli addetti, si deve indicare anche le unità produttive in cui i medesimi sono occupati, nonché le eventuali modifiche della posizione lavorativa. Infine, la nota chiarisce le modalità con cui dovrà essere resa la comunicazione, per la parte di competenza del ministero del Lavoro, all’Inl.

Per svolgere questo adempimento sarà disponibile, dal 28 marzo, sui siti del ministero e dell’Inl un modello telematico; fino a tale data, le comunicazioni potranno essere effettuate compilando una tabella excel da inviare via email a deloc_callcenter@lavoro.gov.it.



lunedì 10 ottobre 2016

Lavoro: dimissioni telematiche il servizio sospeso



Il Ministero del Lavoro ha annunciato ieri  la sospensione di alcuni servizi online tra cui la comunicazione telematica delle dimissioni e risoluzioni consensuali  dei rapporti di lavoro. La causa risiede nella rottura fisica di due dischi dell’infrastruttura informatica, e da ieri sono in corso una serie di attività per il ripristino del corretto funzionamento delle procedure. Grazie ad avanzati sistemi di copia e archiviazione tutti i dati sono salvi, ma è stato necessario un fermo dei servizi per riallineare i backup che sono stati interessati dall'evento e per effettuare i necessari controlli successivi al ripristino.

A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La nota della Direzione Generale dei Sistemi informativi, Innovazione Tecnologica e della Comunicazione del Ministero del lavoro fornisce indicazioni operative per adempiere alla procedura telematica delle dimissioni volontarie e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In particolare il documento spiega che fino a nuova comunicazione le dimissioni volontarie e le risoluzioni consensuali dovranno essere comunicate scegliendo una delle seguenti modalità:

Recandosi presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente, che si farà carico del supporto operativo all’utenza, dell’identificazione del lavoratore e del deposito della documentazione prodotta

Recandosi presso i soggetti abilitati di cui all’art. 26, comma 4 del D. Lgs. 151/2015, che si farà carico del supporto operativo all’utenza, dell’identificazione del lavoratore e del deposito della documentazione prodotta.

Compilando in autonomia il modello allegato alla nota direttoriale del 5 ottobre 2016 e trasmettendolo, dalla propria casella di posta elettronica, al seguente indirizzo: sdv@lavoro.gov.it. In tal caso sarà necessario allegare al modello in formato .pdf anche la copia del proprio documento di riconoscimento.

Saranno valide le comunicazioni, effettuate con queste modalità, solo se riferite ad eventi avvenuti a partire dal 3 ottobre 2016.

Gli altri servizi momentaneamente sospesi sono:

– Autocertificazione Esonero 60X1000
– Deposito contratti
– Offerta di conciliazione
Cigs online

La nota conclude che assicurando che sarà cura del Ministero comunicare la riattivazione di tutti i servizi elencati, confermando il massimo impegno per ridurre al minimo gli impatti sull’utenza.


Sospesi i servizi online di Cliclavoro, portale del Ministero Del Lavoro, a causa di problemi tecnici. Per trasmettere le dimissioni volontarie, obbligatoriamente online con il Jobs Act (Dlgs 151/2015), bisogna dunque optare per canali alternativi, almeno in via temporanea. Le comunicazioni così pervenute saranno inoltrate via email dagli uffici competenti al datore di lavoro, inserendo in copia il lavoratore dimissionario, in modo che possa avere conferma dell’invio.

Le dimissioni trasmesse durante il periodo di malfunzionamento non sono andate perdute, grazie al backup. Dunque, a partire dal 3 ottobre e fino a quando il Ministero non comunicherà la riattivazione dei servizi, sono considerate valide e dimissioni presentate con la procedura temporanea, compilando e trasmettendo il modello disponibile sul portale Cliclavoro, scegliendo una delle seguenti modalità operative:

presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente;
presso i soggetti abilitati di cui all’art. 26, comma 4 del D. Lgs. 15 1/2015;
compilando il modello in autonomia e trasmettendolo per email a sdv@lavoro.gov.it allegando in .pdf anche la copia del documento di riconoscimento.

Il lavoratore può scegliere fra due opzioni:

inviare il modulo attraverso il sito del Ministero con PIN INPS dispositivo,

rivolgersi a un soggetto abilitato (CAF, patronati, professionisti).

Sul sito web ministeriali sono presenti a questo scopo videotutorial con tutte le indicazioni per il contribuente e per gli intermediari.

Si ricorda che l’obbligo di dimissioni telematiche riguarda solo il settore privato e non il pubblico impiego. Sono inoltre esclusi il lavoro domestico e le dimissioni o accordi conclusi in sede conciliativa. Utilizzano le nuove modalità di invio delle dimissioni anche gli assunti a tempo determinato, nel caso di dimissioni precedenti alla scadenza del contratto.



venerdì 23 settembre 2016

Apprendistato scuola-lavoro: si parte con il programma Enel, Ministero dell’Istruzione Ministero del Lavoro





Con sistema duale in apprendistato, si deve intendere la formazione alternata per il 50% a scuola e il restante 50% nell’ambiente di lavoro, con l’obiettivo di rafforzare l’offerta educativa per i giovani, affinché raggiungano un maggior livello di qualificazione.

ENEL, Ministero dell’Istruzione (MIUR) e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali hanno dato il via ad una nuova edizione del programma di apprendistato scuola-lavoro 2016-2017: «un buon modello di collaborazione tra scuola e mondo del lavoro per migliorare l’occupabilità dei giovani e il loro inserimento nel mondo del lavoro», l’ha definito il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

Il programma, che vedrà l’assunzione da parte del Gruppo Enel di 140 studenti del quarto e quinto anno di istituti tecnici industriali di sette regioni italiane.

“Dopo il successo della prima sperimentazione, siamo orgogliosi di presentare il nuovo programma di apprendistato scuola-lavoro realizzato in sinergia tra ministeri, istituzioni formative e azienda – ha affermato l’Ad del Gruppo Enel Francesco Starace – Alla base di questa modalità di inserimento ci sono evidenti vantaggi per entrambi gli attori: per l’azienda, che investe sui giovani e sulla loro formazione; per gli studenti, che hanno così l’opportunità di svolgere attività formative più allineate all'innovazione tecnologica e alle esigenze del mondo del lavoro, maturando contestualmente una prima esperienza professionale".

L'alternanza scuola-lavoro diventa così una strategia educativa dove il contesto lavorativo è chiamato ad assumere un ruolo complementare all'aula e al laboratorio scolastico nel percorso di istruzione degli studenti in modo da contribuire alla realizzazione di un collegamento organico tra istituzioni scolastiche e formative e il mondo del lavoro.

Al termine del quinto anno, con la conclusione del percorso scolastico e il conseguimento del diploma, per gli studenti degli istituti interessati, tenuto conto della valutazione di merito del percorso effettuato in azienda, è prevista una seconda fase di apprendistato professionalizzante di un anno. La durata del periodo complessivo di apprendistato sarà di 36 mesi.

Durante l’anno scolastico gli apprendisti trascorreranno un giorno a settimana in azienda, svolgendo un programma formativo incentrato prevalentemente sul laboratorio e sulle competenze specifiche richieste, mentre durante il periodo estivo saranno in azienda full time per il Training on the job durante il quale affiancheranno le squadre operative e applicheranno concretamente le nozioni apprese durante l’anno scolastico, nel rispetto delle competenze acquisite in materia di safety.

L’idea di avviare il progetto sperimentale è nata dall'esigenza di ottimizzare la gestione del turn over nelle posizioni tecnico-operative aziendali anticipando l’ingresso degli apprendisti in azienda già durante lo svolgimento del percorso scolastico e condividendo con la scuola contenuti teorici più allineati alle esigenze industriali e un’esperienza di training on the job finalizzata a completare la formazione individuale.

Il progetto è stato reso possibile dalla cornice normativa che, con il Decreto Legislativo 81/2015 e il successivo Decreto interministeriale del 12 ottobre 2015, ha reso stabile l’apprendistato scuola-lavoro quale ulteriore modalità di ingresso in azienda.

La prima fase del percorso si concluderà al termine del quinto anno di scuola, con il conseguimento del diploma. Quindi, tenuto conto della valutazione di merito del percorso effettuato in azienda, è prevista una seconda fase di apprendistato professionalizzante di un anno. La durata del periodo complessivo di apprendistato sarà di 36 mesi.

Il contratto, stipulato tra azienda e apprendista, è regolato in modo dettagliato dalla legge tedesca, che definisce con precisione obblighi e doveri delle parti. Il sistema duale è diffuso in altri paesi, come Austria e Svizzera e soprattutto nell'Europa del Nord. Soluzioni che si sono dimostrate in grado di assicurare una più ampia integrazione dei giovani nel mercato del lavoro, riducendo così i livelli di disoccupazione.

