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giovedì 10 maggio 2018

Lavoro part time: la retribuzione



Il contratto part time, conosciuto anche come tempo parziale, è un tipo di contratto che ha un orario ridotto, ossia una parte rispetto a quello previsto dal contratto a tempo pieno che è in generale di 40 ore settimanali (o eventuale orario minore secondo quanto fissato dai cosiddetti CCNL, contratti collettivi nazionali lavoro). Pertanto, se vieni assunto con un contratto di tale tipo, sai già che le tue attività lavorative avranno un orario che non potrà mai essere uguale a quello previsto dal full time. Di contro, la tua retribuzione sarà proporzionalmente ridotta sulla base delle ore effettivamente lavorate.

Il lavoratori part-time hanno diritto alla stessa retribuzione oraria dei dipendenti full-time con il medesimo inquadramento: la sentenza della Cassazione.

Con l’Ordinanza n. 8966/2018 la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale il lavoratore a tempo parziale ha diritto alla medesima retribuzione oraria spettante al lavoratore a tempo pieno inquadrato al medesimo livello, ovvero con il medesimo inquadramento in base al contratto collettivo di lavoro.

Viene quindi confermato il comportamento scorretto, contrario al principio di non discriminazione e in contrasto con le norme comunitarie, dell’azienda che applica ai lavoratori part-time un divisore orario sfavorevole rispetto a quello applicato ai corrispondenti lavoratori a tempo pieno, utilizzando criteri di comparazione diversi da quello legale, avente ad oggetto l’inquadramento del dipendente ai sensi del CCNL applicabile.

I giudici ricordano che l’Accordo quadro UE sul lavoro a tempo parziale, che vieta ogni forma di discriminazione rispetto ai contratti full-time. Nessuna circostanza di fatto, come l’adibizione a turni, può essere utilizzata dal datore di lavoro per giustificare una disparità di trattamento che si rifletta sulla retribuzione globale.

In presenza di tale disparità, il lavoratore può presentare richiesta all’azienda e ottenere di diritto la refusione delle differenze retributive.

Il nuovo Decreto consente al datore di lavoro di  richiedere prestazioni di lavoro supplementare al lavoratore assunto con contratto a tempo parziale in qualsiasi forma (orizzontale, verticale o misto) , nel limite  del 25% di ore settimanali,  prevedendo una  maggiorazione economica del 15% , anche in assenza di disposizioni contrattuali . Se il contratto prevede maggiorazioni superiori devono essere applicate in luogo a quella minima ,  in caso contrario,  deve essere applicato il 15%) .

Il lavoratore può rifiutarsi di prestare il lavoro supplementare solo in presenza di comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

in presenza di rifiuto  ingiustificato all'effettuazione di lavoro supplementare il lavoratore sarà assoggettato ai   provvedimenti disciplinari previsti dal contratto collettivo di lavoro.

La retribuzione oraria globale di fatto per la remunerazione del lavoro supplementare deve tener conto della paga base, della contingenza, Edr, scatti di anzianità, superminimo contrattato, cottimo, indennità di mensa, indennità varie, aumenti al merito, ecc. .

Occorre poi tenere conto della  retribuzione indiretta (ferie, festività , permessi annui retribuiti, premio di risultato (se erogato annualmente), premio ferie, mensilità aggiuntive) e  della retribuzione differita ( trattamenti di fine rapporto e preavviso ).

Vediamo di seguito un esempio di come effettuare il calcolo per la retribuzione del lavoro supplementare, un dipendente ha un  contratto di lavoro a tempo parziale orizzontale di 20 ore settimanali (4 ore al giorno dal lunedì al venerdì).  Il contratto non prevede la regolamentazione del lavoro supplementare e il dipendente ha lavorato tutto il mese  di aprile  2016 effettuando  15 ore di lavoro supplementare .

Ipotizzando una retribuzione oraria pari ed euro 9,00 (comprensiva di paga base, contingenza, scatto anzianità, premio produzione e superminimo);  ai fini del calcolo, però occorre considerare anche la retribuzione indiretta e differita ovvero :

a) retribuzione indiretta : tredicesima, ferie rol e ex festività :  ipotizziamo euro 0,90;

b) retribuzione differita : TFR  ipotizziamo euro 0,50.

La retribuzione da  assumere per il calcolo del lavoro supplementare è pertanto pari a 10,40 euro;

Maggiorazione 15 % = euro 1,56

Totale retribuzione  per lavoro supplementare euro 11,96 x 15 ore =  euro 179,40

La lavoratrice, assunta con contratto a tempo indeterminato con prestazione part-time a 80 ore mensili, articolate su turni giornalieri di 8 ore ciascuno per un minimo di 10 giorni al mese e 80 giorni l'anno, ricorre giudizialmente al fine di chiedere la condanna della società al pagamento delle differenze retributive, stante la corresponsione al personale a tempo parziale di una retribuzione oraria inferiore a quella dovuta al personale dipendente a tempo pieno.

La società si costituisce, sostenendo la legittimità del proprio operato, sulla base del riconoscimento al lavoratore part-time della stessa retribuzione oraria del lavoratore full-time, salva la concessione a quest’ultimo di una retribuzione complessivamente maggiore in ragione dello svolgimento di turni continui e avvicendati.

La Cassazione evidenzia, preliminarmente, come la normativa applicabile sia l’art. 4 del d.lgs. n. 61/2000, attuativo della direttiva 97/81/CE, relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale (poi abrogato dal Jobs Act).

La sopraindicata disposizione, al fine di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale, prevede che gli stessi non debbano ricevere un trattamento economico-normativo meno favorevole rispetto ai prestatori a tempo pieno comparabili, con ciò intendendosi quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi.

Tale equiparazione, continua la sentenza, riguarda ovviamente anche l'importo della retribuzione oraria, con la conseguenza che il trattamento del lavoratore a tempo parziale deve essere riproporzionato unicamente in ragione della ridotta entità della prestazione.
Secondo i Giudici il rispetto del citato principio di non discriminazione esclude che la suddetta comparazione possa eseguirsi in base a criteri diversi da quello contemplato dalla norma con esclusivo riferimento all'inquadramento previsto dalle fonti collettive.
Su tali presupposti, la Suprema Corte, ritenendo l’operato della società lesivo dei su esposti principi, ha rigettato il ricorso proposto dalla medesima.


È possibile avere più part time contemporaneamente?

Si possono infatti avere due o più contratti part time con diversi datori di lavoro, purché appunto questi non superino il limite di 40 ore settimanali come stabilito dal D. Lgs. N.66 del 2003. Per fare un esempio, puoi tranquillamente avere un part time che inizia alle 9 e finisce alle 13 e un altro che va dalle 14 alle 18. Questo per quanto riguarda due contratti part time, va da sé che se hai un part time e un co.co.co o svolti lavoro autonomo, tali limiti non sono da considerare.
Come per tutti i lavoratori, è fondamentale che vengano garantiti i diritti di riposo giornaliero e settimanale.

Eccoli nel dettaglio:

il riposo minimo settimanale, pari ad almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni (inteso come media da rispettare nell’arco di 14 giorni);

il riposo giornaliero, pari ad 11 ore consecutive ogni 24 ore (in questo caso non è possibile considerare alcuna media).

Se per esempio, stai facendo due part time contemporaneamente ma non hai avvertito di questo il tuo datore di lavoro, sappi che se non rispetta i riposi, non è colpa sua quindi non sono previste sanzioni nei suoi confronti. Altra cosa importante: per svolgere due part time con due datori di lavoro differente è importante che tu rispetti il patto di non concorrenza quindi che non vada a lavorare per aziende che sono competitor.

Le parti possono pattuire clausole elastiche (che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part time verticale o misto).





sabato 24 dicembre 2016

CCNL studi professionali: regole per il lavoro a tempo parziale, ferie e retribuzione




Il contratto di lavoro a tempo parziale, meglio conosciuto come contratto part time, indica un rapporto di lavoro subordinato caratterizzato da una riduzione dell'orario di lavoro rispetto a quello a tempo pieno.

Come ogni contratto di lavoro, anche quello part time può essere sia a tempo determinato che indeterminato. Un contratto part time per essere in regola deve essere sottoscritto da entrambe le parti e deve contenere informazioni precise sulla durata della prestazione lavorativa e sull'orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

Tale riduzione può assumere diverse forme: in un primo caso, può essere prevista in relazione all’orario normale giornaliero; in una seconda ipotesi, l’attività lavorativa può invece essere svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana del mese o dell’anno; infine, le parti possono concordare combinazioni delle tipologie precedenti.

