mercoledì 25 febbraio 2015

Contributo in denaro (voucher) di ricollocamento: i disoccupati aventi diritto




Il contratto di ricollocazione rappresenta una vera innovazione nell'ottica di rilanciare le risorse impiegate sulla politica passiva (la nuova Aspi – denominata Naspi, Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) con quella attiva, che si affianca da subito per supportare il lavoratore disoccupato nella ricerca di una nuova occupazione.

Presso l’Inps sarà, istituito il «Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria»e potranno beneficiare i lavoratori licenziati illegittimamente, compresi quelli a seguito di licenziamenti collettivi (sono però esclusi i lavoratori che hanno rinunciato a impugnare il licenziamento perché hanno scelto la conciliazione standard e quelli che hanno stipulato con il proprio datore di lavoro una risoluzione consensuale del rapporto di impiego nell'ambito di una riduzione di personale, ma su questi punti una parte della maggioranza è pronta a chiedere correzioni).

Lo schema del contratto di ricollocazione è questo: il lavoratore beneficiario ha diritto di ricevere dai centri per l’impiego territorialmente competenti un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione, a condizione, tuttavia, che effettui la procedura di definizione del profilo personale di occupabilità (per capire il grado di difficoltà nel trovare un nuovo impiego).

L’interessato presenta il voucher a un’agenzia per il lavoro e così potrà firmare il contratto di ricollocazione vero e proprio. Questo contratto assicura al lavoratore il diritto a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata e gestita da parte dell’agenzia per il lavoro.

L’agenzia dovrà realizzare iniziative di ricerca, addestramento, formazione, riqualificazione professionale mirata a sbocchi occupazionali coerenti con le capacità del lavoratore e le condizioni del mercato del lavoro nella zona dove la persona è stata presa in carico.

L’ammontare del voucher è proporzionato in relazione al profilo di occupabilità dell’interessato e l’agenzia ha diritto a incassarlo soltanto a risultato ottenuto (questo è un elemento di contendibilità del sistema per bilanciare la nota inefficienza dei centri pubblici per l’impiego).

Quindi cui sarà un obbligo di seguire dei corsi formativi presso agenzie private. In pratica, con il contratto di ricollocazione (o ricollocamento) il lavoratore licenziato riceve l’indennità di disoccupazione prevista dalla legge, cioè la Naspi, e inizia contemporaneamente un percorso di formazione e reinserimento professionale, attraverso un programma coordinato dalla sua Regione. Il dipendente che ha sottoscritto il contratto di ricollocazione riceve cioè dall'amministrazione regionale un contributo in denaro (voucher) che potrà poi spendere per un percorso di formazione presso un'agenzia di lavoro privata.

Il contributo dei voucher per il  attivabile in tutto il territorio nazionale (sempre attraverso le Regioni, che lo finanziano attingendo dal Fondo per le Politiche Attive del lavoro. Il Contratto di Ricollocazione è regolamentato dall’articolo 17 del decreto sugli ammortizzatori sociali.

Come richiedere il voucher
Il lavoratore disoccupato deve innanzitutto rivolgersi a una struttura accreditata per la ricerca di lavoro ed effettuare la procedura di definizione del suo profilo di occupabilità. In pratica, in base alle esperienze, ai requisiti, titoli, e caratteristiche del lavoratore, viene stabilita la facilità, o difficoltà, di trovargli una nuova occupazione. In base a questo profilo personale di occupabilità, viene attribuita al disoccupato una “dote individuale di ricollocazione“, spendibile presso le strutture accreditate. Si tratta del voucher ricollocamento, il cui ammontare è proprozionato al profilo di occupabilità.

A questo punto è il lavoratore a scegliere se rivolgersi a un centro per l’impiego o a un’altra struttura, che incasserà l’importo del voucher assegnato solo in caso di conclusione positiva del processo di ricollocazione (quindi, solo se il disoccupato trova lavoro).

Requisiti
Il Contratto di Ricollocazione prevede le seguente regole generali:

il disoccupato ha diritto a un’assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte del soggetto accreditato;

deve rendersi parte attiva rispetto alle iniziative proposte dal soggetto accreditato;
partecipa alle iniziative di ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a sbocchi

occupazionali coerenti con il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro, organizzate e predisposte dal soggetto accreditato.

Decadenza
Il voucher ricollocamento decade nel caso in cui il disoccupato non partecipi alle iniziative di ricerca e riqualificazione oppure se rifiuta senza giustificato motivo una congrua offerta di lavoro in seguito all’attività di accompagnamento attivo al lavoro.

Il fatto saliente del contratto di ricollocazione è il valore della dote, che deve variare a seconda della spendibilità sul mercato, ma anche del livello professionale, essendo le esigenze di operai, impiegati, manager o imprenditori completamente diverse e dunque diversi gli strumenti e le risorse impiegate nel percorso di outplacement.





Lavoro a tempo parziale in straordinario senza causale



Novità sul lavoro a tempo parziale: in mancanza di regole precise fissate dai contratti collettivi, vengono stabilite per legge le modalità applicative: il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare, le parti possono pattuire clausole elastiche e flessibili in materia ad esempio di orario di lavoro. Le parti possono pattuire clausole elastiche (che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part time verticale o misto).

Modifiche più formali che sostanziali per il contratto a tempo parziale. I cambiamenti sostanziali riguardano soprattutto le prestazioni supplementari, le clausole elastiche e flessibili, il diritto di precedenza e/o di trasformazione del rapporto, con la conseguenza di rendere meno rigido questo tipo di contratto.

È stata introdotta una maggiore liberalizzazione con riferimento alle causali che consentono di chiedere prestazioni supplementari. È stato infatti confermato che i contratti collettivi possono stabilire il numero massimo di ore di lavoro supplementare e le conseguenze del suo superamento, ma è stata è stata eliminata la previsione che possano anche individuare le relative causali. Se lo faranno (e sicuramente continueranno a farlo) la disposizione avrà pertanto valore contrattuale e non legale.

È stata inoltre disciplinata l’ipotesi (in realtà molto rara) in cui il contratto collettivo non si occupi delle prestazioni supplementari. In questo caso il datore di lavoro potrà richiederle in misura non superiore al 15% delle ore settimanali concordate, da compensare con una maggiorazione della quota oraria pari al 15%, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retribuiti indiretti e differiti.

Resta invece confermato il principio secondo cui il lavoro supplementare può essere chiesto solo in presenza di un contratto a tempo parziale di tipo orizzontale (articolo 4, comma 1) mentre se è di tipo verticale o misto è possibile richiedere prestazioni di lavoro straordinario (articolo 4, comma 6). Considerata la riscrittura della norma, sarebbe stato opportuno eliminare queste precisazioni poco comprensibili.

Anche in questo caso è stata disciplinata l’ipotesi in cui il contratto collettivo non contenga specifiche previsioni sulle clausole elastiche e flessibili. Non è preclusa alle parti la possibilità di stipulare accordi in tal senso, a condizione che gli stessi siano definiti davanti alle commissioni di certificazione (articolo 76 del Dlgs 276/2003) e che contengano, a pena di nullità, le seguenti previsioni:

condizioni e modalità con le quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione (clausola flessibile) e variare in aumento la durata della stessa;

preavviso di almeno due giorni lavorativi;

la durata massima dell’aumento (in caso di clausole elastiche) non può eccedere il 25% della normale prestazione annua a tempo parziale;

diritto del lavoratore a percepire una maggiorazione pari al 15%, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti indiretti e differiti. Quest’ultima precisazione dovrebbe riguardare solo le ore in più (clausola elastica) e non le ore svolte in orari diversi (clausole flessibili).

È stata eliminata la disposizione secondo la quale il contratto individuale poteva prevedere, in caso di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei dipendenti già assunti a tempo parziale, in attività presso unità produttive situate nello stesso ambito comunale e adibiti alle stesse mansioni o equivalenti.