La sperimentazione italiana del nuovo apprendistato normativo si basa su un modello fortemente innovativo che passa innanzitutto attraverso la ristrutturazione dell’apprendistato e delle sue caratteristiche (requisiti di accesso e modalità di regolazione della formazione): si punta così ad agire direttamente sul fronte delle imprese tramite la definizione di un nuovo mix di vincoli e benefici, in grado di bilanciare meglio l’onere formativo che esse assumono.



giovedì 21 luglio 2016

Apprendisti: dimissioni online e nuovo fondo di solidarietà



Il chiarimento dal Ministero del Lavoro in tema di dimissioni online, stavolta con riferimento al contratto di apprendistato. Il Ministero ha chiarito che l’eventuale recesso dell’apprendista deve essere manifestato attraverso la procedura telematica prevista dall'articolo 26 del Decreto Legislativo 151/2015.

Questo perché si tratta di un rapporto di lavoro subordinato il quale, ove le parti non recedano dal medesimo, “prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, così come espressamente stabilito dall’art. 42, quarto comma, del Decreto Legislativo 81/2015.

E’ opportuno ricordare che dal 12 marzo scorso la nuova procedura telematica obbligatoria per dare le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite un semplice metodo online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La compilazione del modello è semplice: bisogna inserire generalità di lavoratore e datore di lavoro, data inizio rapporto, contratto applicato, tipo di comunicazione (dimissioni, risoluzione, revoca) e relativa data di decorrenza. Va inviato alla casella PEC (Posta elettronica certificata) del datore di lavoro, attraverso le specifiche tecniche indicate nel decreto. Il lavoratore ha 7 giorni per revocare le dimissioni dal momento dell’invio, con le stesse modalità.

Ricordiamo che l’obbligo di dimissioni telematiche riguarda solo il settore privato e non il pubblico impiego. Sono inoltre esclusi il lavoro domestico e le dimissioni o accordi conclusi in sede conciliativa. Utilizzano le nuove modalità di invio delle dimissioni anche gli assunti a tempo determinato, nel caso di dimissioni precedenti alla scadenza del contratto.

L’INPS ha fornito indicazioni in merito ai Fondi di solidarietà e al recupero dei contributi per gli apprendisti non professionalizzanti. In particolare viene chiarito che la contribuzione ordinaria di finanziamento ai Fondi di solidarietà è applicata, con riferimento al personale assunto con contratto di apprendistato, soltanto alla categoria degli apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante ed esclusivamente a questi ultimi vengono riconosciute le relative prestazioni. Per quanto riguarda invece il computo della forza aziendale, per la verifica dell’obbligo di adesione ai Fondi, vengono computati i lavoratori assunti con qualunque tipologia di apprendistato.

Si tratta del contributo ordinario, ripartito tra datore di lavoro e lavoratore nella misura, rispettivamente, di due terzi e di un terzo, volto a finanziare le prestazioni ordinarie dei Fondi di solidarietà.

Nell'eventualità che i datori di lavoro abbiano versato indebitamente la contribuzione ordinaria di finanziamento ai Fondi di solidarietà con riferimento a lavoratori assunti con contratto diverso da quello di apprendistato professionalizzante, per i mesi da settembre 2015 a luglio 2016, le somme potranno essere recuperate entro il 16 ottobre 2016.

Pertanto, con riferimento agli apprendisti, a decorrere dal mese di giugno 2016, ai fini della compilazione del flusso Uniemens, la contribuzione ordinaria sarà calcolata nella aliquota complessiva applicata sulle retribuzioni imponibili dei lavoratori denunciati con il codice “PB” (Apprendistato professionalizzante) nell'ambito dell’elemento < TipoLavoratore >.

Le imprese che hanno versato contributi per altri tipi di apprendisti potranno recuperare gli stessi entro il giorno 16 del terzo mese successivo a quello di emanazione del messaggio indicando l’importo con uno dei codici conguaglio presenti nella tabella che segue, da valorizzare all'interno della sezione di < DenunciaAziendale >.




domenica 29 maggio 2016

Programma garanzia giovani: le nuove opportunità di lavoro




Il Ministero Lavoro e delle   Politiche Sociali,ha reso noto che è stato sottoscritto un 'accordo di collaborazione tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e la società FlixBus, giovane operatore della mobilità che ha realizzato un connubio tra start-up tecnologica, piattaforma e-commerce e sistema di trasporti. L'accordo con Flixbus - ha affermato il Ministro, Giuliano Poletti - si inserisce nel percorso di miglioramento del programma Garanzia Giovani, con l'obiettivo di ampliare progressivamente le opportunità per i giovani iscritti".

In pratica, l'iniziativa punta a migliorare l'occupabilità dei Neet (le persone che non studiano e non lavorano) e offrirà - ai giovani in possesso di determinati requisiti e registrati a Garanzia Giovani - l'opportunità di candidarsi alle posizioni aperte nell'azienda o tra i suoi partner operativi. Dal suo canto, FlixBus Italia si è impegnata - direttamente o attraverso il coinvolgimento delle imprese a lei collegate- ad assumere 220 giovani Neet, favorendo l'inserimento lavorativo di figure con competenze specialistiche, beneficiando delle agevolazioni previste dal programma. Per questi ragazzi, è previsto un percorso di tirocinio formativo - della durata di tre/sei mesi, anche in "mobilità geografica" - finalizzato all'assunzione con contratto di apprendistato professionalizzante o a tempo indeterminato.

Ecco di che si tratta.
«FlixBus 4 Young»: 220 opportunità di lavoro per giovani NEET

Con il progetto  ォFlixBus 4 Youngサ  saranno disponibili  220 opportunità di lavoro per altrettanti giovani NEET, attraverso l'inserimento nella società di mobilita FlixBus Italia, che si occupa di organizzare viaggi in autobus low cost, sia in Italia che in tutta Europa.

L'inserimento lavorativo avverrà direttamente in azienda, o in altre imprese con la stessa collegate, per quelle figure con  competenze specialistiche, che sono iscritte al programma  Garanzia Giovani  e usufruiscono dei relativi incentivi.

Per i ragazzi in possesso delle competenze professionali richieste è previsto un percorso di  tirocinio formativo  che potrà durare dai 3 ai 6 mesi, alla scadenza dei quali ci sarà la firma di un  contratto di apprendistato professionalizzante o a tempo indeterminato.

«FlixBus 4 Young»: quali sono le posizioni aperte?

Le posizioni aperte riguardano in prevalenza:
autisti e meccanici;
personale tecnico-amministrativo;
personale in area marketing;
nuove professioni digitali.

I giovani ragazzi potranno essere assunti nelle diverse sedi della FlixBus quali: Monaco, Berlino e Milano, o tra i suoi partner operativi in Lombardia, Piemonte, Trentino, Valle d’Aosta, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania e Puglia.

Come ha affermato il Ministro Giuliano Poletti l'obiettivo del Governo è quello di migliorare il programma Garanzia Giovani  con l'obiettivo di ampliare progressivamente le opportunità per i giovani iscritti:

«L’esperienza Flixbus dimostra come il digitale possa rappresentare un’occasione di crescita anche per la piccola e media impresa italiana, con ricadute positive in termini di nuova occupazione».





lunedì 23 maggio 2016

Ministero del lavoro: incentivi al part time e pensione



Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, prevede incentivi al passaggio al lavoro part-time in prossimità del pensionamento di vecchiaia (c.d. legge di stabilità 2016). In particolare, stabilisce che i  lavoratori dipendenti del settore privato iscritti all'assicurazione generale obbligatoria che hanno in corso un rapporto di   lavoro   a tempo pieno e indeterminato, che maturano entro il 31  dicembre   2018 il   requisito   anagrafico   per   il   conseguimento   del     diritto     al trattamento pensionistico di vecchiaia di cui all'art. 24, comma   6, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201  e   che   hanno   maturato  i requisiti   minimi   di   contribuzione   per   il   diritto   al     predetto trattamento pensionistico di   vecchiaia   possono,   d'accordo   con   il datore di lavoro, trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno   a   tempo parziale con riduzione dell'orario di lavoro in misura compresa tra il 40 per cento ed il 60 per cento con corresponsione mensile, da parte del datore di lavoro, di   una   somma   pari   alla   contribuzione previdenziale ai fini pensionistici a carico   del   datore   di   lavoro relativa   alla   prestazione lavorativa  non  effettuata e  con riconoscimento   della   contribuzione   figurativa     commisurata     alla retribuzione  corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata in ragione   del   contratto di   lavoro a   tempo parziale agevolato.  Ai fini dell'accesso   al   beneficio,   il lavoratore e il datore stipulano un contratto di riduzione dell'orario di lavoro, di seguito denominato "contratto di   lavoro   a tempo parziale agevolato", di durata pari al   periodo   intercorrente tra la data di accesso al beneficio e   la   data   di   maturazione,   da parte del lavoratore, del requisito anagrafico per   il   diritto   alla pensione   di   vecchiaia,   nel   quale   è  indicata   la   misura   della riduzione. Il beneficio di cui al comma 1 cessa,   in   ogni   caso,   al momento della maturazione, da parte   del   lavoratore,   del   requisito anagrafico   per   il   conseguimento   del   diritto   alla   pensione     di vecchiaia e qualora siano modificati i termini dell'accordo.