Il contratto a tempo parziale e la regolamentazione della durata della prestazione di lavoro costituiscono i punti focali del CCNL degli studi professionali che disciplina nel dettaglio la materia anche sotto il profilo dei margini di flessibilità esigibili dal datore di lavoro.

La regolamentazione contrattuale integra per numerosi aspetti la disciplina legale recata dal decreto legislativo di riordino dei contratti, attuativo del Jobs Act,. prevedendo, in alcuni casi, una disciplina più favorevole al lavoratore. Un esempio è rappresentato dalle prestazioni supplementari per le quali è richiesto, in ogni caso, il consenso del lavoratore.

Il CCNL 17 aprile 2015 dedicato al lavoro negli studi professionali disciplina ampiamente il contratto di lavoro a tempo parziale cui è dedicato il Titolo X della Parte terza.

La regolamentazione contrattuale integra per numerosi aspetti la disciplina legale recata dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 attuativo del Jobs Act, che costituisce il quadro normativo di riferimento.

La legge richiede che il contratto di lavoro a tempo parziale, da stipularsi in forma scritta ai fini della prova, contenga l’indicazione puntuale della durata della prestazione e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno, ma non stabilisce alcun limite minimo per tale durata (il limite massimo deriva indirettamente dall’orario corrispondente al tempo pieno).

In consonanza con l’art. 8 del d.lgs. n. 81/2015, l’art. 39, comma 1, Ccnl studi professionali prevede che i lavoratori affetti da patologie oncologiche e altre patologie invalidanti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso la ASL territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale. A richiesta del lavoratore, il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

In mancanza di regole precise fissate dai contratti collettivi, vengono stabilite per legge le modalità applicative: il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare, le parti possono pattuire clausole elastiche e flessibili in materia ad esempio di orario di lavoro. Le parti possono pattuire clausole elastiche (che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part time verticale o misto).

Si definiscono le aree di applicazione del contratto come segue:
1) Area professionale Economico-Amministrativa: Consulenti del Lavoro, Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Revisori Contabili, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area professionale non espressamente comprese;

2) Area Professionale Giuridica: Avvocati, Notai, altre professioni di valore equivalente.

3) Area professionale Tecnica: Ingegneri, Architetti, Geometri, Periti Industriali, Geologi, Agronomi e Forestali, Periti agrari, Agrotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all’area professionale.

4) Area professionale Medico Sanitaria e Odontoiatrica: Medici, Medici Specialisti, Medici Dentisti, Odontoiatri, Medici Veterinari e Psicologici, Operatori Sanitari, abilitati all’esercizio autonomo delta professione di cui alla specifica Decretazione Ministeriale, ad esclusione dei Laboratori Odontotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all’area.

5) Altre attività professionali intellettuali: Si tratta di quelle attività non rientranti nelle prime quattro aree, con o senza Albo professionale.

E' facoltà del datore di lavoro stabilire il periodo delle ferie di norma da maggio a ottobre, in funzione delle esigenze della struttura lavorativa e sentiti i lavoratori, e secondo i principi del D.lgs. 66/2003 in materia.

A decorrere dal 1° Luglio 1992 il personale di cui al presente contratto avrà diritto ad un periodo di ferie annue nella misura di 26 (ventisei) giorni lavorativi, comprensivi delle giornate di sabato se l'orario è distribuito su 6 (sei) giorni. In caso di regime di "settimana corta", dal lunedì al venerdì. Il periodo di ferie annuali è pari a 22 (ventidue) giorni lavorativi.

2. Il decorso delle ferie resta interrotto nel caso di sopravvenienza, durante il periodo stesso, di malattia regolarmente denunciata e riconosciuta dalle strutture sanitarie pubbliche competenti per territorio.

Eccettuate le prestazioni occasionali o saltuarie, la retribuzione mensile è in misura fissa e cioè non variabile in relazione alle festività, ai permessi retribuiti, alle giornate di riposo settimanale di legge, cadenti nel periodo di paga e, fatte salva le condizioni di miglior favore, alla distribuzione dell'orario settimanale.

Essa si riferisce pertanto a tutte le giornate del mese di calendario.

La retribuzione corrisposta al lavoratore dovrà risultare dal libro unico del lavoro nel quale dovrà essere specificato il periodo di lavoro a cui la retribuzione si riferisce, l'importo della retribuzione, la misura e l'importo dell'eventuale lavoro straordinario e/o supplementare e di tutti gli altri elementi che concorrono a formare l'importo corrisposto nonché tutte le ritenute effettuate.

La quota giornaliera della retribuzione ed il computo dell'indennità sostitutiva delle ferie, si ottiene dividendo l'importo mensile per il divisore convenzionale 26 (ventisei).

La quota oraria della retribuzione si ottiene dividendo l'importo mensile per il divisore convenzionale 170 (centosettanta).

Quando si debba determinare la retribuzione spettante per frazione di mese (inizio o cessazione del lavoro nel corso del mese o assenza non retribuita), si procede alla corresponsione delle quote giornaliere (ventiseiesimi) corrispondente alle presenze effettive.
Le frazioni di anno saranno computate, a tutti gli effetti contrattuali per dodicesimi, computandosi come mese intero le frazioni di mese pari o superiori a quindici giorni.

Gli relativi aumenti applicabili a ciascun livello  da gennaio 2016 sono i seguenti :

Quadri 21,17 €

I LIVELLO  18,74 €
 
2 LIV     16,32 €
 
3  S LIV   15,14 €
 
3  LIV   15,00
 
4 S LIV   14,55
 
4 LIV   14,02
 
5 LIV 13,05



lunedì 29 giugno 2015

Jobs Act: novità e nuove regole per il contratto a tempo parziale



Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, cambiano le regole per i contratti di lavoro a tempo parziale.

La riforma ha introdotto un limite allo svolgimento del lavoro supplementare nonché la possibilità per le parti di concordare clausole flessibili ed elastiche nel caso di mancata previsione di una disciplina da parte del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro. E’ stato poi introdotto il diritto o la preferenza nella trasformazione dal full-time in part-time in ipotesi di patologie che toccano il lavoratore o i familiari e la possibilità di chiedere tale trasformazione in luogo del congedo parentale.

Il Decreto di riordino delle tipologie contrattuali modifica in parte la normativa sul contratto di lavoro a tempo parziale, anche se ripropone sostanzialmente l’attuale disciplina del confermando il ruolo della contrattazione collettiva e prevedendo alcune nuove clausole elastiche (che consentono al datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa) e flessibili (che consentono al datore di lavoro di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa).

Il decreto legislativo ha lasciato invariata la previsione delle diverse tipologie di part-time:

a) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale: se la riduzione dell'orario di lavoro rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro;

b) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale: se l'attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno;

c) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo misto: se si svolge secondo una combinazione delle regole del part-time orizzontale con quello verticale.

Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

Dunque il contratto a tempo parziale può prevedere tanto una riduzione dell’orario di lavoro nella giornata lavorativa o lo svolgimento di un orario di lavoro a tempo pieno ma limitatamente ad alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno.

Il datore di lavoro può richiedere lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare, oltre l’orario di lavoro concordato fra le parti, purché entro il limite del tempo pieno (orario normale di lavoro, o eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati) e non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. La nuova disciplina è intervenuta a regolare l’ipotesi di mancata previsione della disciplina del lavoro supplementare da parte dei contratti collettivi. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non contenga una specifica disciplina del lavoro supplementare, nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 15 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 per cento, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

Il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

Si precisa che il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno, il decreto stabilisce che egli non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento e che il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa.

Interessante la novità che prevede la possibilità per la lavoratrice madre o il lavoratore padre di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale al posto del congedo parentale ancora spettante, purché lo faccia una sola volta e con una riduzione d’orario non superiore al 50%. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.

Le clausole flessibili sono quelle che consentono al datore di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; le clausole elastiche, invece, consentono un aumento della durata della prestazione lavorativa.

I contratti collettivi possono determinare le condizioni e le modalità per l'esercizio del potere di variazione della collocazione temporale della prestazione rispetto a quella concordata inizialmente con il lavoratore, introducendo una clausola di tipo flessibile o di tipo elastico.

La contrattazione collettiva stabilisce:
- le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa;

- le condizioni e le modalità in relazioni alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa;

- i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa.