Resta invece confermato il diritto di richiedere la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno per il lavoratore che precedentemente aveva trasformato in senso inverso. Il diritto sussiste in caso di assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.

Nuovo è invece il diritto alla trasformazione riconosciuto al genitore con figlio convivente di età non superiore a 13 anni. Il comma 7 dell’articolo 6 prevede che il lavoratore può chiedere (per una sola volta) in luogo del congedo parentale la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo corrispondente a quello del congedo con una riduzione d’orario non superiore al 50 per cento.

Infine il diritto alla trasformazione del rapporto a tempo parziale, riconosciuto dall'articolo 12 bis del decreto legislativo 61/2000, ai lavoratori affetti da patologie oncologiche o ai lavoratori che devono assistere familiari affetti da patologie oncologiche, è stato esteso in presenza di «gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti».

L’intervento operato con lo schema di decreto legislativo di riordino delle forme contrattuali nell’ambito del Jobs act punta a definire le norme generali che regolano il rapporti di lavoro a tempo parziale anche quando quest’ultimo non è oggetto della contrattazione collettiva (situazione peraltro non molto diffusa). Il Dlgs interviene quindi in particolare sulle prestazioni supplementari, cioè quelle ore di lavoro in più rispetto all'orario ridotto ma entro il limite settimanale a tempo pieno, sulle clausole elastiche e flessibili (quando e quanto si lavoro), sulla possibilità per il dipendente di chiedere la trasformazione da tempo pieno a tempo parziale e viceversa.



I contributi alla Gestione Separata INPS per il 2015



L’aliquota contributiva sale al 30%, mentre per i pensionati o gli assicurati presso altre forme previdenziali, per l’anno in corso l’aliquota sarà pari al 23,50%. L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, in base all’articolo 59, comma 16 n.449/1997, conferma inoltre l’ulteriore aliquota allo 0,72% istituita allo scopo di finanziare l’onere derivante dall’astensione agli iscritti, che non risultino già assicurati ad altra forma previdenziale obbligatoria o pensionati, della tutela relativa alla maternità, agli assegni per il nucleo familiare, alla degenza ospedaliera, alla malattia ed al congedo parentale.

Le aliquote contributive per la Gestione separata per i lavoratori autonomi sono state stabilite dall'INPS con la  Circolare n. 27 del 5 febbraio 2015.

Per i soggetti iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335/95, l’aliquota contributiva è elevata per l’anno 2015 al 30%.

A tale aliquota del 30% si deve aggiungere lo 0,72% per il finanziamento della maternità, assegni familiari malattia, ecc.
Per i soggetti già pensionati o assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie, invece, l’aliquota per il 2015 è pari 23,50%.

Il massimale di reddito per l'anno 2015 è pari a € 100.324, mentre il minimale è pari a € 15.548.

Le aliquote contributive degli anni passati ammontavano:
per il 2010  e per il 2011 al- 26,72 (26,00 aliquota IVS più 0,72 di aliquota aggiuntiva per le tutele di malattia, maternità) dovuto per tutti i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie;
17,00% , dovuto dai soggetti titolari di pensione o provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria.
Per il 2012 la Finanziaria 2012 c.d. Legge di Stabilità  (Legge 12.11.2011, n. 183),  aveva previsto un aumento dell'1% per cui le aliquote erano passate rispettivamente 27,72% e al 18%.

Le aliquote dei contributi per gli iscritti la Gestione Separata valide per l’anno 2015, sono fissate a:
  30,72% (30 IVS + 0,72 aliquota aggiuntiva) per i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie;
  23,50% per i soggetti titolari di pensione (diretta e indiretta) o assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie.

Le aliquote sopra riportate si applicano ai redditi degli iscritti alla Gestione Separata INPS fino al raggiungimento del massimale di reddito previsto dall’art. 2, comma 18, della legge 335/95, che, per l’anno 2015, è di € 100.324,00.

Per lo stesso anno 2015, il minimale di reddito previsto dall’art. 1, comma 3, della legge n. 233/1990, è fissato a € 15.548,00.

Di conseguenza, gli iscritti soggetti all’aliquota del 23,50% avranno l’accredito dell’intero anno con un contributo annuo di euro 3.653,78, mentre per gli iscritti alla Gestione Separata soggetti all’aliquota del 30,72% l’accredito con un contributo annuale sarà pari a € 4.776,35 (di cui € 4.664,40 ai fini pensionistici).

L’INPS precisa che nel caso in cui il minimale non venga raggiunto entro la fine dell’anno 2015, saranno accreditati i mesi corrispondenti al contributo versato.

La ripartizione degli oneri contributivi è differente per aziende committenti e liberi professionisti.
Per quanto riguarda le aziende committenti: si conferma la ripartizione dell’onere contributivo tra collaboratore e committente, stabilita nella misura rispettivamente di un terzo (1/3) e due terzi (2/3). L’INPS sottolinea inoltre che l’obbligo del pagamento dei contributi è in capo all’azienda committente, che deve eseguire il versamento entro il 16 del mese successivo a quello di effettiva corresponsione del compenso, tramite il modello F24 telematico per i datori privati e modello F24 EP per le Amministrazioni Pubbliche.

Parlando invece dei liberi professionisti l’onere contributivo è a carico degli stessi ed il versamento deve essere eseguito, tramite modello F24 telematico, alle scadenze fiscali previste per il pagamento delle imposte sui redditi (saldo 2014, primo e secondo acconto 2015).

Gestione Separata INPS: compensi erogati entro il 12 gennaio. In base a quanto stabilito dal TUIR le somme corrisposte entro il 12 gennaio si considerano percepite nel periodo di imposta precedente. Di conseguenza il versamento dei contributi in favore dei collaboratori si riferisce a prestazioni effettuate entro il 31 dicembre 2014. A queste somme devono dunque essere applicate le aliquote contributive previste per l’anno di imposta 2014 (22 per cento per i titolari di pensione e per chi è già assoggettato ad altra previdenza obbligatoria e 28,72 per cento per coloro che sono privi da altra previdenza obbligatoria).




730/2015 precompilato: le regole per l'accesso (redditi di lavoro dipendente e assimilati)



Dal 15 aprile 2015, in via sperimentale, l'Agenzia delle Entrate metterà a disposizione dei titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati, il modello 730 precompilato. Modello che può essere accettato o modificato.

Il vantaggio fondamentale per il contribuente (oltre a quello relativo all'ulteriore semplificazione nella compilazione del modello) è legato ai controlli. Infatti, se il 730 precompilato viene presentato senza effettuare modifiche, direttamente oppure al sostituto d’imposta, non saranno effettuati i controlli documentali sulle spese comunicate all’Agenzia dai soggetti che erogano mutui fondiari e agrari, dalle imprese di assicurazione e dagli enti previdenziali (interessi passivi, premi assicurativi e contributi previdenziali). Se il 730 precompilato viene presentato, con o senza modifiche, al Caf o al professionista abilitato, i controlli documentali saranno effettuati nei confronti di questi ultimi.

L'accesso al 730 sarà garantito a prova di privacy se si decide di passare tramite Caf, commercialisti o datori di lavoro. Accesso diretto ai singoli contribuenti sia tramite i servizi on line dell'Agenzia sia tramite il pin dell'inps. Per chi già utilizza oggi queste ultime credenziali non sarà quindi necessaria nessuna nuova registrazione.

In particolare, si prevede che il contribuente in possesso delle credenziali per l’utilizzo dei servizi telematici dell’Agenzia delle entrate possa accedere direttamente alla propria dichiarazione 730 precompilata mediante le apposite funzionalità rese disponibili nell’area autenticata del medesimo sito dei servizi telematici. Inoltre, il contribuente può accedere all’area autenticata utilizzando le credenziali dispositive rilasciate dall’Inps.