A questa misura potranno ricorrere i lavoratori del settore privato con contratto a tempo indeterminato ed orario pieno, che possiedono il requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia (20 anni di contributi) e che maturano il requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018. Per loro sarà possibile concordare col datore di lavoro il passaggio al part-time, con una riduzione dell'orario tra il 40 ed il 60%, ricevendo ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l'orario non lavorato. Inoltre, per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell'età pensionabile il lavoratore percepirà l'intero importo della pensione, senza alcuna penalizzazione.  


giovedì 7 aprile 2016

Call center: chiarimenti sugli ammortizzatori sociali previsti



Arrivano con la Circolare n. 15/2016 del Ministero del Lavoro i chiarimenti in merito agli aspetti applicativi relativi alla durata del trattamento di sostegno al reddito in favore dei lavoratori del settore Call Center, con particolare riferimento agli aspetti applicativi relativi alla durata del trattamento di sostegno al reddito previsto per il settore.

Si tratta della norma che prevede concessione di misure per il sostegno al reddito, il trattamento può essere concesso, sulla base di specifici accordi, siglati in ambito ministeriale, nel limite massimo di 5.286.187 euro per l’anno 2015, e di 5.510.658 euro per il 2016, per periodi non superiori a 12 mesi.

L’art. 3 del decreto 22763 contempla la possibilità di concedere il trattamento sulla base di specifici accordi, siglati in ambito ministeriale, per periodi non superiori a 12 mesi.

Il Ministero ha chiarito che, in presenza di un accordo siglato nell’anno 2016, con domanda ed inizio della sospensione o riduzione di orario nel corso dello stesso anno, è possibile concedere il trattamento della durata di 12 mesi, superando il limite temporale del 31 dicembre 2016 attualmente previsto per gli ammortizzatori sociali in deroga. In considerazione della specialità della normativa, la circolare chiarisce inoltre che, in presenza di un accordo siglato nell’anno 2016 – con domanda ed inizio della sospensione o riduzione di orario sempre nel 2016, e fermo restando il limite di finanziamento – è possibile concedere il trattamento della durata di 12 mesi, superando il limite temporale del 31.12.2016 attualmente previsto per gli ammortizzatori sociali in deroga.

Con decreto n. 22763 del 12 novembre 2015, emanato dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro delle Finanze è stata riconosciuta un’indennità, pari al trattamento massimo di integrazione salariale straordinaria, ai lavoratori delle aziende del settore dei call center non rientranti nel campo di applicazione del trattamento straordinario di integrazione salariale. In considerazione della specialità della normativa, la circolare ha chiarito che «in presenza di un accordo siglato nell’anno 2016, con domanda ed inizio della sospensione o riduzione di orario sempre nel 2016, e fermo restando il limite di finanziamento, è possibile concedere il trattamento della durata di 12 mesi, superando il limite temporale del 31.12.2016 attualmente previsto per gli ammortizzatori sociali in deroga».

sabato 26 marzo 2016

Dimissioni on line istruzioni e casi particolari


A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La compilazione del modello è semplice: bisogna inserire generalità di lavoratore e datore di lavoro, data inizio rapporto, contratto applicato, tipo di comunicazione (dimissioni, risoluzione, revoca) e relativa data di decorrenza. Va inviato alla casella PEC (Posta elettronica certificata) del datore di lavoro, attraverso le specifiche tecniche indicate nel decreto. Il lavoratore ha 7 giorni per revocare le dimissioni dal momento dell’invio, con le stesse modalità.

La pratica che si vuole combattere è quella delle dimissioni in bianco, che consiste nel far firmare al dipendente un foglio di dimissioni senza data, spesso proprio al momento nell’assunzione, che l’impresa può quindi utilizzare in qualsiasi momento. Il fenomeno, storicamente, riguarda le lavoratrici donne, per costringerle a dimettersi in caso di maternità.

Le dimissioni con formato esclusivamente digitale hanno data certa, è impossibile “preconfezionarle”. Dal 12 marzo, quindi, non sarà più possibile attuare dimissioni “forzate” perché il documento ha un codice identificativo e una data di trasmissione, che impediscono pratiche come quella delle dimissioni in bianco.

Le nuove norme non si applicano al lavoro domestico e alle dimissioni nelle sedi di cui all’articolo 2113, IV comma del codice civile o davanti alle commissioni di certificazione. Le dimissioni delle lavoratrici in gravidanza o nei primi tre anni di vita del bambino restano da convalidare dal Ministero del Lavoro.

Le nuove norme non si applicano al lavoro domestico e alle dimissioni nelle sedi di cui all’articolo 2113, IV comma del codice civile o davanti alle commissioni di certificazione. Le dimissioni delle lavoratrici in gravidanza o nei primi tre anni di vita del bambino restano da convalidare dal Ministero del Lavoro.

Chiarimenti e istruzioni operative per la presentazione delle dimissioni online, obbligatorie dal 12 marzo 2016, il Ministero del Lavoro ha chiarito innanzitutto che il lavoratore può scegliere fra due opzioni:

inviare il modulo attraverso il sito del Ministero con PIN INPS dispositivo,

rivolgersi a un soggetto abilitato (CAF, patronati, professionisti).

Sul sito web ministeriali sono presenti a questo scopo videotutorial con tutte le indicazioni per il contribuente e per gli intermediari.

Si ricorda che l’obbligo di dimissioni telematiche riguarda solo il settore privato e non il pubblico impiego. Sono inoltre esclusi il lavoro domestico e le dimissioni o accordi conclusi in sede conciliativa. Utilizzano le nuove modalità di invio delle dimissioni anche gli assunti a tempo determinato, nel caso di dimissioni precedenti alla scadenza del contratto.

Nel caso in cui le dimissioni siano state presentate prima del 12 marzo ma abbiano effetto successivamente, non scatta la nuova procedura (si applicano le vecchie regole previste dalla legge 92/2012).

Il modulo di dimissioni è caratterizzato dalla data di trasmissione e da un codice identificativo: il lavoratore può revocarlo entro sette giorni. La consultazione della domanda di dimissioni telematiche è permessa solo al datore di lavoro e alla DTL (direzione territoriale del lavoro) competente.

Casi particolari
Se il lavoratore si ammala dopo aver dato le dimissioni, dovendo posticipare la data di chiusura del rapporto, ma sono già passati i sette giorni utili per correggere le dimissioni: il dipendente in questo caso non deve fare nulla e le dimissioni restano valide; sarà il datore di lavoro a calcolare la nuova data di fine rapporto e inserirla nella comunicazione.

In generale, è sempre possibile spostare la data di cessazione del rapporto, anche sulla base di semplici accordi fra dipendente e impresa, e non c’è bisogno di ritirare le dimissioni e inviare una nuova pratica: sarà sempre azienda a scrivere la data pattuita nella comunicazione di fine rapporto.
Esodi volontari sulla base di accordo sindacale aziendale: non trova applicazione la nuova procedura; tutti gli accordi raggiunti in sede extragiuziale sono validi e non prevedono l’obbligo di dimissioni telematiche.

La data da indicare nel modulo da compilare per le dimissioni on line, come emerge in una delle FAQ aggiornate dal Ministero del Lavoro, è quella di decorrenza delle dimissioni, ovvero quella a partire dalla quale, decorso il periodo di preavviso, il rapporto di lavoro cessa. Pertanto, la data da inserire sarà quella del giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro. Inoltre, sul preavviso, le FAQ aprono alla possibilità che la data indicata nel modulo sia discordante rispetto a quella di effettiva cessazione del rapporto di lavoro.

Se il lavoratore non procede alla sottoscrizione della comunicazione entro 7 giorni dalla sua ricezione e non si presenta presso la Direzione Territoriale del Lavoro, del Centro per lʼImpiego o presso il datore di lavoro per sottoscrivere la ricevuta della “Comunicazione telematica di cessazione”, le dimissioni o la risoluzione del contratto sono da ritenersi nulle.