Altro intervento della nuova disciplina riguarda l’attribuzione del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale a soggetti che si trovano in delicate condizioni di salute.

Tale diritto spetta:

1) Ai lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per le quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda sanitaria locale territorialmente competente. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

E’ poi riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale:

1) In caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale d’invalidità̀ pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

2) Nel caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap.



domenica 14 giugno 2015

Congedo parentale: come cambia con il Jobs act



I genitori possono chiedere il congedo parentale nei primi 12 anni di vita del figlio, non più solo nei primi otto, e il congedo a ore può essere utilizzato anche se non è previsto dal contratto collettivo di riferimento.

Tra le novità più importanti l'allungamento del tempo per fruire del congedo parentale. Quello facoltativo viene infatti portato da 3 a 6 anni e da 8 a 12 anni di età del bambino rispettivamente per quello retribuito al 30% e per quello non retribuito, la cui durata resta comunque di 6 mesi. Si riduce da quindici a cinque giorni il periodo di preavviso al datore di lavoro. Prevista anche la possibilità di 'trasformare' il congedo parentale in part-time al 50%.

Per quanto riguarda la conciliazione vita-lavoro, grosse novità sul congedo parentale che sarà più ampio per entrambi i genitori: si avrà il 30 per cento dello stipendio fino ai 6 anni del bambino , non più tre, e permessi non retribuiti fino a 12 anni invece che 8. Prevista inoltre la possibilità di trasformare il congedo in contratto part time.

Ricordiamo che il congedo parentale prevede la retribuzione al 30% dello stipendio, può arrivare complessivamente a dieci mesi cumulando i periodi presi dai due genitori (elevabile a 11 se il padre prende almeno tre mesi), con un tetto di sei mesi per la madre e di sette per il padre (se c’è un solo genitore, può prendersi tutti i dieci mesi).

La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadri settimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. Da sottolineare, tuttavia, che non si può cumulare il congedo a ore con permessi o riposi. Prima, la fruizione su base orario del congedo parentale era demandata alla contrattazione collettiva (comma 1- bis dell’articolo 32), quindi in pratica questo diritto non era esercitabile in mancanza di riferimenti nel contratto.

Il genitore deve comunicare all’azienda l’intenzione di andare in congedo parentale con l’anticipo previsto dal contratto, e comunque con un termine di preavviso non inferiore a cinque giorni indicando l’inizio e la fine del periodo di congedo: anche questa è una novità, prima il preavviso minimo era di 15 giorni. Se il congedo parentale è su base oraria, il preavviso minimo è invece di due giorni.

Per quanto riguarda il trattamento economico, la retribuzione al 30% che prima era assicurata solo in caso di godimento nei primi tre anni di vita del bambino viene ora portata a sei anni. Decade la norma in base alla quale, dopo questo periodo (i primi sei anni del figlio) il diritto successivi in caso di reddito inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione.

Entrambi i genitori possono chiedere al posto del congedo parentale la trasformazione temporanea del contratto di lavoro in part-time, ossia a tempo parziale.

Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, la trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time, in luogo del congedo parentale, per un periodo di tempo corrispondente e una riduzione di orario non superiore al 50%. Il congedo parentale può durare per i due genitori al massimo 10 mesi, con un tetto di 6 mesi per ciascuno di essi. Se ne deduce che i limiti temporali di questa alternativa: 10 mesi complessivi da dividere fra i due genitori, con limite di 6 ciascuno.

C’è poi un’altra disposizione in base alla quale il lavoratore o lavoratrice con un figlio convivente di età superiore a 13 anni, o portatore di handicap hanno la priorità nella trasformazione del contratto da tempo pieno a part-time. Anche questo, dunque è una nuova possibilità di utilizzo del part-time per andare incontro a particolari esigenze legate alla genitorialità.

La nuova legge sul lavoro prevede il diritto di chiedere prioritariamente il part-time per una serie di esigenze di carattere familiare legate non solo alla presenza di figli: lavoratori affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti che riducano la capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti delle terapie salvavita, patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative riguardanti il coniuge, i figli o i genitori, necessità di assistenza di una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100%.



martedì 28 aprile 2015

Contratto a tempo parziale prima della pensione



Lavoro, pensione e tempo parziale. Si ritorna a parlare dell'ipotesi di una staffetta generazionale nella Pubblica amministrazione. Lo strumento per permettere lo svecchiamento dei ranghi del pubblico impiego potrebbe essere inserito attraverso una riforma della Pubblica amministrazione.

Comunque si va verso la staffetta generazionale nel pubblico impiego: il contratto a tempo parziale al posto del pre pensionamento. Ma i lavori dovranno versare da soli i contributi. Quindi fuori i vecchi, dentro i giovani. Niente di più semplice: anticipare l'uscita ai dipendenti statali più anziani, e quindi vicini alla pensione, per far spazio a neo diplomati e neo laureati che si affacciano sul mondo del lavoro. Per garantire questo ricambio Hans Berger, senatore del gruppo delle autonomie, presenterà un emendamento per dare la possibilità a chi è vicino alla pensione di scegliere il part time. Con un "piccolo" stratagemma: per prendere una pensione piena i lavoratori dovranno versarsi da soli i contributi.

L'emendamento di Berger contiene un "piccolo" inganno per i dipendenti statali che sceglieranno il contratto a tempo parziale. Si dice in modo esplicito, infatti, che l'invarianza dell'assegno previdenziale dovrà essere garantita, solo e soltanto, "attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione". Insomma, se il dipendente vuole andare in pensione con un assegno pieno dovrà versarsi da solo la differenza dei contributi tra il part time e il tempo pieno. "Un dipendente pubblico che guadagna 2mila euro netti al mese - esemplifica il Messaggero - oltre allo stipendio dimezzato per il tempo parziale, si troverebbe a dover versare contributi mensili per altri 300-350 euro".

Ricordiamo ce lo scorso anno, il ministro Madia aveva proposto la cosiddetta staffetta generazionale nella PA, ipotesi subito abbandonata dopo che la Ragioneria Generale dello Stato aveva avanzato forti dubbi sulla possibilità di attuare questo provvedimento sia per la tenuta dell'equilibrio del nostro sistema pensionistico sia per il costo elevato che avrebbe provocato l'attuazione di questa norma. Ora, l'ipotesi del ricambio generazionale riprende quota con modalità diverse da quelle che erano state prospettate l'anno scorso. Non si tratta di anticipare la pensione ai dipendenti pubblici ma di far accedere i lavoratori prossimi alla pensione ad una sorta di part-time. In questa maniera ci potrebbe essere la possibilità di liberare nuovi posti di lavoro creando, anche in questo caso, la staffetta generazionale richiesta da molti.

Un'altra proposta, che potrebbe diventare legge nella prossima riforma della Pubblica Amministrazione è relativa al pensionamento delle lavoratrici con il sistema contributivo. Infatti, un recente disegno di legge che potrebbe essere inserito anche nella riforma della PA, prevedrebbe la possibilità di pensione anticipata a 60 anni per tutte le lavoratrici che hanno avuto la possibilità di sommare tutti i contributi versati durante la propria carriera lavorativa, compresi quelli versati durante i periodi di maternità e durante l’assolvimento di funzioni di cura nei confronti di figli e parenti. Questa proposta potrebbe essere l’occasione giusta per trovare una definitiva soluzione alla questione dell’ «opzione donna» che è ormai finita in una pericolosa strada. Mentre, infatti, il Governo deve ancora varare delle misure ufficiali per la proroga delle pensioni contributivo donna sia il ministro Poletti che l’INPS nelle ultime comunicazioni su questo tema hanno lasciato aperta la possibilità di inoltrare le domande si pensionamento all’Inps (per tutte le donne che hanno raggiunto il requisito pensionistico dei 57 anni e 3 mesi entro il 2015). Proprio per questo è stata già avviata, dal Comitato Opzione Donna, una class action per richiedere una soluzione immediata al problema.

Quindi non si tratterebbe, quindi, di anticipare il pensionamento dei lavoratori del pubblico impiego, permettere l’ingresso di un nuovo dipendente ogni tre, come voleva il progetto di riforma originario, ma di far accedere al part time i dipendenti del pubblico impiego più prossimi alla pensione.