In alternativa, il contribuente può avere accesso alla propria dichiarazione 730 precompilata conferendo apposita delega al proprio sostituto d’imposta, se quest’ultimo presta l’assistenza fiscale, ovvero ad un CAF o ad un professionista abilitato.

La dichiarazione precompilata sarà disponibile per tutti i titolari di redditi da lavoro dipendente o da pensione che lo scorso anno hanno presentato il 730 o hanno inviato solo il Cud. Diritto ad ottenere il 730 precompilato anche per chi nel 2015 non ha più un datore di lavoro che possa effettuare i conguagli. Potrà utilizzare il 730 precompilato anche chi nel 2014 ha utilizzato Unico, pur avendo redditi per i quali era possibile presentare il 730. Esclusi in ogni caso i titolari di partita Iva, anche per un solo giorno e senza fatture emesse, con l'unica eccezione dei i produttori agricoli in regime di esonero. Inoltre il 730 non sarà disponibile per  chi nel 2014 ha presentato dichiarazioni correttive o integrative per le quali, al 15 aprile, è ancora in corso  l'attività di controllo automatizzato.

Nel 730 on line saranno presenti i redditi certificati dai datori di lavoro e/o dall'INPS, e gli altri redditi già disponibili per l'Agenzia, ad esempio quelli fondiari. Per quel che riguarda le voci che danno diritto a detrazione e deduzioni d'imposta saranno riportate invece esclusivamente le seguenti voci:
- interessi passivi e relativi oneri accessori per i mutui;

- premi di assicurazione sulla vita, causa morte e contro gli infortuni;

- contributi previdenziali e assistenziali.

Sarà anche fornito l'elenco dei dati presi in esame e della relativa fonte informativa. Chi ha altre voci di spesa da inserire, potrà scegliere se integrare direttamente i dati utilizzando il  pannello di accesso alla dichiarazione, oppure rivolgersi per questo ad un Caf, ad un professionista abilitato o al datore di lavoro che svolge assistenza fiscale.

L'accesso alla dichiarazione da parte del contribuente "titolare" del 730 potrà avvenire, come chiarito dall'Agenzia con il provvedimento che ha dato il via all'operazione, utilizzando le credenziali d'accesso ottenute con la registrazione ai servizi di Fisconline o con il pin che consente l'accesso all'area personale sul sito dell'Inps. Si tratta di una semplificazione di non poco conto, dato che le credenziali dell'INPS sono di fatto a disposizione di tutti i contribuenti, pensionati e non, e quindi non occorre alcuna nuova procedura di registrazione per poter utilizzare il sistema.

Se si decide di rivolgersi ad un Caf o agli altri soggetti abilitati sarà necessario rilasciare un'apposita delega, accompagnata da una fotocopia dei documenti d'identità, per evitare qualunque possibilità di abuso o di violazione della privacy. I soggetti ai quali è stata conferita la delega potranno fare richiesta di accesso tramite file o tramite web, inviando il codice fiscale del contribuente assistito, alcuni dati relativi alla delega ricevuta e alcune informazioni recuperate  dalla dichiarazione relativa all'anno d'imposta precedente. Per eventuali richieste di assistenza non programmate, inoltre, i Caf e i professionisti abilitati che hanno ricevuto delega, potranno avvalersi dell'accesso via web, richiedendo il download della singola dichiarazione. In questo caso, l'Agenzia invierà il 730 precompilato in tempo reale. Per queste ulteriori richieste, per evitare usi impropri del servizio, sarà inoltre necessario digitare un codice di sicurezza.

Chi decide, invece, di approfittare della possibilità di utilizzare il 730 precompilato potrà effettuare le seguenti operazioni dalla sua area web sul sito dell'Agenzia o su quello dell'Inps:

- visualizzazione e stampa della dichiarazione;

- accettazione ovvero modifica, anche con integrazione, dei dati contenuti nella dichiarazione, e invio;

- versamento delle somme eventualmente dovute mediante modello F24 già compilato con i dati relativi al pagamento da eseguire, con possibilità di addebito sul proprio conto corrente bancario o postale se si è perso il lavoro e non si ha più un sostituto d'imposta che possa effettuare i conguagli;

- indicazione delle coordinate del conto corrente bancario o postale sul quale accreditare l'eventuale rimborso nel caso in cui non si abbia un sostituto d'imposta;

- consultazione delle comunicazioni, delle ricevute e della dichiarazione presentata;

- consultazione dell'elenco dei soggetti delegati ai quali è stata resa disponibile la dichiarazione 730 precompilata.

Inoltre, inserendo il proprio indirizzo di posta elettronica sarà possibile ricevere eventuali comunicazioni relative alla propria dichiarazione 730 precompilata. L'Agenzia delle entrate fornisce, entro cinque giorni dalla presentazione della dichiarazione, una ricevuta identificata dallo stesso numero di protocollo telematico, rilasciato dall'Agenzia stessa, del file di presentazione contenente la data di presentazione della dichiarazione e il riepilogo dei principali dati contabili.

I sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale, Caf e professionisti abilitati cui è stata conferita delega potranno fare richiesta di accesso tramite file o tramite web. A questo scopo, sarà sufficiente inviare il codice fiscale del contribuente assistito, alcuni dati inerenti la delega ricevuta e alcune informazioni desunte dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente.

Per eventuali richieste di assistenza non programmate, inoltre, i Caf e i professionisti abilitati che hanno ricevuto delega, potranno avvalersi dell’accesso via web, richiedendo il download della singola dichiarazione.



lunedì 23 febbraio 2015

Riforma del lavoro per l’anno 2015 come cambiano i contratti dì lavoro



Cambiano i contratti di lavoro con approvazione decreti attuativi del Jobs Act, dal primo marzo sarà ufficialmente in vigore. Per lo meno, lo saranno i primi due decreti che il governo ha portato oggi in Consiglio dei ministri, a conclusione di una maratona parlamentare durata quasi due mesi.

Riforma dei contratti (con la nuova disciplina che apre al demansionamento), via libera definitivo al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (con le novità in materia di licenziamenti) e ai nuovi ammortizzatori, misure di flessibilità su conciliazione tempi lavoro-famiglia, a partire da congedi di maternità, paternità e parentali.

Via libera al contratto a tutele crescenti, al riordino delle forme contrattuali e all'abolizione dei contratti di collaborazione a progetto, co.co.pro, e restano i contratti a termine per u massimo di 36 mesi. Nel caso dei co.co.pro, resteranno in vita solo quelli in essere e saranno totalmente aboliti dal primo gennaio 2016, sostituiti dal nuovo contratto a tutele crescenti, contratto a tempo indeterminato e che prevede sgravi contributivi per tre anni per le aziende che assumono.

Significa che  nei casi, come riporta il provvedimento, di ‘modifica degli assetti organizzativi’, le imprese potranno decidere di spostare il lavoratore da un ruolo operativo ad un altro, senza però modificarne il livello di inquadramento o la retribuzione che si percepisce al momento del cambio di mansione. Considerando che, come spiegano diversi esperti, in questo momento di crisi le aziende hanno bisogno di flessibilità nella gestione dei propri lavoratori, questa soluzione è quella giusta che permetterà così proprio quella flessibilità organizzativa necessaria.

In realtà resteranno comunque in vigore altre formule di precariato, come il lavoro a chiamata, i voucher, il lavoro interinale, senza contare che rimarranno 5 i rinnovi di contratti a termine nell’arco di 36 mesi, prima di definire l’assunzione a tempo indeterminato.

“Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”. Il vecchio rapporto di assunzione stabile muterà forma, sotto la sigla del neonato contratto a tutele crescenti, che verrà attivato essenzialmente per le nuove assunzioni nel settore privato.