Un modulo di dimissioni volontarie specifico da inviare al Ministero del Lavoro tramite le Direzioni Territoriali del lavoro, Centri per l'impiego, Comuni, Sindacati o patronati, uguale per tutta Italia e redatto secondo le disposizioni del DL del 21 gennaio 2018.

Come funziona l'invio del modulo telematico? Il lavoratore/lavoratrice deve compilare il modulo dimissioni ed inviarlo online, utilizzando la seguente procedura:

A) Se possiede il PIN dispositivo INPS:

1) creando un proprio account sul portale www.ClicLavoro.it;

2) una volta creato l'account, accedere al portale www.lavoro.gov.it  e nello specifico al form on-line per la trasmissione della comunicazione, oppure ad un modulo precedente inviato per la revoca;

3) Compilare il modulo dimissioni o risoluzione consensuale tramite PEC al datore di lavoro e alla Direzione territoriale competente.

B) Se non si possiede il PIN INPS, la trasmissione telematica del modulo dimissioni può essere eseguita rivolgendosi a: Patronati, Sindacati, Enti bilaterali; Commissioni di certificazione.

Una volta confermati i dati inseriti, il modello potrà essere salvato in formato PDF e sarà inviato automaticamente al datore di lavoro e alla Direzione territoriale competente, dal seguente indirizzo dimissionivolontarie@pec.lavoro.gov.it.


giovedì 18 febbraio 2016

Bonus assunzione per il 2016: disoccupati, pensionati e collaboratori


La legge di Stabilità 2016 ha prorogato gli sgravi contributivi in favore dei datori di lavoro che effettuano nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016.

L’agevolazione si estende anche ai rapporti a tempo indeterminato instaurati con scopo di somministrazione. Non può, invece, rientrare fra le tipologie incentivate il contratto di lavoro intermittente o a chiamata.

Il Ministero del Lavoro ha chiarito tutti i casi in cui spetta il bonus assunzione ovvero alle aziende che impiegano disoccupati, anche se pensionati e collaboratori trasformati in lavoratori subordinati, ad affermarlo è il Ministero.

Lo scopo del bonus è quello di gratificare le imprese che assumono con contratto a tempo determinato permettendo ai datori di lavoro di fruire di uno sgravio contributivo.

Visto che il fine del bonus è quello di creare lavoro per i disoccupati dalle assunzioni con il bonus non si escludono nè i pensionati nè i collaboratori le cui collaborazioni vengano trasformate in lavoro subordinato. La platea dei beneficiari viene infatti ampliata sulla base della finalità della normativa: incentivare il ricorso alle assunzioni a tempo indeterminato. Per questo motivo il Ministero conferma l’interpretazione per la quale sono esclusi dal bonus assunzioni solo quei soggetti esplicitamente tagliati fuori dalla legge.

Il bonus assunzioni prevede uno sgravio contributivo del 40% per gli assunti del 2016 per tutti i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato privi di un’occupazione stabile.

L’agevolazione spetta per tutti coloro che nei 6 mesi precedenti sono risultati privi di un’occupazione stabile (ovvero di un contratto a tempo indeterminato). I pensionati, che pur percependo un assegno pensionistico che garantisca loro una certa stabilità economica, non possono essere assimilati al lavoro a tempo indeterminato e proprio su questa casistica il Ministero si è espresso rispondendo all’interpello n 4 del 2016 affermando che “Si ritiene pertanto che, in assenza di una preclusione espressa da parte del Legislatore, l’ipotesi di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori già percettori di trattamento pensionistico possa rientrare nel campo di applicazione della disposizione di cui all’art. 1, comma 118, L. n. 190/2014.”

Ricordiamo che il bonus assunzioni prevede uno sgravio sui contributi INPS relativi ai nuovi contratti a tempo indeterminato esonero 2016: 3.250 euro fino a 24 mesi. L’agevolazione spetta in caso di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori privi di occupazione stabile (disoccupati), sia da parte di aziende che di altri enti o liberi professionisti, a patto che l’azienda sia in possesso del DURC regolare, non siano state commesse violazioni delle norme essenziali di lavoro e siano state rispettate quelle previste dai contratti collettivi.

L’agevolazione spetta per tutte le assunzioni di lavoratori che, nei 6 mesi precedenti, percepivano redditi non configurabili come occupazione stabile, intesa come rapporto a tempo indeterminato. In tale casistica non rientrano i pensionati che, pur avendo un assegno che garantisce loro una certa stabilità di reddito, non possono essere assimilati al rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Su questo punto il Ministero si è espresso nella riposta ad uno specifico interpello (Mlps. Int. n. 4/2016).

Il bonus spetta anche in caso di trasformazione del precedente rapporto in un contratto a tempo indeterminato.

I lavoratori per i quali non spetta il bonus assunzione sono quelli che, nei 6 mesi precedenti:
abbiano stipulato un contratto di apprendistato, in quanto configura comunque un contratto a tempo indeterminato, nonostante la possibilità di disdetta finale;
abbiano avuto un rapporto a tempo indeterminato, ma non abbiano superato il periodo di prova.

Sono esclusi dal bonus assunzione, infine, anche i lavoratori che, pur essendo non occupati nei 6 mesi precedenti, abbiano già fruito del bonus, anche in un’altra azienda.

venerdì 8 gennaio 2016

Convalida dimissioni lavoratrice madre


Il nuovo modello è rivolto a madri e padri lavoratori e ricorda le alternative alle dimissioni con i nuovi congedi parentali.

Anche se è indubbio che la convalida delle dimissioni della lavoratrice madre costituisca una misura volta a rendere effettivo il divieto di licenziamento fino all’anno di vita della prole, occorre valutare se le tutele siano concepite in modo così speculare da condizionare i rispettivi ambiti d’applicazione e in particolare il regime delle dimissioni durante il periodo di prova.

E’ stata recentemente pubblicata la lettera circolare prot. n. 22350 del 18 dicembre 2015 della Direzione Generale per l’Attività Ispettiva, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la quale comunica, alle proprie Direzioni territoriali, la modifica del modello di convalida delle dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro da parte delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri.

La compilazione del nuovo modello avverrà entro l’anno 2016 ed è stata predisposta al fine di far conoscere esaustivamente ai lavoratori interessati, le possibili alternative alle dimissioni ed i relativi diritti, come:

la possibilità di fruire del congedo parentale su base oraria (ex art. 32, D.L.vo n. 151/2001);
il diritto a chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, in alternativa al congedo parentale (art. 8, comma 7, D.L.vo .n 81/2015).

In particolare, nella prima parte del modulo per la dichiarazione della lavoratrice madre/lavoratore padre, sono stati introdotti la possibilità di fruire del congedo parentale su base oraria (ex art. 32, D.L.gs n.151/2001) ed il diritto a chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, in luogo del congedo parentale (art. 8, comma 7, D.L.gs n. 81/2015).

La lettera circolare del Ministero rileva come nel nuovo modulo sia stato altresì precisato che l’estensione dell’indennità prevista per il licenziamento all'ipotesi di dimissioni della lavoratrice madre/del lavoratore padre (ex art. 55 comma 1 D.Lgs n.151/2001) è riferita soltanto a quelle presentate fino al compimento del primo anno di vita del figlio, salva l’ipotesi di dimissioni per giusta causa per le quali spetta l’indennità.

Nel nuovo modello è stato specificato la causa delle dimissioni non convalidate, riconducibili alle seguenti tipologie: “mancata genuinità del consenso”, “mancata conoscenza dei propri diritti”, “altro”.

Sono state apportate delle variazioni all'elenco delle motivazioni delle dimissioni/risoluzioni consensuali, inserendo il riferimento a “organizzazione e condizioni di lavoro particolarmente gravose” e “mutamento della sede di lavoro e delle mansioni”.

L’ipotesi delle dimissioni/risoluzioni consensuali per trasferimento d’azienda (ex lettera f), prima classificata come "chiusura/cessazione/trasferimento d’azienda" è stata ora definita quale “mutamento delle condizioni di lavoro a seguito di trasferimento d’azienda”.

La riformulazione della lettera f è stata attuata al fine di prevenire eventuali elusioni della disciplina relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda (art. 2112 c.c.): in tale ipotesi il personale che riceve la richiesta di convalida dovrebbe chiarire al lavoratore interessato che, in caso di rilevanti modifiche delle condizioni di lavoro in occasione del trasferimento d’azienda, si applica la disciplina delle dimissioni per giusta causa.

Infine si rileva come sia stato eliminato il riferimento al “desiderio di cura esclusiva della prole” in quanto, trattandosi di una causale difficilmente verificabile, potrebbe dissimulare eventuali causali connesse a situazioni di discriminazione.