In tal modo si libererebbero comunque nuovi posti di lavoro e si metterebbe in campo un’inedita forma di flessibilità in uscita, anche se limitatamente alla sola Pubblica Amministrazione. Occorre ora capire se questo emendamento troverà attuazione e, eventualmente, quali saranno le conseguenze, sul piano contributivo e previdenziale.


martedì 1 luglio 2014

Agevolazioni e benefici per il reimpiego di lavoratori licenziati


I datori di lavoro che nel 2013 hanno assunto lavoratori licenziati nei dodici mesi precedenti per giustificato motivo oggettivo - connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro - possono essere ammessi ad un beneficio mensile di € 190 per sei mesi - per rapporti a tempo determinato - ovvero per dodici mesi – per rapporti a tempo indeterminato.

L’incentivo è autorizzato dall’Inps nei limiti delle risorse appositamente stanziate dal decreto.

L’Inps, con Messaggio del 27 giugno 2014 n. 5658, rende noti gli adempimenti dei datori di lavoro le cui istanze finalizzate ad ottenere il beneficio per il reimpiego di lavoratori licenziati siano state accolte. Si ricorda che le stesse potevano essere inviate fino al 12 aprile 2014. A seguire con la circolare n. 32 del 13 marzo 2014 è stato illustrato il beneficio previsto dai Decreti direttoriali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali n. 264 del 19 aprile 2013 e n. 390 del 3 giugno 2013.

L’ammissione al beneficio è stata determinata dall’ordine cronologico dell’assunzione, della proroga e della trasformazione, in relazione alla risorsa complessivamente stanziata.

Il beneficio può essere riconosciuto anche in caso di proroga e trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto instaurato nel 2013 e già agevolabile ai sensi del decreto.

Il beneficio può altresì essere riconosciuto in caso di proroga e trasformazione a tempo indeterminato - effettuata nel 2013 - di un rapporto instaurato prima del 2013 con lavoratori iscritti nelle allora vigenti liste della cosiddetta “piccola mobilità”, secondo quanto prevedeva l'articolo 4, comma 1, del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236 e successive modifiche ed integrazioni; l’ammissione al beneficio presuppone che il lavoratore sia stato oggetto di licenziamento nei 12 mesi precedenti l’originaria assunzione.

Dopo una prima assunzione a termine, il lavoratore non perde i requisiti per essere nuovamente oggetto di un’altra assunzione agevolata, se – alla data della seconda o successiva assunzione – non sono ancora decorsi 12 mesi dal licenziamento (es.: Tizio è licenziato il 01.05.2012; Alfa assume Tizio a tempo determinato dal 01.02.2013 al 31.03.2013; se Beta – o lo stesso Alfa – assume Tizio il 01.05.2013 per tre mesi, può spettare il beneficio per entrambi i rapporti; se invece Beta – o lo stesso Alfa – assume Tizio il 01.06.2013, il beneficio può spettare solo per il primo rapporto).

Con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo determinato, si precisa che il beneficio spetta anche per rapporti di durata inferiore a sei mesi.

In caso di assunzione e trasformazione a tempo indeterminato a scopo di somministrazione spetta il beneficio per 12 mesi in favore dell’agenzia, eventualmente diminuito per evitare che il singolo utilizzatore ne fruisca per un periodo complessivo superiore a dodici mesi, in conseguenza di precedenti godimenti diretti o indiretti dell’incentivo.

In considerazione della circostanza che il beneficio – come indicato nel preambolo del decreto – è finalizzato a promuovere la ricollocazione di lavoratori per i quali – in passato - era previsto un altro incentivo, il beneficio non si applica qualora sia comunque applicabile un diverso incentivo, previsto dalla normativa statale o regionale.

Il beneficio è subordinato alle condizioni di regolarità contributiva, di rispetto degli obblighi di sicurezza sul lavoro, di rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Il decreto subordina i benefici al rispetto delle previsioni di cui al Regolamento (CE) n. 1998/2006 del 15 dicembre 2006, relativo all’applicazione e degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d’importanza minore («de minimis»). I benefici sono altresì subordinati alla circostanza che il datore di lavoro non sia un’impresa in difficoltà.

Per i Datori di lavoro che operano con il sistema Uniemens, ovvero le posizioni contributive dei datori di lavoro ammessi al beneficio i sistemi informativi centrali hanno attribuito il Codice Autorizzazione “4N”, avente il significato di “Datore di lavoro ammesso al bonus previsto dai decreti direttoriali del Ministero del lavoro n. 264 del 19 aprile 2013 e n. 390 del 3 giugno 2013”.

Il codice di autorizzazione 4N è attribuito per i mesi di maggio, giugno, luglio ed agosto 2014, al fine di consentire la fruizione del beneficio mediante le denunce contributive UniEmens dei corrispondenti mesi.

I datori di lavoro autorizzati dovranno verificare – accedendo al Cassetto previdenziale - che le posizioni contributive interessate siano state effettivamente aggiornate con l’attribuzione del Codice Autorizzazione 4N;  qualora il Codice Autorizzazione “4N” non sia stato attribuito, il datore di lavoro dovrà inviare una segnalazione alla Sede mediante la funzionalità “Contatti” del Cassetto previdenziale.

La Sede verificherà se il datore di lavoro rientri tra coloro che sono stati ammessi all’incentivo consultando l’esito apposto in calce al modulo LICE, visibile all’interno del fascicolo elettronico aziendale; in caso positivo – e qualora non ritenga che ricorrano ragioni ostative del beneficio - la Sede attribuirà manualmente il codice di autorizzazione 4N per i periodi di giugno, luglio ed agosto 2014 e ne darà comunicazione al datore di lavoro; qualora, invece, la Sede ritenga che il beneficio non spetti, informerà il datore di lavoro mediante il “Cassetto previdenziale” e la Direzione centrale entrate, mediante l’indirizzo di posta elettronica info.diresco@inps.it.

La Sede dovrà attribuire manualmente il Codice Autorizzazione - secondo l’iter descritto - anche nell’ipotesi in cui, alla data di autorizzazione, la posizione contributiva del datore di lavoro risulti sospesa o cessata.

I datori di lavoro autorizzati, che operano con il sistema UniEmens, potranno fruire del beneficio mediante conguaglio con i contributi previdenziali dovuti per i mesi di maggio, giugno, luglio ed agosto 2014, esponendo l’importo a credito secondo le modalità già indicate nella circolare 32/2014.

Un datore di lavoro che ha effettuato un’assunzione a tempo determinato di 4 mesi ed una proroga di altri 4 mesi; sono state accolte le istanze di bonus relative ad entrambi i rapporti; a prescindere dagli importi indicati nei piani di fruizione allegati alle due istanze, il datore di lavoro avrà cura di fruire del bonus per un importo complessivo non superiore  a € 1140 (€190 per sei mesi).

Un datore di lavoro ha effettuato un’assunzione a tempo determinato di 4 mesi e poi ha trasformato il rapporto a tempo indeterminato; sono state accolte le istanze relative ad entrambi i rapporti; a prescindere dagli importi indicati nei piani di fruizione allegati alle due istanze, il datore di lavoro avrà cura di fruire del bonus per un importo complessivo non superiore  a € 2280 (€190 per dodici mesi).

In ogni caso, nelle ipotesi di diminuzione dell’orario di lavoro rispetto a quanto originariamente denunciato sul modulo LICE – compreso il caso di assunzione a tempo pieno e successiva trasformazione in part time – il datore di lavoro è tenuto autonomamente a ridurre in misura proporzionale l’importo del bonus spettante; analogamente, sarà cura del datore di lavoro fruire del beneficio in una misura inferiore rispetto a quanto concesso, nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro cessi prima della data di scadenza indicata nell’istanza.

In caso di rapporto a tempo parziale il beneficio è proporzionalmente ridotto.

Nelle ipotesi di aumento della percentuale oraria di lavoro – compreso il caso di assunzione a tempo parziale e successiva trasformazione a tempo pieno - il bonus mensile rimane fissato in proporzione alla percentuale dichiarata al momento dell’assunzione (il bonus mensile non può superare la misura originariamente autorizzata dall’Inps perché è intrinsecamente connesso alla graduatoria dei datori di lavoro ammessi al beneficio, formata in relazione alla complessiva risorsa disponibile); nelle ipotesi di diminuzione dell’orario di lavoro – compreso il caso di assunzione a tempo pieno e successiva trasformazione in part time - il datore di lavoro è tenuto a ridurre proporzionalmente il bonus (es.: Tizio è assunto dal 01.02.2013 al 30.04.2013 con orario pieno; a decorrere dal 01.03.2013 il rapporto è trasformato in part time al 50%; spetta il bonus di € 190 per febbraio, € 95 per marzo ed € 95 per aprile).