Confermate le modifiche al licenziamento di tipo economico e disciplinare, che costituiranno, secondo precisi criteri, modalità sufficienti a evitare il diritto al reintegro. Rimane inalterato il licenziamento discriminatorio.

Il decreto legislativo elimina quasi definitivamente i contratti di collaborazione a progetto, che a partire dal primo gennaio 2016 si trasformeranno in contratti a tempo indeterminato, restano alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa, legati a particolari settori (ad esempio i call center) o tipologie professionali (i professionisti iscritti agli Ordini). In estrema sintesi, la regola è la seguente: quando il decreto entrerà definitivamente in vigore (fra un paio di mesi), le imprese non potranno più stipulare nuovi contratti di collaborazione a progetto, mentre quelli in essere proseguiranno fino alla loro scadenza. Poi, dall’1 gennaio 2016, i contratti di collaborazione «con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro» dovranno diventare rapporti a tempo indeterminato ai quali si applicheranno quindi le nuove tutele crescenti.

Spariscono il contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro e il job sarin , mentre resta sostanzialmente il contratto a tempo determinato (che quindi è applicabile per 36 mesi, tre anni, senza causale). È ampliato il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing), che non necessita più di causali e si può stipulare con un limite fissato al 10% del totale dei contratti a tempo indeterminato esistenti in azienda.

Novità sul part-time: in mancanza di regole precise fissate dai contratti collettivi, vengono stabilite per legge le modalità applicative: il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare, le parti possono pattuire clausole elastiche e flessibili in materia ad esempio di orario di lavoro. Viene infine previsto per il lavoratore il diritto a chiedere il part-time per necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa al congedo parentale.

Lavoro accessorio: elevato a 7mila euro il tetto massimo dell’importo, viene introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata.

La nuova disciplina delle mansioni introduce la possibilità di demansionamento del lavoratore, vietata dallo Statuto dei Lavoratori, in particolare, in presenza di ristrutturazione aziendale e in altri casi individuati dai contratti collettivi, l’impresa può modificare le mansioni del dipendente, limitatamente a un livello e senza diminuire lo stipendio. È anche possibile contrattare individualmente con il dipendente (in sede protetta, quindi attraverso una specifica procedura) modifica delle mansioni e del livello di inquadramento (e di retribuzione), «nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita».

Un’altra delega interviene sui congedi di maternità, paternità e congedi parentali e introduce novità in materia di telelavoro e donne vittime di violenza di genere. Per quanto riguarda i congedi di maternità, diventa più flessibile la possibilità di godere dei giorni di astensione obbligatoria non goduti in caso di parto prematuro, che possono essere fruiti successivamente, anche superano il limite dei cinque mesi. Prevista la possibilità, per la madre, di sospendere la maternità in caso di ricovero del neonato(previo certificato medico che attesti la buona salute della madre).

Il congedo di paternità è esteso a tutti i lavoratori (ora è previsto solo per i dipendenti): anche gli autonomi quindi possono utilizzarlo, nel caso in cui la madre non usufruisca del congedo di maternità.

Il congedo parentale è esteso ai primi 12 anni di vita del bambino (dagli attuali otto). Ampliati anche il congedo parzialmente retribuito al 30%, dagli attuali tre anni a sei anni di vita del bambino, e quello non retribuito, fino a 12 anni di vita del bambino (dagli attuali sei). Infine, sono introdotte nuove norme per tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali.

In tema di telelavoro, previste agevolazioni per i datori di lavoro privati che lo concedano andando incontro alle esigenze di cure parentali dei dipendenti.

Infine, è previsto un nuovo congedo, di tre mesi, per le donne vittime di violenza di genere e inserite in percorsi di protezione debitamente certificati. La lavoratrice (dipendente o collaboratrice a progetto) mantiene l’intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi, e ha il diritto di chiedere la trasformazione del contratto in part-time.



domenica 22 febbraio 2015

Lavoro: congedi e permessi per cure termali



Hanno diritto ai permessi per cure termali i lavoratori (dipendenti ed autonomi) iscritti all'INPS, eccetto i titolari di pensione in via definitiva e i familiari a carico. I permessi per cure termali spettano solitamente ai lavoratori durante il periodo di ferie fatta eccezione per i casi in cui tali cure sono necessarie a fini terapeutici o per la riabilitazione di affezioni o stati patologici per la cui risoluzione sia giudicato determinante, un tempestivo trattamento termale.

Il periodo di cure termali deve essere fruito dal lavoratore entro 30 giorni dalla richiesta medica e tra la concessione del periodo per cure termali e il godimento di un periodo di ferie deve obbligatoriamente trascorrere un periodo di almeno 15 giorni.

Le cure termali possono essere effettuate solo in relazione a malattie individuate appositamente dal ministro del Lavoro relativamente a patologie:

reumatiche;

delle vie respiratorie;

dermatologiche;

ginecologiche;

dell'apparato urinario;

vascolari;

dell'apparato gastroenterico;

Rientrano nel novero delle cure termali le terapie per il trattamento di determinate patologie effettuate mediante: bagni in acque termali, fanghi,inalazioni di vapori, sabbiature, ecc.

I periodi di cure, per essere retribuiti, non possono superare i 15 giorni l'anno e tra i periodi concessi a qualsiasi titolo per le cure termali e le ferie annuali deve trascorrere un intervallo di almeno quindici giorni.

Per avere diritto al trattamento economico di malattia il lavoratore deve:

presentare all'ASL di residenza la proposta-richiesta del medico curante, entro cinque giorni dal rilascio;

sottoporsi alla visita del medico specialista dell'ASL, che rilascia l'autorizzazione comunicare al datore di lavoro il periodo prescelto per le cure, trasmettendo la proposta-richiesta del medico curante;

farsi rilasciare dal datore di lavoro una dichiarazione da cui risulti che durante il periodo suddetto, non possono essere fruite ferie o congedi ordinari, in quanto sono già state programmate ferie collettive in altro periodo, ovvero non residua nell'anno un numero di giorni di ferie sufficiente per il completamento del ciclo di cure;

inviare all'INPS entro due giorni dall'inizio delle cure da effettuare al di fuori dei periodi di ferie, la copia della proposta-richiesta del medico curante e copia della dichiarazione di cui sopra del datore di lavoro;

inviare al datore di lavoro, sempre entro due giorni dall'inizio delle cure, copia della documentazione in possesso;

effettuare le cure prescritte senza interruzioni presso uno stabilimento termale convenzionato con il SSN;

inviare all'INPS e al datore di lavoro, al termine delle cure, l'apposito modello compilato dallo stabilimento termale.

I permessi per cure termali fruiti durante il periodo di ferie sono invece una prestazione facoltativa dell'INPS, erogata solo in presenza di malattie reumo-artropatiche e bronco-catarrali, la cui concessione è finalizzata ad evitare, ritardare o rimuovere uno stato d'invalidità.

La fruizione delle prestazioni da parte degli assicurati dell'Istituto può dunque avvenire solo in periodo feriale.

L'INPS concede le cure termali ai lavoratori che possiedono almeno 5 anni di anzianità assicurativa e almeno 3 anni di contribuzione nei 5 anni precedenti la domanda: i lavoratori non devono aver usufruito nello stesso anno di altre prestazioni termali.

Per quanto riguarda le spese, le cure termali sono a carico del servizio sanitario nazionale, mentre le spese di soggiorno sono a carico dell'INPS. L'assicurato è invece tenuto al pagamento del ticket nella misura prevista dalla legge

Durante il congedo per le cure, il lavoratore invalido ha diritto ad un trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. I giorni di congedo, però, non si calcolano ai fini del periodo di comporto (cioè il termine di conservazione del posto di lavoro per i lavoratori in malattia, stabilito dai singoli contratti collettivi).