Inoltre, al fine di evitare la duplicazione nella rilevazione dei dati, il Ministero ha precisato che, ove non si proceda alla convalida in ragione del fatto che la richiesta risulta di competenza di altro Ufficio, il personale addetto dovrà limitarsi ad indirizzare la lavoratrice madre/il lavoratore padre alla Direzione territorialmente competente, senza procedere alla compilazione della modulistica in discussione e senza computare la relativa pratica tra le “dimissioni non convalidate”.

Il Ministero ha precisato, ulteriormente, che – in entrambi i modelli sopraindicati – sono state altresì apportate alcune modifiche con riferimento all’elenco delle motivazioni delle dimissioni/risoluzioni consensuali e, in particolare, è stato inserito il riferimento a:

organizzazione e condizioni di lavoro particolarmente gravose e/o difficilmente conciliabili con le esigenze di cura della prole (nuova lettera d);

mutamento della sede di lavoro e delle mansioni (nuove lettere e, f).

L’ipotesi delle dimissioni/risoluzioni consensuali per trasferimento d’azienda (che nel precedente modulo era classificata come “chiusura/cessazione/trasferimento azienda”, alla lettera f) è stata ora definita in maniera più circostanziata nella nuova lettera h, quale “mutamento delle condizioni di lavoro a seguito di trasferimento d’azienda“.

In particolare, per evitare di causare confusione, si è eliminata l’ipotesi di dimissioni per chiusura/cessazione d’azienda in cui in sostanza si è in presenza di un licenziamento con tutte le conseguenze in termini di indennità e trattamento di disoccupazione, di cui il lavoratore/la lavoratrice dovrebbe essere informato/informata.

La riformulazione della lettera f) è stata effettuata al fine di prevenire eventuali violazioni della disciplina dell’art. 2112 del codice civile: in tale ipotesi il personale che riceve la richiesta di convalida dovrebbe chiarire al lavoratore interessato che – in caso di rilevanti modifiche delle condizioni di lavoro in occasione del trasferimento d’azienda che abbiano determinato la decisione di dimettersi della lavoratrice/del lavoratore – si applica la disciplina delle dimissioni per giusta causa.

E’ stato, altresì, eliminato il riferimento al “desiderio di cura esclusiva della prole” (precedentemente contenuto alla lettera d), in quanto, trattandosi di una situazione difficilmente verificabile in base a parametri oggettivi in occasione della procedura di convalida, potrebbe dissimulare eventuali causali connesse a situazioni di discriminazione che potrebbero aver determinato una manifestazione di volontà non genuina da parte della lavoratrice madre/del lavoratore padre interessati. Del resto, tale motivazione, qualora realmente sussistente, potrebbe senz’altro confluire nella voce “altro“.

La nuova modulistica è disponibile sul sito intranet, nell’apposita sezione “Modulistica in uso” e dovrà essere utilizzata, in sostituzione di quella attualmente adottata, per l’effettuazione del monitoraggio delle convalide delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, a partire dall’anno 2016.


lunedì 4 gennaio 2016

Contributo di solidarietà: cessazione azienda e licenziamenti


Al fine di fornire indicazioni operative sulla procedura di concessione ed erogazione del contributo nelle ipotesi di sopravvenuta cessazione dell'attività aziendale in corso di solidarietà, il Ministero del Lavoro ha comunicato con la nota n. 21091 del 26 ottobre 2015 quanto segue: la procedura per ottenere un contributo in caso di cessazione dell’attività aziendale e di licenziamenti di lavoratori in corso di solidarietà. Il contributo è concesso alle imprese che non rientrano nel campo di applicazione del trattamento di integrazione salariale, richiede un apposito contratto e viene corrisposto per massimo due anni (in rate trimestrali, ripartito tra impresa e lavoratori) ed è pari alla metà del monte ore retributivo non più dovuto dalle aziende a seguito della riduzione di orario.

Quali sono le imprese che hanno diritto al contributo di solidarietà? Come si presenta la domanda? E nei casi particolari?

E’ tutto spiegato in una Circolare del Ministero del Lavoro n.26 del 7 novembre 2014, che fornisce le istruzioni sul contributo pari alla metà del monte ore retributivo non più dovuto a causa della riduzione di orario.

Possono accedere all'agevolazione, oltre a tutte le aziende già comprese nella legge sui contratti di solidarietà (726/1984), le imprese:
fra 2 e 15 dipendenti, indipendentemente dal settore di attività;

con più di 15 dipendenti se hanno avviato procedure di mobilità o intendono procedere a

licenziamenti per giustificato motivo oggettivo;

alberghiere e termali indipendentemente dal numero di dipendenti;

artigiane con almeno 2 dipendenti e lavoratori sottoposti a riduzione di orario con compenso a carico dei fondi bilaterali.

Il contratto di solidarietà è applicabile anche a dipendenti a termine, apprendisti, contratti di inserimento. All'avvio del periodo di solidarietà, il dipendente deve avere un’anzianità aziendale di almeno 90 giorni. La solidarietà dura un massimo di 24 mesi, poi va eventualmente ricontrattata.

Durante le ore di astensione del lavoro, il dipendente può svolgere attività formative solo in presenza di tutte le seguenti condizioni: la riorganizzazione aziendale prevede che sia adibito a mansioni differenti o all'utilizzo di nuove apparecchiature; il progetto formativo ha adeguata attenzione ad aspetti teorici e pratici; è presente un tutor, un istruttore o una figura analoga.

Durante la solidarietà non si possono effettuare licenziamenti o attivare procedure di mobilità. E’ invece possibile trasformare in tempo indeterminato un contratto a termine o un apprendistato (la precisazione è importante perché si tratta di un periodo in cui l’impresa non può fare assunzioni). Se viene ceduto un ramo d’azienda, può essere mantenuto il contratto di solidarietà.

L’impresa presenta la domanda alla DTL (Direzione Territoriale del Lavoro), che verifica i requisiti e comunica l’ammissione. Il calcolo del contributo di solidarietà si effettua sulla base della retribuzione lorda denunciata all’INPS nei 12 mesi precedenti, escludendo i compensi per il lavoro straordinario.

Per le domande di solidarietà acquisite dalle DTL territorialmente competenti in data successiva al 18 novembre 2014, trova applicazione la circolare n. 28/2014.

Quest’ultima prevede espressamente quanto in precedenza applicato in via di mera prassi: "Solo nel caso in cui l'impresa abbia già anticipato la quota spettante ai lavoratori ed eventualmente anche la propria quota, ove nell'accordo sindacale sia prevista la devoluzione da parte dell'azienda; le D.T.L. dovranno individuare l'ammontare da restituire all'impresa."(cfr. pag. 5 circolare n. 28/2014)

Si prospettano, pertanto, quattro ipotesi:
- qualora l'accordo sindacale preveda la devoluzione della quota di contributo aziendale a favore dei lavoratori e ci sia stata anticipazione, all'azienda viene erogato tutto il contributo:
- qualora l'accordo sindacale non preveda la devoluzione della quota di contributo aziendale a favore dei lavoratori e ci sia stata anticipazione, viene erogata solo la quota del contributo dei lavoratori:
- qualora l'accordo sindacale preveda la devoluzione della quota di contributo aziendale a favore dei lavoratori e non ci sia stata anticipazione, ai lavoratori viene erogata solo la loro quota del contributo:
- qualora l'accordo sindacale non preveda la devoluzione della quota di contributo aziendale a favore dei lavoratori e non ci sia stata anticipazione, ai lavoratori viene erogata solo la loro quota del contributo.

Infine, nel caso in cui all'atto del pagamento del contributo non fosse possibile individuare l'azienda beneficiaria o il soggetto preposto alla gestione della crisi aziendale (es. commissario liquidatore, curatore fallimentare etc.) il procedimento di concessione dovrà ritenersi necessariamente concluso con l'atto di erogazione della quota spettante ai singoli lavoratori, salva successiva individuazione del titolare beneficiario.

Le istruzioni per la concessione del contributo sono contenute nella Circolare 28/2014, i criteri per le cessazioni con licenziamenti in corso di solidarietà nella Nota 21091/2015. Si deve quindi distinguere tra domande acquisite prima e dopo l’entrata in vigore della circolare n. 28, ossia il 18 novembre 2014.

Prima del 18 novembre 2014
Per tali domande trova applicazione la circolare n. 20/2004 del Ministero, che individua nella cessazione dell’attività il venir meno della finalità dell’ammortizzatore sociale. In tal caso l’azienda perde il diritto al contributo e di conseguenza le DTL – qualora accertino la cessazione in corso di solidarietà – devono individuare la quota del contributo spettante ai singoli lavoratori interessati, provvedendo ad acquisire e a segnalare le loro coordinate bancarie. La quota aziendale deve essere rimborsata.