Il beneficio previsto dal decreto non è applicabile ai rapporti di apprendistato, perché a questi si applica un regime contributo agevolato previsto da altre disposizioni dell’ordinamento.
Per quanto concerne i rapporti di apprendistato instaurati nel 2013, ex art. 7, comma 4, d.l.vo 167/2011, con lavoratori precedentemente licenziati per giustificato motivo oggettivo e comunque iscritti nelle liste di mobilità ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236 e successive modifiche ed integrazioni, si precisa quanto segue.

A prescindere dalla circostanza se – a seguito mancata proroga delle disposizioni concernenti la cosiddetta piccola mobilità – tali rapporti possano essere qualificati come apprendistato,– d’intesa con il Ministero del lavoro e a parziale scioglimento della riserva formulata con la circolare 150/2013 - si chiarisce che non è possibile riconoscere il regime contributivo agevolato di cui alla legge 223/1991, richiamato dall’articolo 7, comma 4, citato.

Pertanto, poiché il beneficio previsto dal decreto direttoriale è destinato a compensare parzialmente le conseguenze della mancata proroga delle disposizioni concernenti la cosiddetta piccola mobilità, qualora ne ricorrono le condizioni, è possibile riconoscere il beneficio previsto dal decreto; il beneficio spetta per 12 mesi.


sabato 23 marzo 2013

Donne e lavoro più flessibilità e detassazione con il tempo parziale

Occorre detassare il lavoro delle donne e un uso più flessibile del tempo parziale sia per gli uomini sia per le donne in modo da riequilibrare i ruoli nella famiglia. Per la questione femminile e il mondo del lavoro: servono riforme e un cambio di visione.

L’Italia non sta utilizzando al meglio una parte importante del suo capitale umano, le donne. È una perdita colossale per la nostra economia. Quando studiano, le ragazze italiane sono più brave dei ragazzi, in tutte le materie. I dati del programma Pisa (Programme for international student Assessment, l’indagine promossa dall’Ocse — l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico — allo scopo di misurare le competenze degli studenti in matematica, scienze, lettura e abilità nel risolvere problemi) mostrano che a 15 anni le ragazze italiane raggiungono punteggi di gran lunga superiori ai maschi in «abilità di lettura» (510 contro 464, una differenza enorme) ma anche in «abilità scientifica» (490 contro 488). Solo in matematica le ragazze fanno un po’ meno bene dei maschi. Non è da escludere che questo sia un effetto indotto da una cultura che assegna a ragazzi e ragazze ruoli diversi: «La matematica è una cosa da uomini».

Lo si vede nella scelta dell’università: il 76% delle matricole delle facoltà umanistiche sono donne; nelle scientifiche solo il 37%. Questa scelta probabilmente riflette anch’essa stereotipi culturali.

Perché laurearsi in fisica nucleare per poi fare la casalinga?
Meglio studiare poesia. Quando però le donne si iscrivono a una facoltà scientifica, spesso sono più brave: alla Federico II di Napoli, ad esempio, il 37% delle ragazze si laurea con 110 e lode, contro il 24% dei maschi.
La partecipazione alla forza lavoro delle donne in Italia è tra le più basse dei Paesi Ocse e la più bassa in Europa. Nel 2011 solo 52 donne italiane su 100, fra i 15 e i 64 anni, lavoravano o cercavano attivamente un lavoro. In Spagna erano 69, in Francia 66, in Germania 72, in Svezia 77. Solo in Messico e Turchia erano meno che in Italia. È vero che le donne più giovani lavorano di più: ad esempio, nella classe di età 35-44, il tasso di partecipazione è aumentato di 5 punti in un decennio. Ma rimane 15 punti inferiore al corrispondente tasso tedesco.

Il motivo di queste differenze straordinarie è che in Italia la divisione dei compiti tra lavoro domestico e lavoro retribuito sul mercato è più sperequata fra uomo e donna. La donna lavora in casa, il marito o il compagno in fabbrica, o in ufficio, sebbene, come abbiamo visto, il capitale umano delle donne giovani sia in media più alto di quello degli uomini.

Insomma, troppe donne con grandi potenzialità non le sfruttano. I dati lo dimostrano chiaramente. All’interno delle mura domestiche le donne italiane fanno molto di più dei loro compagni: 6,7 ore di lavoro casalingo al giorno contro meno di 3 ore. Sommando il lavoro nel mercato e a casa, sono gli uomini ad apparire cicale mentre le donne, come formiche operose, lavorano quasi 80 minuti al giorno in più dei loro compagni. E questo accade indipendentemente dal livello di istruzione: è vero sia per le donne con la licenza elementare che per le laureate.

Perché le donne italiane lavorano così poco fuori casa? Si dice perché non ci sono abbastanza asili nido gratuiti o sussidiati. Magari fosse così semplice! In primo luogo tutte le donne in Italia lavorano meno che in altri Paesi, non solo le giovani madri. Inoltre, in molti casi, i bambini non verrebbero mandati al nido neanche se questo fosse gratuito perché si pensa che sia la mamma a doversi occupare dei figli piccoli.

Ci si aspetterebbe che il nostro fosse un Paese con un alto tasso di natalità. E, invece, tanta attenzione per i figli non si riflette in tassi di fertilità altrettanto elevati: anzi, la fertilità è molto più alta in Svezia, dove quasi tutte le donne lavorano (1,9 figli per donna), che in Italia (1,4).

Insomma, le ragioni della scarsa partecipazione al lavoro sono molto più profonde: hanno a che fare con la nostra cultura, che assegna alla donna il ruolo di «angelo del focolare» e all’uomo quello di produttore di reddito.

Ma il risultato è che tanti uomini mediocri fanno un mediocre lavoro in ufficio; un lavoro che le loro mogli casalinghe farebbero molto meglio perché hanno più capitale umano. Inoltre, al momento degli scatti di carriera spesso le imprese preferiscono gli uomini; magari non semplicemente per discriminazione di genere, ma perché sanno che in caso di conflitto fra esigenze familiari e aziendali un uomo sarà più disposto di una donna ad anteporre le esigenze dell’azienda a quelle della famiglia.

Il risultato è che il capitale umano del nostro Paese è sottoutilizzato perché quello femminile è usato poco e male.
La famiglia rimane un’istituzione fondamentale della società, nessuno lo nega. Ma il punto è che in Italia, più di ogni altro Paese europeo, il carico della famiglia è troppo sbilanciato sulla donna. Fino a quando non si aggiusta questa equazione non si fanno passi avanti. Sia chiaro: ci stiamo muovendo su un terreno minato, che sfiora il dirigismo culturale. Forse gli italiani (uomini e donne) sono contenti così. Cioè sono contenti di una distribuzione del lavoro domestico e nel mercato tanto sbilanciata. Se così fosse, non c’è alcun motivo per cui il legislatore debba intervenire.

Ma siamo proprio sicuri che le donne italiane siano cosi felici di assumersi carichi domestici che paiono ben superiori a quelli delle donne di altri Paesi europei? Siamo così sicuri che tutte le donne siano contente di non essere promosse nel lavoro perché devono farsi carico della famiglia (non solo dei figli, anche di genitori e parenti anziani) praticamente da sole?

Forse no, e allora il prossimo governo dovrà mettere la questione del lavoro femminile al centro del suo programma. Proposte ce ne sono. Ad esempio per detassare il lavoro femminile e favorire la partecipazione al lavoro delle donne. Si deve anche considerare ad un uso molto più flessibile del part-time per facilitare la gestione della famiglia, come nei Paesi nordici, dove il contratto a tempo parziale è molto più diffuso. Attenzione però: lavoro a tempo parziale sia per uomini che per donne, per riequilibrare i ruoli nella famiglia.

domenica 17 febbraio 2013

Lavoro: diritto alle ferie e disciplina legislativa


La consulenza del lavoro ha trovato nelle nuove direttive legislative un campo fertile per la gestione del personale dipendente in materia di gestione delle ferie.

Tutti i dipendenti hanno il diritto ad usufruire di un periodo di riposo per ricostituire le energie fisiche e intellettuali in base all’art. 36 della Costituzione e alla disciplina dell’art. 10 D.lgs. 66/2003.