In via ordinaria, il trattamento termale non contempla una prestazione a favore del lavoratore, dovendo la cura essere effettuata durante i periodi di ferie o di congedi. I permessi per cure termali fruiti durante tali periodi sono una prestazione facoltativa dell’Inps, erogata in presenza di malattie reumo-artropatiche e bronco-catarrali, volta ad evitare/ritardare uno stato d’invalidità.

Tuttavia, in casi straordinari – motivi di urgenza, esaurimento delle ferie – si attiva una specifica tutela: la legislazione prevede che i lavoratori dipendenti, nel pubblico o nel privato, possano usufruire di trattamenti idrotermali a carico dell’Inps fuori dai periodi di congedo ordinario e di ferie annuali, per effettive esigenze terapeutiche o riabilitative, su richiesta del medico curante dell’Inail.

Al fine di usufruire dei trattamenti termali “straordinari” è necessario essere in possesso di alcuni requisiti quali l’aver perfezionato almeno 5 anni di anzianità assicurativa, 3 anni di contributi nei 5 anni precedenti la domanda (che – giova ricordarlo – va trasmessa unitamente al correlato referto medico in modalità telematica) e non devono inoltre essere state effettuate prestazioni termali a carico della Asl o di altro Ente nello stesso anno.

Per avere diritto al trattamento economico di malattia il lavoratore deve effettuare alcune operazioni quali presentare all’Asl di appartenenza la richiesta medica entro cinque giorni dal rilascio, sottoporsi alla visita del medico dell’Asl, la cui autorizzazione rilasciata deve essere comunicata al proprio datore, il quale a sua volta rilascerà una dichiarazione, da inviare, insieme alla prescrizione del medico curante, all’Inps entro due giorni dall’inizio delle cure. Le cure devono essere praticate entro 30 giorni dalla proposta medica. Per quanto attiene la durata delle cure termali, essa non può essere superiore a 15 giorni all’anno (con i primi 3 giorni indennizzati come carenza) e tra i periodi di cure ed i congedi/le ferie deve intercorrere un intervallo di almeno 15 giorni.



sabato 21 febbraio 2015

Tfr in busta paga al via dal 1° marzo 2015



Via libera del Consiglio di Stato al decreto con le modalità per chiedere l’anticipazione del Tfr in busta paga; la novità potrebbe quindi debuttare il primo marzo, secondo i tempi fissati dalla legge di stabilità. I giudici di Palazzo Spada hanno però avanzato anche un invito al governo a valutare con attenzione alcuni punti: tra gli altri la tenuta del sistema pensionistico, su cui va a incidere la liquidazione anticipata del Tfr, e gli eventuali costi aggiuntivi che «nella triangolazione dei flussi finanziari tra datore di lavoro, istituto finanziatore e Inps» possono ricadere sulle imprese.

Quindi dal 1° marzo prossimo i lavoratori dipendenti privati potranno optare per avere liquidato mensilmente il Tfr maturando fino al giugno del 2018.

Tuttavia l’operazione non sembra che potrebbe avere i  risultati desiderati

Vediamo perché.

Destinatari della possibilità di chiedere il TFR in anticipo sono i lavoratori dipendenti occupati esclusivamente nel settore privato. Sono esclusi:
i lavoratori domestici;
i lavoratori del settore agricolo;
i datori di lavoro sottoposti a procedure concorsuali;
le aziende dichiarate in crisi ai sensi dell’articolo 4 della citata legge n. 297 del 1982.

Il lavoratore che intende chiedere dal 1 marzo 2015  l’anticipo del TFR in busta paga dovrà presentare al datore di lavoro il modulo Qu.I.R., la “Quota maturanda del Trattamento di fine rapporto come parte Integrativa della Retribuzione”.

Con poca fiducia a questa operazione del Tfr in busta paga, è stato il centro studi della UIL secondo cui la novità “è azzardata e saranno pochissimi i lavoratori che opteranno per questo”. Dai 23 mila euro di stipendio lordo in su, infatti, non solo comporterà un appesantimento della tassazione ordinaria ma anche un aumento dell'Isee con un conseguente aggravio dei costi dei servizi.

Infatti : “Se un lavoratore che guadagna circa 23 mila euro lordi all'anno, che è l'imponibile medio tra i lavoratori dipendenti, volesse scaricare nella sua busta paga i 1.209 euro di Tfr maturando, otterrebbe un beneficio mensile di 97 euro medi mensili ma si vedrebbe aumentare l'aliquota marginale Irpef dal 23,9 al 27% che, sommata ai minori sgravi fiscali dovuti ad un rialzo dell'Isee, penalizzeranno il lavoratore per 330 euro all'anno. Lo stesso anche con un reddito di 18mila euro lordi: la rata mensile si aggirerà sui 76 euro per un totale di 957 euro di Tfr maturando su cui pagherà non più il 23% ma il 27% così come un reddito di 35mila euro che volesse aggiungere un Tfr di 1.806 euro ci pagherà il 38% anziché il 25,3% per un aggravio di 307 euro. Difficile quindi pensare a un rilancio dei consumi”.

Vediamo le osservazioni del Consiglio di Stato, oltre a sostenere la coerenza normativa. I giudici hanno,  messo l’accento su alcuni punti, invitando il Governo a valutarli con attenzione.
Il primo è la tenuta del sistema pensionistico. La liquidazione anticipata del Tfr finisce per incidere su quell’assetto. È, pertanto, «necessario - scrive il Consiglio di Stato  - riflettere con cura sull’opportunità di introdurre elementi di innovazione non coerenti con le linee di fondo» di un sistema di recente sottoposto a profonda revisione e che si è avviato su un sentiero di sostenibilità strutturale di medio-lungo periodo.

«Appare aderente al vero che l’opzione che viene offerta ai lavoratori amplia effettivamente il perimetro delle loro scelte marginali in ordine alla disponibilità immediata del reddito prodotto, ma - aggiungono i giudici - incide in qualche modo sui flussi di risorse che vengono destinati all’accumulo di posizioni contributive, nel sistema Inps e nel sistema complementare». Si tratta di un «elemento delicato», anche perché la previdenza complementare, che non è mai decollata negli anni pre-crisi, continua ad avere prospettive incerte.
L’altro rilievo del Consiglio di Stato riguarda gli eventuali costi aggiuntivi che «nella triangolazione dei flussi finanziari tra datore di lavoro, istituto finanziatore e Inps» possono ricadere sulle imprese. Sarebbe un effetto «da valutare negativamente e - scrivono i giudici - da evitare, eventualmente, con opportuni accorgimenti».

Inoltre c’è un rilievo di merito che riguarda le esclusioni previste per i lavoratori. Non possono optare per il Tfr in busta paga nel prossimo triennio coloro che, in virtù di una legge o di un contratto collettivo, godono già di una corresponsione periodica del Tfr oppure il suo accantonamento presso soggetti terzi. Secondo il Consiglio di Stato con questa esclusione si rischia di introdurre una disparità di trattamento non giustificata. Il riferimento è rispetto alla scelta diversa, fatta nella norma, di riconoscere invece la possibilità di accedere all’operazione Tfr in busta paga a coloro che avevano già deciso di destinare il Tfr maturando ai fondi pensionistici complementari.


giovedì 19 febbraio 2015

Dipendenti Pa, è arrivata la circolare sul pensionamento obbligatorio



Governo fortemente inflessibile sul pensionamento obbligatorio dei dipendenti pubblici: chi snatura il diritto dovrà essere messo subito a riposo. Obbligati alla pensione i dipendenti pubblici. Nei loro confronti non opera l'incentivo della permanenza al lavoro fino a 70 anni d'età e non opera più neppure la facoltà di rimanere in servizio oltre i limiti d'età per conseguire il massimo della pensione.