Dopo il 18 novembre 2014
“Solo nel caso in cui l’impresa abbia già anticipato la quota spettante ai lavoratori ed eventualmente anche la propria quota, ove nell’accordo sindacale sia prevista la devoluzione da parte dell’azienda, le DTL dovranno individuare l’ammontare da restituire all’impresa”.

In tali casi si applica la circolare n. 28. Ecco le opzioni possibili:

viene erogato tutto il contributo: se l’accordo sindacale prevede la devoluzione della quota aziendale
a favore dei lavoratori e c’è stata anticipazione;

viene erogata all’azienda la quota dei lavoratori: se l’accordo sindacale non prevede la devoluzione della quota aziendale a favore dei lavoratori e c’è stata anticipazione;

viene erogata ai lavoratori la loro quota: se l’accordo sindacale prevede la devoluzione della quota aziendale a favore dei lavoratori e non c’è stata anticipazione;

viene erogata ai lavoratori la loro quota: se l’accordo sindacale non prevede la devoluzione della quota aziendale a favore dei lavoratori e non c’è stata anticipazione;

Licenziamenti
In relazione ai licenziamenti in corso di solidarietà, trova applicazione la circolare n. 28.
“Durante il regime di solidarietà è fatto divieto di mettere in mobilità o licenziare, tranne che per giusta causa, sia i lavoratori in solidarietà che gli eventuali dipendenti dell’impresa non interessati dal contratto di solidarietà. Qualora ciò avvenga, l’azienda perderebbe la propria quota di contributo in relazione ai dipendenti licenziati, ancorché anticipata agli stessi”.

Di conseguenza, nel caso di cessazione dell’attività dopo la chiusura del periodo di solidarietà, se l’intimazione dei licenziamenti dei lavoratori interessati alla solidarietà è avvenuta dopo la chiusura del periodo, la quota aziendale va in ogni caso riconosciuta all'azienda.

venerdì 9 ottobre 2015

Integrazione salariale: rimborso alle aziende entro sei mesi


Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito le prime indicazioni e chiarimenti operativi in merito alle nuove disposizioni in tema di riordino della materia degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, con particolare riferimento durata e procedimento di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale.

La cassa integrazione riformata comporta novità anche per le imprese, con la nuova decadenza per la richiesta di rimborso all’INPS. Il trattamento viene infatti anticipato dall’azienda alla fine di ogni periodo di paga, con importo rimborsato dall’INPS o conguagliato in base alle norme sui contributi dovuti e prestazioni corrisposte.

Per i trattamenti richiesti dal 24 settembre (entrata in vigore del Dlgs 148/2015) o in data anteriore ma non ancora conclusi al 24 settembre, è introdotto il termine di 6 mesi dalla fine del periodo di paga. In via esemplificativa, se il periodo autorizzato scatta il giorno 1° ottobre, l’azienda potrà richiedere il rimborso all’INPS o effettuare il conguaglio entro 6 mesi decorrenti dal 30 ottobre, quindi entro il 30 aprile, a pena di decadenza.

Se il provvedimento di concessione è successivo al termine del trattamento di integrazione salariale autorizzato, i 6 mesi decorrono dalla concessione. In via esemplificativa, nell’ipotesi in cui il trattamento sia autorizzato per il periodo dal 1° dicembre 2015 al 30 novembre 2016, con decreto direttoriale emesso e datato 1° gennaio 2017, i sei mesi decorrono dalla data del provvedimento, ovvero dal 1° gennaio 2017.

Nel caso in cui non sia ancora stato chiesto il rimborso INPS per trattamenti conclusi prima del 24 settembre, i 6 mesi decorrono dall’entrata in vigore del decreto (quindi, bisogna chiedere il rimborso entro il 24 marzo, a pena di decadenza) oppure, se successiva, dalla data del provvedimento di autorizzazione. Esempio: trattamento di integrazione salariale dal primo dicembre 2013 al 30 novembre 2014, i sei mesi si calcolano dal 24 settembre 2015 (entrata in vigore del decreto di riforma ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro). Se però il decreto di concessione è stato emesso il 30 settembre 2015, i 6 mesi decorrono da tale data.

Resta possibile, per la cassa integrazione straordinaria, il pagamento diretto da parte dell’INPS, che deve essere disposto dal ministero del Lavoro contestualmente al provvedimento di concessione.

L’impresa deve farne richiesta, sulla base di documentate difficoltà finanziarie. Il pagamento diretto INPS può essere revocato nel caso in cui il servizio ispettivo accetti l’assenza di difficoltà finanziarie dell’azienda.

Cambia il sistema di calcolo dei contributi da parte delle imprese beneficiarie della cassa integrazione. C’è un collegamento diretto tra costo del trattamento e la sua durata. Le aziende devono un contributo ordinario e, nei casi di utilizzo delle integrazioni salariali, un contributo aggiuntivo.

Il contributo ordinario per la cassa integrazione ordinaria. A carico delle imprese potenziali beneficiarie della cassa integrazione ordinaria è stabilito un contributo ordinario, nella misura di:

a) 1,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese industriali
che occupano fino a 50 dipendenti;

b) 2,00 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese industriali che occupano oltre 50 dipendenti;

c) 4,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli operai delle imprese dell'industria e artigianato edile;

d) 3,30 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli operai delle imprese dell'industria e artigianato lapidei;

e) 1,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impiegati e quadri delle imprese dell'industria e artigianato edile e lapidei che occupano fino a 50 dipendenti;

f) 2,00 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impiegati e quadri delle imprese dell'industria e artigianato edile e lapidei che occupano oltre 50 dipendenti.

Il contributo ordinario per la cassa integrazione straordinaria. L’articolo 23 del Decreto conferma l’aliquota di contribuzione ordinaria già prevista dalla normativa precedente: “E' stabilito un contributo ordinario nella misura dello 0,90 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dei lavoratori per i quali trova applicazione la disciplina delle integrazioni salariali straordinarie, di cui 0,60 % a carico dell'impresa o del partito politico e 0,30 % a carico del lavoratore.

Poi c’è un contributo dovuto sia per la cassa integrazione ordinaria che straordinaria in caso di presentazione della domanda di integrazione salariale. L’art. 5 del Decreto Legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 stabilisce la contribuzione addizionale che devono versare le imprese: “A carico delle imprese che presentano domanda di integrazione salariale è stabilito un contributo addizionale, in misura pari a:

9 % della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione salariale ordinaria o straordinaria fruiti all'interno di uno o più interventi concessi sino a un limite complessivo di 52 settimane in un quinquennio mobile; b) 12 % oltre il limite di cui alla lettera a) e sino a 104 settimane in un quinquennio mobile; c) 15 % oltre il limite di cui alla lettera b), in un quinquennio mobile.

Si passa quindi dalle vecchie aliquote del 4% per la CIG ordinaria (che diventava 8% nelle aziende con oltre 50 addetti) e del 3% per la CIGS (che diventava 4,5% nelle imprese con più di 50 dipendenti) alla percentuale identica per entrambi i trattamenti del 9% che poi diventa il 12% e il 15%, come chiarito sopra. Per la cassa integrazione straordinaria le aliquote raddoppiano come minimo. Ovviamente in caso di utilizzo dei trattamenti di integrazione salariale.

Dall’altro lato calano invece i contributi ordinari dovuti da tutte le imprese potenziali beneficiarie per la cassa integrazione ordinaria, mentre quelli per la cassa integrazione straordinaria rimangono identici. La percentuale per la CIGO infatti è ora dell’1,70% per le aziende fino a 50 dipendenti, mentre nel passato era dell’1,90%. Per le aziende con oltre 50 dipendenti la percentuale è del 2% rispetto al 2,2% della precedente normativa.

domenica 4 ottobre 2015

Allattamento: il riposo giornaliero è facoltativo


I riposi giornalieri per l’allattamento sono ore di riposo che possono essere richieste dalle mamme che lavorano, e in alcuni casi anche dai papà che lavorano, per avere il tempo di allattare il loro bambino.

Sono regolamentati per legge, esattamente come il congedo parentale e i congedi per malattia del bambino, e per ottenerli bisogna presentare una domanda apposita.
Le ore di riposo giornaliero per l’allattamento spettano alle mamme e in alcuni casi anche ai papà.

Se ne ha diritto se:
• una lavoratrice dipendente, sia che tu abbia messo al mondo un figlio, sia che tu abbia adottato o avuto in affidamento un bambino,
• una lavoratrice dipendente in aspettativa sindacale,
• una lavoratrice socialmente utile (LSU, LPU e ASU) e lavori a tempo pieno.