L’art. 10 del d. lgs 66 del 2003 ha previsto che ogni lavoratore abbia diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 4 settimane, limite che può essere derogato dalla contrattazione collettiva, solo in senso migliorativo. E dunque è possibile fissare un periodo inferiore alle due settimane di ferie che, per legge, dovrebbero essere fruite nel corso dell'anno. A patto che siano rispettate le garanzie costituzionalmente riconosciute ai lavoratori.
Ulteriori modifiche a quanto stabilito dal D.lgs 66 del 2003 sono state apportate dal D.lgs 213/04.

Delle quattro settimane di ferie, il lavoratore ha diritto a godere almeno di due settimane consecutive nel corso dell’anno di maturazione. Il periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva, va fruito per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione.

Il diritto alle ferie è irrinunciabile e, pertanto, tale periodo non è monettizabile diversamente, ossia non è sostituibile con una indennità per ferie. Solo se il rapporto termini prima del godimento della pausa feriale, il lavoratore avrà diritto a percepire una indennità proporzionale alle ferie non godute.
Qualora residuassero dei giorni di ferie maturati, ma non goduti, il restante periodo deve essere accordato e fruito entro 18 mesi dal compimento dell'anno di maturazione, a meno che il lavoratore non consenta di rinviare ulteriormente tale scadenza.

Tale possibilità, esercitata anche attraverso la contrattazione collettiva, è accordata dalla legge proprio per agevolare l'effettivo godimento delle ferie da parte del lavoratore.

I contratti collettivi di lavoro, anche aziendali, possono stabilire condizioni di miglior favore.
Ciò è dovuto alla peculiare finalità dell’istituto delle ferie, atte a provvedere ad un ripristino delle energie fisiche e morali del lavoratore.

Il periodo feriale è annuale, nel senso il lavoratore deve utilizzarlo entro l’anno. Tuttavia, anche a chi lavora per periodi inferiori all’anno è garantito 1/12 di ferie per ogni mese prestato.

Il periodo di ferie spettanti al lavoratore viene individuato dal datore di lavoro in relazione alle esigenze aziendali, mentre la retribuzione del periodo feriale è stabilita dalla contrattazione collettiva.
La malattia insorta durante il periodo di ferie ne interrompe il decorso, ma solo ove tale malattia non sia compatibile con il loro godimento.
Il lavoratore non può usufruire delle ferie durante il periodo del preavviso.
Le ferie non godute non possono essere monetizzate. E’ quanto detta il decreto legislativo n. 66 dell'8 aprile 2003, che ha recepito alcune direttive europee in materia di diritto del lavoro. Per quanto riguarda il periodo e la gestione dipendenti in ambito di ferie , rientra l’impossibilità per i lavoratori dipendenti di ricevere un indennizzo sostitutivo per le ferie non godute.

Il periodo annuale di ferie retribuite, non si può convertire in denaro. La disposizione, tuttavia, non interessa i casi di cessazione dal lavoro per i quali le ferie non godute vengono liquidate nel trattamento di fine rapporto. Inoltre il periodo di ferie di cui può usufruire un lavoratore non può essere inferiore a quattro settimane.

Ulteriori modifiche a quanto stabilito dalle normative vigenti sono state apportate dal decreto legislativo n. 213 del 19 luglio 2004. Delle quattro settimane di riposo, il lavoratore ha diritto a godere almeno di due settimane consecutive nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione.

Quello alle ferie retribuite è un diritto riconosciuto dal Codice Civile e dalla Costituzione che, all'art. 36, stabilisce che il lavoratore "ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunciarvi. Quello che quindi, indiscutibilmente, è un diritto per tutti, non opera però per tutti allo stesso modo.
Per alcune particolari categorie di lavoratori o in alcune fasi del rapporto di lavoro ci sono delle eccezioni. I dirigenti sono gli unici lavoratori dipendenti che possono rinunciare volontariamente alle ferie.
E’ quanto ha stabilito la Cassazione considerando la grande autonomia di cui dispongono per organizzare il loro lavoro. Dunque, se in questa auto-organizzazione, i dirigenti decidono di non inserire un periodo di riposo, è da intendersi che vi abbiano rinunciato.

I lavoratori a domicilio, che svolgono la loro attività a casa non possono godere delle ferie. Alla loro retribuzione viene comunque sommata un'apposita percentuale, stabilita dai CCNL, a titolo di indennità per le ferie e le festività non godute. Per i lavoratori domestici che prestano la loro attività per meno di quattro ore continuative al giorno, il Codice Civile provvede la fruizione di un minimo di otto giorni di riposo retribuito. Giorni che salgono a 15, 20 o 25 (a seconda dell'anzianità di servizio o di inquadramento), nel caso di lavoratori che prestano la loro opera per più di 4 ore giornaliere.

Considerando le lavoratrici in maternità, bisogna distinguere il congedo obbligatorio, che precede il parto, in cui matura il diritto alle ferie, e il periodo successivo, facoltativo, in cui invece questo diritto non matura. Vanno esclusi agli effetti della maturazione delle ferie, anche i congedi parentali, ottenuti dal lavoratore padre o dalla lavoratrice madre per accudire il bambino nei suoi primi anni di vita. Il periodo trascorso in cassa integrazione guadagni, sia ordinaria che straordinaria, non dà diritto alle ferie se è a zero ore. Se invece è a orario ridotto, matura il diritto alle ferie e alla relativa retribuzione.

Il diritto alle ferie retribuite vale, ovviamente, anche per i lavoratori dipendenti a tempo parziale, ma bisogna fare una distinzione tra contratto a tempo parziale orizzontale e verticale. Nella prima ipotesi, la riduzione dell'orario di lavoro, rispetto a quello dei lavoratori a tempo pieno, risulta in relazione all'orario giornaliero complessivo. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale verticale invece, l'attività lavorativa è svolta per tutto il normale orario di lavoro giornaliero, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno. Nel caso di rapporto di lavoro a tempo parziale orizzontale, il principio di non discriminazione comporta che la durata delle ferie non sia diversa da quella riconosciuta ai lavoratori a tempo pieno. Nel caso di rapporto di lavoro a tempo parziale verticale il periodo di godimento delle ferie, previsto dalla contrattazione collettiva per i lavoratori a tempo pieno, non viene riconosciuto integralmente, ma viene ridotto in proporzione all'attività lavorativa effettivamente svolta.

Il lavoro temporaneo per sua natura è difficilmente compatibile con l'effettivo godimento delle ferie: difficilmente il datore di lavoro potrà attuare una politica di gestione ferie per assegnare periodi di ferie a lavoratori dei quali ha esigenza solo per un determinato periodo di tempo. In tema di gestione ferie, quindi, il principio di parità di trattamento tra lavoratori interinali e lavoratori dipendenti, vale solo ai fini del calcolo della retribuzione delle ferie maturate e dell'indennità per le ferie non godute.

Diversa la situazione per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato che hanno diritto a godere delle ferie previste in favore dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, in proporzione al periodo lavorativo prestato, salvo che ciò non sia incompatibile con le esigenze aziendali.

venerdì 7 dicembre 2012

Lavoro, pensioni e giovani con il patto generazionale

Il ministro del lavoro Elsa Fornero ha detto che il governo sta considerando un "patto generazionale" che consentirebbe a lavoratori prossimi alla pensione di passare ad un contratto a tempo parziale "in cambio, per esempio, dell'assunzione di un apprendista".

Per porre un freno alla disoccupazione giovanile, si fa strada l’ipotesi di una staffetta tra generazioni. La misura è allo studio del governo e a parlarne è stata ieri da Bruxelles la ministra del Welfare Elsa Fornero. Si tratta «della possibilità per un lavoratore “anziano” di cambiare il suo contratto a tempo parziale, e in cambio le aziende prendono un apprendista».

C’e da porre una considerazione circa la staffetta-patto generazionale, infatti se anche i contributi versati saranno a tempo parziale il rischio più che un patto fra generazioni si vada verso un conflitto tra le stesse.

Quindi quello che si prospetta è un patto tra le generazioni, un accordo attraverso il quale i lavoratori più anziani accettano di fare spazio ai più giovani, anche a costo di cedere parte del proprio lavoro. È questo il significato del decreto firmato dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali: il provvedimento prevede la possibilità di concludere un accordo fra cinque attori diversi: soggetti pubblici, enti previdenziali, imprese, lavoratori anziani, lavoratori giovani.