Obbligo i dipendenti della Pa ad andare in pensione quando sono stati raggiunti i requisiti ovvero chi ha raggiunto i requisiti per il pensionamento. È quanto stabilisce una circolare firmata dal ministro Marianna Madia.

Il provvedimento prevede la risoluzione del rapporto di lavoro "obbligatoria, per coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto l'età limite ordinamentale".

«Soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro» - per la circolare del ministero della Pa che conferma e regola l'uscita obbligatoria (con poche eccezioni) dalla Pubblica amministrazione per chi abbia raggiunto l'età della pensione e ridefinisce la disciplina della risoluzione unilaterale. Il documento, appena firmato dalla ministra Marianna Madia, è in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti, ma il ricambio generazionale dei dipendenti pubblici si può dire definitivamente avviato.

ll decreto legge Madia, entrato in vigore quest’estate, prevedeva dopo il 31 ottobre 2014 l’abolizione del trattenimento in servizio, che consentiva di continuare a lavorare dopo il raggiungimento dei requisiti per la messa a riposo. Ma per i magistrati il termine è stato, già nel dl, esteso al 31 dicembre 2015. "Essendo già scaduto" il termine del 31 ottobre 2014, "i trattenimenti non possono proseguire", si legge nel testo della circolare pubblicata sul sito della Funzione pubblica. "A tal fine, si considerano in essere i trattenimenti già disposti ed efficaci. I trattenimenti già accordati ma non ancora efficaci al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto-legge) si intendono revocati ex lege".

Quanto alla disciplina speciale, si precisa, «la data limite per l'efficacia dei trattenimenti in servizio, seppure ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è il 31 dicembre 2015, data oltre la quale coloro che ne stiano fruendo devono essere collocati a riposo. Per tali categorie di personale, pertanto, è ancora possibile disporre il trattenimento, che non potrà avere durata tale da superare la predetta data». Quanto al personale della scuola, il regime «ha esaurito i suoi effetti il 31 agosto 2014. Nessun dipendente del comparto scuola, quindi, può trovarsi ancora in servizio in virtù del trattenimento eventualmente operato».

Quanto alla disciplina speciale, si precisa, "la data limite per l’efficacia dei trattenimenti in servizio, seppure ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è il 31 dicembre 2015, data oltre la quale coloro che ne stiano fruendo devono essere collocati a riposo". Per tali categorie di personale, pertanto, è ancora possibile "disporre il trattenimento, che non potrà avere durata tale da superare la predetta data". Riguardo al personale della scuola, il regime "ha esaurito i suoi effetti il 31 agosto 2014. Nessun dipendente del comparto scuola, quindi, può trovarsi ancora in servizio in virtù del trattenimento eventualmente operato". "L’intervento legislativo - spiega il Ministero - è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni".

Innanzitutto, la circolare illustra i nuovi requisiti di età e contribuzione per maturare il diritto alla pensione, nelle due nuove alternative di pensione di vecchiaia e pensione anticipata; ricorda, tra l'altro, l'abrogazione delle finestre che fissavano la decorrenza della pensione e l'estensione del sistema contributivo, con il pro-rata, alle anzianità successive al 2011. Le nuove norme non si applicano, tuttavia, nei confronti dei lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione entro il 31 dicembre 2011, i quali potranno conseguire la pensione in qualsiasi momento secondo il vecchio regime (ante riforma). Da questa deroga, la circolare fa scaturire un preciso obbligo per le p.a., ossia quello di dover collocare a riposo nel 2012 o negli anni successivi al compimento dei 65 anni quei dipendenti che nel 2011 erano già in possesso della massima anzianità contributiva (40 anni) o della «quota» (era 96) o comunque dei requisiti per la pensione.

"L'intervento legislativo - spiega il Ministero - è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni". La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro con la Pa continua a non applicarsi per i magistrati e i professori universitari cui si aggiungono anche i dirigenti di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale.

L'amministrazione è però tenuta a proseguire il rapporto di lavoro quando il dipendente "non matura alcun diritto a pensione al compimento dell'età limite ordinamentale o al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia". In questi casi l'amministrazione "deve proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente oltre il raggiungimento del limite per permettergli di maturare i requisiti minimi previsti per l'accesso a pensione non oltre il raggiungimento dei 70 anni di età".

Rimane invariato il termine di preavviso per il recesso, che anche la nuova disposizione stabilisce in 6 mesi.




mercoledì 18 febbraio 2015

Esenzione contributiva con le assunzioni a tempo indeterminato



Allo scopo di promuovere forme di occupazione stabile, l’art. 1, commi da 118 a 124, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 ha introdotto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro in relazione alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza nel corso del 2015. Si tratta di un esonero contributivo per tutti i datori di lavoro privati (non solo le imprese), sulle assunzioni a tempo indeterminato del 2015, fino a un massimo di 8.060 euro su base annua, che vale per tre anni. Sono esclusi i contratti di apprendistato e il lavoro domestico. L’INPS con la circolare 17/2015 aveva fornito le prime indicazioni per gestire l’agevolazione, e ora con il messaggio 1144 aggiunge tutti i dettagli operativi tecnici.

L’esonero è applicabile esclusivamente ai datori di lavoro privati;

Riguarda le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato decorrenti dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015;

L’esonero spetta anche ai datori di lavoro agricoli (comma 119), con esclusione dei lavoratori che nell’anno 2014 siano risultati occupati a tempo indeterminato e relativamente ai lavoratori occupati a tempo determinato che risultino iscritti negli elenchi nominativi per un numero di giornate di lavoro non inferiore a 250 con riferimento all’anno solare 2014. L’incentivo è riconosciuto dall’Inps in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande e, nel caso di insufficienza delle risorse, valutata anche su base pluriennale con riferimento alla durata dell’incentivo, l’Istituto previdenziale non prende in considerazione ulteriori domande, fornendo immediata comunicazione anche attraverso il proprio sito internet. Per il settore agricolo sono stati stanziati 2 milioni di euro per il 2015.

Sono esclusi i contratti di apprendistato ed i contratti di lavoro domestico;

L’esonero riguarda un periodo massimo di 36 mesi e un importo massimo pari a 8.060 euro su base annua;

L’esonero contributivo spetta a condizione che, nei sei mesi precedenti l’assunzione, il lavoratore non sia stato occupato, presso qualsiasi datore di lavoro, con contratto a tempo indeterminato. Il Legislatore ha escluso l’applicazione dell’esonero medesimo laddove, nell’arco dei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della Legge di stabilità 2015, il lavoratore assunto abbia avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con il datore di lavoro richiedente l’incentivo ovvero con società da questi controllate o a questi collegate

L’esonero contributivo in oggetto non si applica nei confronti della pubblica amministrazione, individuabile assumendo a riferimento la nozione e l’elencazione recati dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001.


Pertanto, il beneficio in oggetto si applica ai seguenti datori di lavoro:
a) datori di lavoro imprenditori.

L’esonero contributivo riguarda tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ancorché in regime di part-time, con l’eccezione dei contratti di:
a) apprendistato;
b) lavoro domestico.

Nel novero delle tipologie contrattuali incentivate rientra anche il lavoro ripartito o job sharing a tempo indeterminato, purché le condizioni per l’applicazione dell’esonero siano possedute da ambedue i lavoratori coobbligati.

Lo scopo è quello di incentivare l’adozione, nella regolazione dei rapporti di lavoro, della tipologia contrattuale per sua natura caratterizzata da requisiti fondanti di stabilità - il contratto a tempo indeterminato - si ritiene che non possa rientrare fra le tipologie incentivate l’assunzione con contratto di lavoro intermittente o a chiamata ancorché stipulato a tempo indeterminato. Al riguardo, si osserva come il lavoro intermittente, anche laddove preveda la corresponsione di un compenso continuativo in termini di indennità di disponibilità, costituisca pur sempre una forma contrattuale strutturalmente concepita allo scopo di far fronte ad attività lavorative di natura discontinua.