Per i riposi giornalieri è dovuta un’indennità pari al 100% della retribuzione. L’indennità è anticipata dal datore di lavoro ma è a carico dell’INPS. Ai fini della pensione, il periodo di congedo viene conteggiato per intero con l’accredito dei contributi figurativi (ossia i contributi accreditati, senza oneri a carico del lavoratore, per periodi durante i quali non ha prestato attività lavorativa). Non è richiesta nessuna anzianità contributiva pregressa.

Il datore di lavoro deve consentire alla lavoratrice madre, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero è inferiore a sei ore ( art.39 del D.lgs.151/2001).

Tali periodi di riposo hanno la durata di un’ora ciascuno.

I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

Gli stessi periodi previsti per la madre sono riconosciuti al padre (art.40 del D.lgs.151/2001):
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
d) in caso di morte o di grave infermità della madre.

In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche dal padre.

Le disposizioni soprariportate si applicano anche in caso di adozione e di affidamento entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia. 

Il Ministero del lavoro nell'interpello 23 del 24 settembre 2015, risponde ai Consulenti del lavoro sui riposi giornalieri per allattamento

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha presentato un quesito al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in merito alla disciplina dei riposi giornalieri per la lavoratrice madre  - chiamati un tempo permessi per  allattamento  - durante il primo anno di vita del bambino ( D.Lgs. 26/03/2001, n. 151).

In particolare ha chiesto se, nelle ipotesi in cui la lavoratrice madre non intenda usufruire di tali riposi, spontaneamente e per proprie esigenze, al datore di lavoro si applichi la sanzione contemplata dall’art. 46 del d.lgs. 151/2001.

La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e con interpello n. 23 del 24 settembre 2015 ha precisato che a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di astensione obbligatoria per maternità, la lavoratrice madre può scegliere se esercitare o meno il proprio diritto, fruendo dei riposi; nell’ipotesi in cui decida di esercitarlo e il datore di lavoro non le consenta il godimento dei periodi di riposo troverà applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria stabilita dall’art. 46 citato. Diversamente, qualora la lavoratrice madre presenti una preventiva richiesta al datore di lavoro per il godimento dei permessi giornalieri e successivamente, in modo spontaneo e per proprie esigenze non usufruisca degli stessi per alcune giornate, non sembra ravvisabile la violazione dell’art. 39 e di conseguenza non potrà trovare applicazione la misura sanzionatoria ad essa collegata.

Resta ferma la possibilità, da parte degli organi di vigilanza, di effettuare eventuali verifiche in ordine alla spontaneità della rinuncia della lavoratrice circa il godimento dei permessi in questione. Al riguardo appare pertanto opportuno che la suddetta rinuncia sia giustificata da ragioni che rispondano in modo inequivocabile ad un interesse della lavoratrice (ad es. frequenza di un corso di formazione, impossibilità di rientrare in casa in ragione di uno sciopero dei mezzi pubblici ecc.).

sabato 30 maggio 2015

Contratto a tutele crescenti: dal 1 giugno offerta di conciliazione online



Con nota del 27 maggio 2015 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha reso operativa la comunicazione obbligatoria in caso di intervenuta conciliazione a posteriore di un licenziamento comminato ad un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Sarà possibile inviare con Unilav-conciliazione la comunicazione obbligatoria integrativa prevista dal nuovo contratto a tutele crescenti del Jobs Act per la risoluzione stragiudiziale dei licenziamenti.

Con la nuova procedura digitale  i datori di lavoro   potranno comunicare le informazioni necessarie relative al procedimento di conciliazione per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti illegittimi. La nota ricorda che " Tale conciliazione prevede che il datore di lavoro possa offrire una somma predeterminata al lavoratore in cambio della rinuncia all'impugnazione del licenziamento , somma che non rientra nel reddito imponibile ai fini fiscali. La norma si applica ai lavoratori assunti con il nuovo contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015"

Ad integrazione della comunicazione telematica di cessazione, il datore di lavoro dovrà comunicare i dati relativi all'offerta di conciliazione entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, come previsto dal decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti attuativo del Jobs Act. Dal 1° giugno 2015, nella sezione "Adempimenti" del portale cliclavoro, sarà disponibile un' applicazione "UNILAV_Conciliazione" utilizzabile dai datori di lavoro - previa registrazione al portale - per comunicare le informazioni relative al procedimento di conciliazione. i datori di lavoro potranno inviare gli esiti dell'offerta di conciliazione intervenuta con il lavoratore. La mancata comunicazione integrativa è punita con l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500 per ogni lavoratore interessato.

Il Jobs Act introduce un nuovo istituto di conciliazione per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti illegittimi, che consente al datore di lavoro di offrire una somma predeterminata e certa al lavoratore in cambio della rinuncia alla impugnazione del licenziamento, somma che per il lavoratore non rientra nel reddito imponibile ai fini fiscali.

La legge ha disposto che:
la comunicazione telematica di cessazione del rapporto di lavoro dev'essere integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi, da parte del datore di lavoro, entro sessantacinque giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale dev'essere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione, di cui alla norma in commento.

Per effettuare tale comunicazione i datori di lavoro dovranno registrarsi al portale cliclavoro e accedere all'applicazione inserendo il codice di comunicazione rilasciato al momento della comunicazione di cessazione. Questo dato serve ad collegare l’offerta di conciliazione al rapporto di lavoro cessato.

Sanzioni
Sempre il terzo comma dell’art.6 in questione prevede che l’omissione di detta comunicazione integrativa sia assoggettata alla stessa sanzione prevista per l’omissione della comunicazione, di cui al predetto art.4-bis, ovverosia con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100,00 ad euro 500,00 per ogni lavoratore interessato.



sabato 23 maggio 2015

Tirocinio formativo e stage norme e linee guida



Il tirocinio formativo consiste in un periodo di formazione utile acquisizione di nuove competenze da utilizzare per inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro e non è assimilabile in alcun modo ad un rapporto di lavoro subordinato.

La disciplina che regolamenta i tirocini è di competenza regionale e si distingue in base alla tipologia dei destinatari dell’azione formativa.

L'utilizzo da parte delle aziende resta limitato. Il tirocinio formativo o stage è un contratto volto a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro che  consiste in un periodo di orientamento al lavoro e formazione in azienda, promosso e assistito da un ente terzo ( detto soggetto promotore) rispetto alle parti in causa: datore di lavoro (o soggetto ospitante ) e tirocinante.

I tirocini curriculari - promossi dalle università o dalle scuole – sono svolti all'interno di un percorso formale di istruzione o formazione.

Mentre l’ambito più ampio dei tirocini extracurriculari comprende:

Tirocini formativi e di orientamento, svolti da soggetti che abbiano conseguito un titolo di studio entro e non oltre i 12 mesi (neodiplomati o neolaureati), finalizzati ad agevolare le scelte professionali e l’occupazione dei giovani nella transizione scuola lavoro

Tirocini di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, finalizzati a percorsi di recupero occupazionale a favore di inoccupati e disoccupati, anche in mobilità, nonché a beneficiari di ammortizzatori sociali sulla base di specifici accordi in attuazione di politiche attive del lavoro.

Tirocini di orientamento e formazione oppure di inserimento/reinserimento in favore di disabili, persone svantaggiate e richiedenti asilo politico o titolari di protezione internazionale

Tirocini finalizzati allo svolgimento della pratica professionale e all’accesso alle professioni ordinistiche.

Tirocini transnazionali realizzati nell'ambito di specifici programmi europei (LLP) tirocini per soggetti extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso, tirocini estivi.

Tirocini per soggetti extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso

Tirocini estivi.

Le principali novità prescritte in tali linee guida sono le seguenti:

i tirocini formativi e di orientamento vengano destinati a solo soggetti a soggetti che abbiano conseguito un titolo di studio da meno di 12 mesi.

Per quanto concerne la durata dei tirocini, le linee guida prevedono:

per i tirocini formativi e di orientamento una durata massima di 6 mesi; per i tirocini di inserimento/reinserimento al lavoro una durata massima di 12 mesi;

per i tirocini attivati in favore di soggetti svantaggiati una durata massima di 12 mesi;
per tirocini attivati in favore di soggetti disabili una durata massima di 24 mesi.

La durata massima per le diverse tipologie si intende comprensiva di eventuali proroghe.

L'accordo prevede l'obbligo a corrispondere una indennità per il tirocinante che non può essere inferiore a 300 euro lordi mensili, fatto salvo in ogni caso un importo maggiore stabilito dalle diversi leggi regionali sulla materia. durante l'attività anche per gli stagisti si applicano le norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Non è prevista una visita medica preventiva mentre è obbligatoria l'iscrizione all'Inail per la copertura contro gli infortuni sul lavoro e una polizza di responsabilità civile verso terzi.