Cosa dovrebbe accadere, il lavoratore “anziano” accetta di accontentarsi di un contratto part time al posto del suo vecchio contratto a tempo indeterminato; il lavoratore giovane viene assunto con contratto di apprendistato o a tempo indeterminato; il soggetto pubblico si fa carico di versare all'ente di previdenza i contributi aggiuntivi in favore del lavoratore anziano, per garantirgli un livello di copertura pensionistica adeguato.

"L'idea di un patto fra generazioni – spiega il ministro Elsa Fornero - è certamente una prospettiva, anche etica, di grande respiro, che si auspica possa in futuro sostenere azioni concrete per disegnare una società più equa e più inclusiva".

Negli obiettivi del ministero, questo decreto dovrebbe consentire di assicurare la salvaguardia dei livelli di occupazione per le nuove generazioni e di mantenere, contemporaneamente, condizioni di reddito accettabili per le fasce di popolazione meno giovani.

Il decreto amplia le tipologie di intervento a favore dei giovani, in una prospettiva di solidarietà generazionale. In pratica, accanto agli incentivi per il reinserimento nel mercato del lavoro e ai bonus per le nuove assunzioni viene messo in vigore il cosiddetto "patto tra generazioni", che consente di concludere "un accordo" tra cinque attori diversi.

Il decreto, sei articoli in totale, stabilisce come a fronte dell'assunzione dei giovani come apprendisti (o a tempo indeterminato) le Regioni e le Province autonome versino all'Inps l'integrazione contributiva – a titolo di contribuzione volontaria – a beneficio dei lavoratori che accettano volontariamente un contratto a tempo parziale.

Sarà essenziale che Regioni e Province firmino intese con l'Inps per quantificare l'onere finanziario degli interventi e per le comunicazioni inerenti i lavoratori beneficiari dell'integrazione contributiva volontaria. Regioni e Province autonome dovranno inoltre comunicare al ministero del Lavoro le risorse che intendono destinare per questa nuova tipologia di incentivo per l'assunzione dei giovani, per consentire i relativi pagamenti: quanto al 50% a seguito di acquisizione della comunicazione dell'importo totale individuato; e quanto al restante 50% a seguito della richiesta, corredata dall'avvenuta intesa con l'Inps, dell'elenco dei lavoratori in part-time, con l'indicazione delle mensilità per cui è prevista l'integrazione contributiva e dell'elenco dei giovani assunti. Regioni e Province autonome dovranno poi attestare, ogni trimestre e a conclusione dell'intervento, le risorse definitive utilizzate con l'indicazione dei datori di lavoro interessati, i lavoratori assunti e l'ammontare dei versamenti effettuati a titolo di integrazione volontaria della contribuzione.

Il lavoratore vicino alla pensione che accetta di proseguire in part-time, il giovane che conquista un contratto stabile all'interno della stessa azienda; e i soggetti pubblici che si fanno carico di versare al l'Inps i contributi previdenziali aggiuntivi in favore del lavoratore vicino alla pensione in modo tale da garantirgli un livello di copertura pensionistica adeguato.

sabato 24 novembre 2012

Lavoro: 4 milioni in area disagio

Sono oltre 4 milioni i lavoratori che nel 2012 si trovano in "area del disagio", dipendenti cioè a tempo determinato e occupati stabili a tempo parziale non per scelta ma perché non hanno trovato di meglio. Sono in aumento di 718.000 unità (+21,4%) rispetto al 2008 E' quanto emerge da una ricerca Ires Cgil su dati Istat riferiti al primo semestre di ogni anno.

"Un quadro drammatico quello che emerge dalla ricerca - afferma la Cgil - considerando anche che dal primo semestre 2008 al primo semestre 2012, l'occupazione è notevolmente calata in valori assoluti, passando da 23 milioni 376 mila a 22 milioni 919 mila (- 45 mila, pari a -2%), nonostante il numero delle persone in età di lavoro sia aumentata di circa 500 mila unità. "Questi numeri spiegano il costante e davvero preoccupante peggioramento delle condizioni di lavoro. Anche chi è occupato, ha rilevato lo studio dell'Ires - lavora meno di quanto vorrebbe e a condizioni diverse da quelle auspicate. Altro che choosy". I dipendenti stabili a tempo pieno calano di 544 mila unità (-4,2%) e gli autonomi a tempo pieno di 305 mila (- 6,1%).

Se si aggiunge il calo dei tempo parziale stabili volontari (-215 mila) si supera il milione di persone. Aumentano invece i lavori involontari, quelli che si è costretti ad accettare. Del resto anche i dati delle comunicazioni obbligatorie parlano chiaro, nel 2012 solo il 17,2% delle nuove assunzioni è a tempo indeterminato.

"Meno lavoro, peggioramento delle condizioni e diminuzione delle ore lavorate sono la realtà che emerge dall'indagine" hanno commentato il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni e il segretario nazionale della Cgil, con delega sul mercato del lavoro, Serena Sorrentino. "Un dato molto grave – hanno aggiunto - che mette fine alla propaganda sulla cosiddetta scelta personale dei lavoratori è che il 93,2% dei lavoratori a termine e dei collaboratori dichiara che vorrebbe un lavoro stabile, mentre come è ovvio tutti i lavoratori a tempo parziale involontari vorrebbero un tempo pieno. All'area del mancato lavoro (disoccupati, scoraggiati e cassaintegrati) si aggiunge, quindi, quella del disagio nel lavoro. Un bacino enorme di persone, una fotografia purtroppo realistica e drammatica della realtà". Secondo Fammoni e Sorrentino, questo quadro "é sicuramente determinato dalla crisi, ma anche e in modo evidente delle scelte sbagliate fatte per contrastarla che producono effetti insopportabilmente negativi sull'occupazione. E' la conferma, basata su dati di fatto, di un giudizio severo e negativo sull'operato del governo". "E la legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro - aggiungono - , in particolare su precarietà ed ammortizzatori sociali, è del tutto inadeguata ed ancor più paradossale appare il taglio che si annuncia nella legge di stabilità degli ammortizzatori sociali: due fattori che aumenteranno ulteriormente quest'area di disagio".

domenica 14 ottobre 2012

Giovani e donne, incentivi all'occupazione con il decreto interministeriale ottobre 2012



E' stato firmato lo scorso 5 ottobre il decreto interministeriale che consentirà di riconoscere ai datori di lavoro privati incentivi da destinare al sostegno dell'occupazione dei giovani e delle donne. La misura, che ha carattere straordinario e può contare su risorse finanziarie di oltre 230 milioni di euro, riguarderà i rapporti di lavoro stabilizzati o attivati entro il 31 marzo 2013. I contributi verranno riconosciuti per contratti stipulati con giovani di età fino a ventinove anni ovvero con donne indipendentemente dall'età anagrafica, secondo limiti numerici per ciascun datore di lavoro che consentano di rispettare la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato.

Viene riconosciuto un importo pari a 12.000 euro in caso di trasformazione di un contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, ovvero per ogni stabilizzazione di rapporti di lavoro nella forma di collaborazioni coordinate e continuative anche nella modalità di progetto o delle associazioni in partecipazione con apporto di lavoro. Tali forme di stabilizzazione dovranno riferirsi a contratti di lavoro in essere ovvero cessati da non più di sei mesi e mediante la stipula di contratti a tempo indeterminato, anche a tempo parziale.  Le trasformazioni-stabilizzazioni dovranno realizzarsi con la stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche tempo parziale, purché di durata non inferiore alla metà dell'orario previsto dal Ccln per i lavoratori a tempo pieno. I nuovi rapporti di lavoro dovranno riferirsi a contratti ancora in essere o cessati da non più di sei mesi dalla entrata in vigore del decreto ministeriale che regolamenterà la materia.

Sono inoltre previsti incentivi per le assunzioni di giovani e donne a tempo determinato, la cui misura varia in relazione alla durata del rapporto di lavoro. In particolare il valore del contributo è stabilito nella misura di 3.000 euro per contratti di lavoro di durata non inferiore a 12 mesi; nella misura di 4.000 euro se la durata del contratto supera i 18 mesi e, da ultimo, nella misura di 6.000 euro per i contratti aventi durata superiore a 24 mesi.

L'Inps, cui è affidata la gestione della misura, corrisponderà gli incentivi in base all'ordine cronologico di presentazione delle domande ed entro il limite delle risorse disponibili (come detto sopra, di oltre 230 milioni di euro), attraverso modalità telematiche che saranno attivate al più presto e consentiranno ai datori di lavoro di avere facile accesso allo strumento appena adottato. I datori di lavoro interessati dovranno inoltrare istanza telematica sulla scorta delle indicazioni che saranno fornite dall'Istituto. Le risorse a disposizione, (196.108.953,00 euro per il 2012 e 36.000.000 euro per il 2013), sono contingentate; conseguentemente, ogni richiesta sarà contraddistinta da un numero di protocollo che terrà conto dell'ordine cronologico di trasmissione delle istanze.