I datori di lavoro, prima della trasmissione della denuncia contributiva del primo mese in cui utilizzano il beneficio, devono chiedere all’INPS, attraverso la funzione “contatti” del cassetto previdenziale, l’attribuzione del codice di autorizzazione “6Y”, che significa “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014“. Per effettuare la richiesta, all’interno del cassetto previdenziale bisogna selezionare nel campo oggetto la denominazione “esonero contributivo triennale legge n. 190/2014“, utilizzando la seguente locuzione: “Richiedo l’attribuzione del codice di autorizzazione 6Y ai fini della fruizione dell’esonero contributivo introdotto dalla legge n. 190/2014, art. 1, commi 118 e seguenti, come da circolare n. 17/2015“.

La sede INPS territorialmente competente assegnerà il codice di autorizzazione alla posizione contributiva interessata, con validità dal primo gennaio 2015 al 31 dicembre 2018, dandone comunicazione al datore di lavoro sempre attraverso il cassetto previdenziale.

Ottenuto il codice, parte l’operatività, I datori di lavoro espongono nel flusso Uniemens i lavoratori per i quali spetta l’esonero, selezionando l’elemento <Imponibile> e l’elemento <Contributo> della sezione <DenunciaIndividuale>. In particolare, nell’elemento <Contributo> deve essere indicata la contribuzione piena calcolata sull’imponibile previdenziale del mese. Poi, per esporre il beneficio spettante, dovranno essere valorizzati all’interno di <DenunciaIndividuale>, <DatiRetributivi>, elemento <Incentivo> i seguenti elementi:

<TipoIncentivo>: inserire il valore “TRIE” avente il significato di “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190″;

<CodEnteFinanziatore>: inserire il valore “H00″ (Stato);

<ImportoCorrIncentivo>: indicare l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente, calcolato in base ai criteri illustrati nella circolare n. 17/2015. Si ricorda che l’esonero riguarda la contribuzione previdenziale e assistenziale a carico del datore di lavoro, fatta eccezione per la contribuzione al “fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile” e ai fondi di cui all’articolo 3, commi 2, 14 e 19 delle legge 92/2012, fino al limite della soglia massima mensile pari a 671,66 (che significa 8.060 euro all’anno). Per i rapporti di lavoro instaurati ovvero risolti nel corso del mese, il massimale mensile va ridotto proporzionalmente al numero dei giorni di lavoro, assumendo a riferimento la misura giornaliera di esonero contributivo pari a 22,08 euro;

<ImportoArrIncentivo>: indicare l’importo dell’esonero contributivo dei mesi di competenza di gennaio e/o febbraio 2015. Si sottolinea che la valorizzazione del predetto elemento può essere effettuata esclusivamente nei flussi UniEmens di competenza di febbraio 2015, relativamente all’arretrato del precedente mese di gennaio, o di marzo 2015, relativamente all’arretrato dei precedenti mesi di gennaio e/o febbraio.

Si ricorda che per il lavoro a tempo parziale, o ripartito, la misura dell’incentivo va sempre rapportata al relativo orario di lavoro.

L’INPS nella precedente circolare ha spiegato chiaramente che l’importate è non superare il tetto annuale di 8060 euro: se ci sono mensilità in cui si supera la soglia di 671,66, l’eccedenza può essere esposta nel mese corrente e nei mesi successivi e comunque rispettivamente entro il primo, il secondo e il terzo anno di durata del rapporto di lavoro.

Un rapporto di lavoro agevolato a tempo pieno instaurato il primo maggio 2015. Nei mesi di maggio e giugno l’importo dei contributi non dovuti è pari a 600 euro. A luglio, a seguito di un aumento dell’imponibile per corresponsione di premi o altri emolumenti, l’importo dell’esonero spettante sale a 750 euro. Nella denuncia relativa al mese di luglio, il datore di lavoro non può esporre la somma di 750 euro, in quanto superiore alla soglia massima mensile, per cui indicherà nell’elemento <ImportoCorrIncentivo> la somma di 671,66 euro.

La differenza, pari a 78,34 euro (750,00-671,66) può essere fruita nello stesso mese, in quanto inferiore alla quota residuale di esonero non fruita nei due mesi precedenti, pari a 143,32 euro (71,66 euro dato dalla differenza 671,66-600 per maggio e e giugno). Questa somma può essere conguagliata in corrispondenza dell’elemento <ImportoACredito> di <AltreACredito > di <DenunciaIndividuale> e andrà valorizzata nell’elemento <CausaleACredito> la causale “L700″ avente il significato di “Recupero residuo esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014″.

I datori di lavoro che invece hanno fruito del beneficio e hanno poi sospeso o cessato l’attività, dovranno avvalersi della procedura delle regolarizzazioni contributive.

E’ un settore che segue regole specifiche: i datori di lavoro devono presentare all’INPS specifica istanza, in via telematica, usando il modello di comunicazione “ASSUNZIONE OTI 2015” disponibile all'interno del “Cassetto previdenziale aziende agricole” sezione “Comunicazioni bidirezionale – Invio Comunicazione“. Il modulo si compone di due diverse sezioni: la prima, dedicata alla richiesta di esonero contributivo, alla quale l’INPS risponde entro tre giorni, la seconda, che è la domanda definitiva di accesso al beneficio, che va compilato entro 14 giorni.

Conclusa positivamente questa fase, viene attribuito apposito codice di autorizzazione,denominato E5, e il datore di lavoro dovrà, per il lavoratore agevolato, indicare, nel flusso DMAG, oltre ai consueti dati retributivi per lo stesso mese:



domenica 15 febbraio 2015

Busta paga: come calcolare gli scatti di anzianità



I contratti collettivi premiano l'anzianità di servizio del dipendente con i cosiddetti scatti di anzianità. La motivazione che sta alla base di tale norma è molto semplice: il dipendente che passa più tempo nella stessa azienda, conosce molto meglio il lavoro, le procedure, i clienti, e quindi è certamente più produttivo rispetto ad un neo assunto.

Pertanto ogni due o tre anni (dipende dal contratto) il dipendente ha diritto ad un aumento della retribuzione di riferimento, chiamato appunto scatto di anzianità. L'importo di tale scatto è stabilito dal contratto collettivo nazionale, così come il numero massimo di scatti che è possibile "accumulare".

Quindi ogni dipendente nell’arco della sua vita lavorativa, ha diritto ad una serie limitata di scatti retributivi sulla busta paga.

La normativa applicata agli scatti di anzianità è stabilita dai contratti collettivi nazionali, gli stessi indicano sia il numero massimo degli scatti dell’intera vita lavorativa, sia la cadenza. I settori dell’industria e del commercio, sono i contratti che maggiormente si utilizzano nel nostro paese, e da entrambi traiamo la metodologia di calcolo.

Il settore del “commercio” prevede 10 scatti di anzianità, ciò significa che nell’arco di una vita lavorativa, al massimo potrò “accumulare” 10 scatti. Lo scatto maturerà dopo tre anni di appartenenza ad uno stesso livello di qualifica. Lo scatto matura dal mese successivo la data di assunzione, ma nel caso in cui questa data coincida con il primo giorno del mese, lo scatto matura dal mese stesso.

Il settore “industria” invece prevede 5 scatti di anzianità con cadenza biennale. In pratica lo scatto matura dopo due anni di appartenenza allo stesso livello di qualifica. Anche in questo caso così come nel commercio, lo scatto comincerà a maturare dal mese successivo la data di assunzione, tranne nel caso in cui questa non coincida con il primo giorno del mese, in questo caso lo scatto matura dallo stesso mese.

Gli scatti di anzianità, che sono quella parte della retribuzione legata alla permanenza del lavoratore nell'azienda. Si deve comunque far riferimento ai singoli CCNL in quanto sono regolamentati in maniera diversa sia nel numero, che nella percentuale o quantificazione così come nella cadenza temporale.