Non configurandosi come un rapporto di lavoro e proprio, il tirocinio è finalizzato all'arricchimento delle conoscenze, all'acquisizione di competenze professionali e all'inserimento o reinserimento lavorativo.

I tirocini si distinguono in
“curriculari”, quelli inclusi in un processo di apprendimento formale, svolti,  spesso obbligatoriamente, all’interno di piani di studio delle università e degli istituti scolastici , e “non curriculari”  promossi indipendentemente dal percorso formativo  8ad es. dopo la laurea, o rivolti a particolari categorie con fondi speciali.

In ogni caso, come detto, per realizzare un tirocinio formativo è necessaria innanzitutto  una convenzione tra l’ente promotore (università, scuole superiori , provveditorati agli studi, agenzie per l’impiego, centri pubblici di formazione professionale e/o orientamento, fondazioni dei consulenti del lavoro, comunità terapeutiche e cooperative sociali, servizi di inserimento lavorativo per disabili, istituzioni formative private non a scopo di lucro) e il soggetto ospitante (azienda, studio professionale, cooperativa, enti pubblici etc.), corredata da un progetto formativo redatto dal datore di lavoro.

Per quanto riguarda i tirocini formativi rivolti a cittadini stranieri, occorre distinguere tra:

1) gli stranieri che sono già in Italia con un regolare permesso di soggiorno che abilita al lavoro, possono svolgere tirocini formativi alle stesse con dizioni previste per gli italiani;

2) gli stranieri ancora residenti all’estero e che vogliono entrare in Italia per svolgere un tirocinio. Per fare ingresso in Italia per tale motivo non è necessario il nulla osta al lavoro ma occorre ottenere un visto di ingresso per motivi di studio o formazione che viene rilasciato dalla rappresentanza diplomatico-consolare del Paese in cui risiede lo straniero nei limiti di quote periodicamente determinate.

Gli ingressi per tirocini formativi, infatti, pur avvenendo al di fuori delle quote annualmente stabilite dal decreto-flussi, sono possibili solo nell'ambito di un determinato contingente, stabilito con un decreto interministeriale ogni tre anni.

Tra i più importanti soggetti promotori invece per i tirocini post laurea (extracurricolari) o per progetti di reinserimento lavorativo  per le categorie svantaggiate si segnalano:

i Centri per l'impiego,

gli enti locali come Provincie e Regioni.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali  che mette a disposizione Cliclavoro www.cliclavoro.gov.it: il portale dedicato alla ricerca di lavoro con aggiornamenti e dettagli tecnici sulle opportunità di stage, anche all'estero.

Per realizzare un tirocinio formativo è necessaria una convenzione tra l’ente promotore (università, scuole superiori - pubbliche e private - provveditorati agli studi, agenzie per l'impiego, centri pubblici di formazione professionale e/o orientamento, fondazioni dei consulenti del lavoro, comunità terapeutiche e cooperative sociali, servizi di inserimento lavorativo per disabili, istituzioni formative private non a scopo di lucro) e il soggetto ospitante (azienda, studio professionale, cooperativa, enti pubblici etc.), corredata da un progetto formativo redatto dal soggetto ospitante e dal tirocinante.



martedì 28 aprile 2015

Ambito di applicazione della nuova Naspi



La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con l’Interpello n. 13 del 24 aprile 2015, ha fornito indicazioni in merito all'ambito di applicazione della nuova Naspi, ricordando che l’indennità NASpI, oltre ad essere riconosciuta in caso di involontaria perdita dell’occupazione, è altresì concessa nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Con Interpello del 24 aprile 2015 n. 13, la Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro ha fornito indicazioni in merito all'ambito di applicazione della nuova Naspi (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego, art. 3 del D.Lgs n. 22/2015), ricordando che l'indennità Naspi.

Viene quindi ampliato l’ambito applicativo della Naspi. Oltre ai casi di licenziamento per motivi economici o per giustificato motivo oggettivo, oltre ai casi di disoccupazione per giusta causa (mancato pagamento della retribuzione ad esempio), la nuova prestazione a sostegno del reddito spetta anche per i licenziamenti per giusta causa per motivi disciplinari. Ed anche se il lavoratore accetta la procedura di conciliazione volontaria (che è comunque finalizzata a ridurre il contenzioso tra datore di lavoro e lavoratore). In tutti questi casi viene considerata una disoccupazione involontaria da parte del lavoratore.

Il licenziamento disciplinare, lo ricordiamo, è quel licenziamento che rientra nei casi di licenziamento per giusta causa, ossia quando il licenziamento è motivato da una condotta colposa o manchevole del lavoratore.

La Naspi è la nuova indennità di disoccupazione che viene pagata dall’Inps per gli eventi di disoccupazione a partire dal 1 maggio 2015. La nuova prestazione porta con sé numerose novità soprattutto in termini di requisiti e durata. Ma anche due importanti novità ben chiarire dal Ministero del lavoro nell’interpello che ora vediamo.

La Naspi spetta anche per le dimissioni per giusta causa e per le risoluzioni consensuali. Il Ministero: “L’indennità Naspi oltre ad essere riconosciuta in caso di involontaria perdita dell’occupazione, è altresì concessa nelle ipotesi in cui il lavoratore, ricorrendo una giusta causa, decida di interrompere il rapporto di lavoro e, in tutti i casi in cui in esito alla procedura di conciliazione di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966 – introdotta dall’art. 1 comma 40 della L. n. 92/2012 – le parti addivengano ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro”.

Il Ministero nell’interpello precisa che “a differenza della disciplina normativa sull’ASpI, in virtù della quale il Legislatore aveva tassativamente indicato le fattispecie per cui non fosse possibile fruire del trattamento indennitario, con il dettato di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 22/2015, è stato specificato l’ambito di applicazione “in positivo” per il riconoscimento della nuova prestazione di assicurazione sociale, senza indicare le ipotesi di esclusione”.

Il Ministero autorizza la Naspi per i licenziamenti disciplinari: “Tanto premesso, appare conforme al dato normativo, specie in ragione della nuova formulazione, considerare le ipotesi di licenziamento disciplinare quale fattispecie della c.d. “disoccupazione involontaria” con conseguente riconoscimento della Naspi”.

Il Ministero a ricordato di aver già avuto modo di chiarire, con interpello n. 29/2013 sulla concessione dell’ASpI, come “non sembra potersi escludere che l’indennità di cui al comma 1 e il contributo di cui al comma 31 dell’art. 2, L. n. 92/2012 siano corrisposti in ipotesi di licenziamento disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l’Istituto previdenziale, il quale è intervenuto con numerose circolari per disciplinare espressamente le ipotesi di esclusione della corresponsione dell’indennità e del contributo in parola senza trattare l’ipotesi del licenziamento disciplinare”.

La nota ministeriale sottolinea, altresì, che il licenziamento disciplinare non possa essere inteso tout court quale forma di “disoccupazione volontaria”, in ragione del fatto che la misura sanzionatoria adottata mediante il licenziamento non risulta automatica; infatti, “l’adozione del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio del potere discrezionale” non trascurando, peraltro, l’aspetto dell’impugnabilità del licenziamento stesso che nelle opportune sedi giudiziarie potrebbe essere ritenuto illegittimo.

Il Ministero: “In relazione alla nuova procedura della c.d. offerta di conciliazione “agevolata” introdotta dall’art. 6, D.Lgs. n. 23/2015, si ritiene altresì possibile riconoscere al lavoratore che accetta l’offerta un trattamento o indennità della Naspi.

La norma da ultimo citata stabilisce, nello specifico, che in caso di licenziamento il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento stesso, in una delle sedi di cui all’art. 2113, quarto comma, c.c., un importo che non costituisce reddito imponibile e non risulta assoggettato a contribuzione previdenziale e la cui accettazione da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

Evidentemente l’accettazione in questione non muta il titolo della risoluzione del rapporto di lavoro che resta il licenziamento e comporta, per espressa previsione normativa, esclusivamente la rinuncia all’impugnativa dello stesso.

Ne consegue che, non modificando il titolo della risoluzione del rapporto, tale fattispecie debba intendersi pur sempre quale ipotesi di disoccupazione involontaria conseguente ad atto unilaterale di licenziamento del datore di lavoro.

In definitiva, si ritiene possano essere ammessi alla fruizione dell'indennità della Naspi sia i lavoratori licenziati per motivi disciplinari, sia quelli che abbiano accettato l’offerta economica del datore di lavoro nella ipotesi disciplinata dall’art. 6, D.Lgs. n. 23/2015”.



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