I contributi verranno riconosciuti per contratti stipulati con giovani fino a 29 anni d'età o con donne indipendentemente dall'età anagrafica, secondo limiti numerici per ciascun datore di lavoro che consentano di rispettare la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato. In particolare viene riconosciuto un importo pari a 12.000 euro in caso di trasformazione di un contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, ovvero per ogni stabilizzazione di rapporti di lavoro nella forma di collaborazioni coordinate e continuative anche nella modalità di progetto o delle associazioni in partecipazione con apporto di lavoro.

Con queste misure il Governo intende offrire un segnale inequivocabile sul fronte dell'impegno a sostegno dell'occupazione dei giovani e delle donne, nell'auspicio che il mondo delle imprese sappia cogliere questa eccezionale opportunità per favorire l'ingresso dei nostri giovani e delle donne nel tessuto occupazionale e produttivo del Paese.

L'ammissione all'incentivo avverrà in base all'ordine cronologico di presentazione dell'istanza ancora da definire le modalità, che dovrà essere inoltrata al più presto dopo aver eseguito l'assunzione. Gli incentivi saranno erogati dall'Inps – nei limiti delle risorse stanziate – in un'unica soluzione, decorsi sei mesi, rispettivamente, dalle trasformazioni o stabilizzazioni, ovvero dalle assunzioni incrementali a tempo determinato di giovani e donne. Per la pratica attuazione delle misure, si attendono adesso le istruzioni dell'Inps che, tuttavia, non potranno intervenire prima della pubblicazione in gazzetta del provvedimento ministeriale.

domenica 22 luglio 2012

Lavoro: il posto fisso resta un miraggio

Meno di due assunzioni su dieci sono a tempo indeterminato. In Italia la crisi si vede anche da questo: i contratti senza la data di scadenza diventano sempre più rari. A dirlo è un'indagine di Unioncamere e ministero del Lavoro sul terzo trimestre di quest'anno. E nel periodo luglio-settembre le assunzioni stabili previste sono appena il 19,8% su un totale di quasi 159 mila. Nello stesso periodo dello scorso anno la percentuale di assunzioni previste era tra il 27 e il 34%.

Nello specifico, si avranno 42 contratti atipici ogni 100 contratti di assunzione diretti (25,8 nel 2° trimestre) e 25 contratti di lavoro «non dipendente» ogni 100 contratti di lavoro dipendente (diretti o interinali), quasi il doppio rispetto ai 13 del trimestre precedente.

Le stime del terzo trimestre confermano in qualche misura il dato dei tre mesi precedenti, mentre nei quattro trimestri precedenti la quota era compresa fra il 27% e il 34%. Il calo dei posti fissi messi a disposizione dalle imprese è stato forte e più brusco. Basti pensare che nello stesso periodo dello scorso anno le assunzioni previste a tempo indeterminato rappresentavano il 28,3%. Il trend in discesa viene confermato anche tenendo conto della stagionalità. Nel bollettino sui programmi occupazionali delle imprese viene evidenziato che, escludendo le assunzioni stagionali, i contratti stabili si attestano al 35,8%, mentre nei precedenti cinque trimestri la loro quota oscillava fra il 41% e il 43% circa. Inoltre, sottolinea l'indagine, se si rapportano "i contratti a tempo indeterminato a tutti i contratti di lavoro o di collaborazione che le imprese prevedono di stipulare nel periodo (inclusi quindi quelli 'atipici'), si scende dal 16 al 14% circa".

Un terzo dei nuovi assunti per il terzo trimestre dell'anno saranno giovani: queste le previsioni di Unioncamere, in particolare contenute nel sistema informativo Excelsior in collaborazione con il Ministero del Lavoro. «Per il terzo trimestre - si legge in uno studio - le imprese assegnano ai giovani fino a 29 anni, tra il personale da assumere, una quota del 32,7% del totale, un punto percentuale in più rispetto al trimestre scorso. Questo incremento, in termini relativi, delle opportunità per i giovani si avrà però solo nel settore dei servizi, dove nel corso del trimestre il ricambio, sia pure parziale, della popolazione lavorativa, si accompagnerà anche a un maggiore 'ringiovanimentò dei lavoratori in ingresso

Secondo l’elaborazione sui dati della relazione annuale di Bankitalia. Dall'inizio del nuovo millennio la busta paga dei dipendenti è praticamente ferma. Dal 2000 al 2010 le retribuzioni medie reali nette sono aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). Palazzo Koch ha spiegato che, proprio a causa dell'espansione del lavoro a tempo parziale, le retribuzioni nette medie per il totale dei lavoratori dipendenti sono diminuite dello 0,2%, riflettendo esclusivamente il calo del mezzogiorno.

domenica 27 novembre 2011

Contratto di lavoro a tempo parziale è nullo

Se il datore di lavoro decide senza accordi il tempo parziale di un dipendente è nullo e lo stesso ha diritto al risarcimento.
La scelta unilaterale del datore di lavoro di ridurre l'orario di lavoro dei propri dipendenti è nulla ed costringe l'azienda a pagare la retribuzione piena. E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, sentenza 24476/2011 , bocciando il ricorso di una impresa farmaceutica attiva che era stata condannata in Appello dopo aver vinto in primo grado.
La sentenza riguarda la storia di un dipendente di lungo corso che dopo quasi trenta anni di servizio, si vede ridurre per una decisione aziendale l'orario di lavoro e quindi la fonte retributiva, lo stipendio. Andato in pensione tre anni dopo, nel 2011, aveva richiesto il pagamento per tutte le ore prestate in meno, determinandone l'ammontare a quasi 10mila euro. Il tribunale di Lecce in prima istanza bocciò la domanda sulla base del fatto che dalla testimonianza dello stesso dipendente era emersa la sottoscrizione di un accordo sindacale del 1990 in cui si accettava la riduzione dell'orario di lavoro.
Per la Corte d'Appello, ragionamento poi condiviso in Cassazione, però quell'accordo sindacale era troppo datato nel tempo per poter essere applicato al caso specifico, che invece dipendeva da una decisione datoriale autonoma del 1999. Non solo, ma anche se vi fosse stato un ulteriore accordo verbale sulla riduzione dell'orario sarebbe comunque mancata la forma scritta che in questo caso è richiesta ad substantiam. Ragion per cui la clausola era da considerarsi nulla e il rapporto convertito nuovamente in contratto a tempo pieno, con il conseguente diritto a vedersi retribuite le ora lavorative non prestate. Infatti, ricorda la Cassazione la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale è ammessa soltanto su accordo delle parti, risultante da atto scritto, e per di più convalidato dalla Direzione provinciale del Lavoro dopo aver ascoltato il dipendente.
Quindi deve essere risarcito il dipendente se non condivide la riduzione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

giovedì 4 novembre 2010

IL CONTRATTO DI LAVORO PART TIME

Il contratto di lavoro part time prevede un orario ridotto rispetto a quello a tempo pieno, come è facile immaginare.
Ci sono tre tipi di contratto part time:
  • orizzontale: è la forma più tipica il dipendente lavora tutti i giorni, ma con normale orario giornaliero ridotto;
  • verticale: il dipendente lavora a tempo pieno ma soltanto in alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno;
  • misto o ciclico: quando il rapporto di lavoro deriva dalla combinazione delle due modalità orizzontale e verticale.
Quest’ultimo tipo di part time si mostra particolarmente adatta per le mansioni organizzate in base a turnazione (nei call center, negli impieghi di segreteria e nei lavori online). A ricorrere al tempo parziale misto, sono le aziende  che in determinate stagioni, conoscono picchi di produttività, ad esempio quello del turismo.
Il contratto di lavoro a tempo parziale instaura un rapporto di lavoro a tempo determinato  o indeterminato e, ai fini della prova della sua esistenza, deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere: la durata della prestazione, l’orario di lavoro con riferimento a giorno, settimana, mese e anno.
Perché lavorare con il contratto part time? La persona- dipendente ha la possibilità di prestare servizio non in modo esclusivo ma ha la possibilità di svolgere più lavori part time alle dipendenze di più datori di lavoro.
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