L'importanza dell'anzianità nella busta paga Gli scatti di anzianità (premiano la professionalità e sono legati agli anni di durata del rapporto di lavoro) generalmente sono biennali o triennali ed in cifra fissa sulla base del livello di inquadramento.

Si può poi avere un trattamento salariale integrativo migliore rispetto a quanto stabilito dai CCNL attraverso la contrattazione di secondo livello (territoriale o aziendale) ed il cosiddetto superminimo individuale (contrattazione individuale).

Gli scatti di anzianità sono aumenti retributivi che maturano periodicamente in funzione dell'anzianità di servizio presso la stessa azienda e che servono a premiare la crescita professionale acquisita dal lavoratore negli anni. Infatti è del tutto evidente La normativa di tali aumenti periodici è rigidamente stabilita dai contratti collettivi nazionali, i quali indicano la cadenza temporale (cioè ogni quanti anni devono maturare gli scatti) ed il numero massimo degli scatti accumulabili nel coso della vita lavorativa. Gli scatti in genere hanno cadenza biennale o triennale (dipende dai contratti collettivi nazionali) e decorrono dal primo giorno del mese immediatamente successivo a quello in cui si compie il biennio o triennio di anzianità. L'importo degli scatti è in cifra fissa e varia in base al livello di assunzione.

La disciplina degli aumenti periodici di anzianità è pertanto dettata dai contratti collettivi di categoria, che prevedono la maturazione, a cadenza biennale o triennale ed entro limiti massimi prestabiliti, di aumenti determinati in cifra fissa o - in via ormai quasi del tutto residuale - determinati applicando una percentuale ai minimi di retribuzione o paga base.

Nel caso in cui i contratti collettivi facciano dipendere la maturazione degli scatti di anzianità non dall'effettivo servizio del lavoratore ma dal decorso dell'anzianità di servizio, questi maturano anche durante le assenze dal lavoro dovute a ferie, malattia, infortunio e maternità.




Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro aspetti da conoscere e norme



Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) è il contratto che viene stipulato a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni rappresentanti i datori di lavoro, le quali predeterminano in maniera congiunta la disciplina dei rapporti individuali di lavoro e parte dei rapporti reciproci.

Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è un accordo collettivo siglato dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni dei datori di lavoro che disciplina i trattamenti economici e normativi dei rapporti di lavoro nei diversi settori produttivi.

Il CCNL disciplina i trattamenti economici e normativi minimi comuni per tutti i lavoratori impiegati in un specifico settore. Esso inoltre definisce modalità e ambito di applicazione della contrattazione di secondo livello e regola il sistema di relazioni industriali a livello nazionale, territoriale ed aziendale. Si tratta di un contratto atipico e come tale è disciplinato dalle norme del codice civile sui contratti in generale.

Il contratto collettivo ha forza di legge tra le parti (datori di lavoro e organizzazioni sindacali) e produce i suoi effetti solo nei confronti delle parti collettive direttamente stipulanti, nonché dei soggetti individuali appartenenti alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro (o di un singolo datore di lavoro) che lo hanno stipulato.

Può accadere però che alla delegazione dei lavoratori siano rimaste estranee una o più organizzazioni non ritenute rappresentative.

Il CCNL è costituito essenzialmente da una parte normativa ed una obbligatoria.

La parte normativa contiene disposizioni volte a disciplinare ogni singolo rapporto di lavoro in merito al trattamento economico e normativo (minimi retributivi, trattamenti di anzianità, maggiorazioni, durata del periodo di prova, di preavviso o di comporto; disciplina del lavoro straordinario, festivo o notturno; trattamenti di malattia, maternità e infortunio; particolari tipologie di contratti come l'apprendistato, il contratto a termine, la somministrazione di lavoro, ecc.

La parte obbligatoria contiene invece disposizioni volte a disciplinare i rapporti tra le parti collettive, sindacati e organizzazioni degli imprenditori o i singoli imprenditori.

Adesione

Il datore di lavoro può scegliere liberamente l'organizzazione sindacale a cui iscriversi, ed una volta iscritto deve obbligatoriamente applicare il CCNL relativo all'organizzazione a cui ha aderito.

In tal caso il CCNL si applica a tutti i dipendenti, a prescindere dalla mansione concretamente svolta dai medesimi.

In assenza di iscrizione ad una organizzazione sindacale, il datore di lavoro non ha l'obbligo di applicare un CCNL. Pertanto si possono verificare due ipotesi:

il datore di lavoro può decidere di applicare un determinato CCNL, aderendovi esplicitamente, ad esempio indicandone gli estremi nel contratto individuale o nella lettera di assunzione

l'adesione può anche essere implicita, quando il datore di lavoro applica spontaneamente e costantemente un determinato CCNL o almeno le sue clausole più rilevanti e significative

Forma

La legge lascia alle parti libertà di forma, tuttavia, nella prassi, per consentire la certezza del diritto, è utilizzata la forma scritta.

Durata

Il CCNL ha una durata triennale. Alla scadenza, il contratto cessa di produrre i suoi effetti e non è più vincolante per le parti.

Le clausole concernenti il trattamento economico conservano, però, la loro efficacia, anche scaduto il contratto.

Rinnovo

Ciascun CCNL deve definire i tempi e le procedure per la presentazione della piattaforma contrattuale e i tempi per l'apertura e lo svolgimento dei negoziati.

In ogni caso le proposte per il rinnovo del contratto devono essere presentate in tempo utile per consentire l'apertura della trattativa sei mesi prima della scadenza.
Le trattative sfociano in un accordo sulle modifiche da apportare al testo contrattuale (la c.d. ipotesi di accordo), che è condizionato, nelle aziende, all'approvazione dei lavoratori mediante assemblea o referendum.

Ciascun CCNL stabilisce inoltre un meccanismo che, alla data di scadenza del contratto precedente, riconosca ai lavoratori in forza una copertura economica per il periodo di vacanza contrattuale.

Recesso

Il recesso del datore di lavoro dal CCNL prima della sua scadenza integra un inadempimento contrattuale, oltre che una condotta antisindacale.

Il datore di lavoro può recedere unilateralmente da un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, per applicare uno di altra categoria più vicina alla propria, purché sia sempre rispettato il principio dell'irriducibilità della retribuzione.

Gli scopi del CCNL sono sostanzialmente i seguenti:

determinare il contenuto dei contratti individuali di lavoro nei vari settori, sia per ciò che concerne l’aspetto economico, sia per quel che riguarda l’aspetto normativo;
 
disciplinare i rapporti tra i soggetti collettivi.



martedì 10 febbraio 2015

Contratti a termine e durata a trentasei mesi



Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente  o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

Nel nostro ordinamento, il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un datore di lavoro, trova la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, cioè in un contratto che non prevede l’indicazione di una data di conclusione del rapporto, determinando un miglioramento della qualità della vita, anche psicologica, e di stabilità economica dei lavoratori.

Il vantaggio che offre un contratto di lavoro a tempo determinato è sicuramente, che tale tipologia contrattuale risponde, in determinate circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato. Inserito in un contesto in cui è possibile una partecipazione continua al mercato del lavoro e con la percezione di un reddito adeguato, il lavoratore può così pianificare la propria vita.

Una novità di primo piano è quella dell’eliminazione dell’obbligo di specificare la causale, vale a dire la motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro, in virtù della nuova disciplina legislativa, non deve più indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a tempo determinato.

Il contratto a termine a-causale non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi.

La proroga, per la quale è necessaria la forma scritta, è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato, senza l’onere, a carico del datore di lavoro, di fornire la prova della causale che giustifica la prosecuzione del rapporto.

Se dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro prosegue di fatto:

per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi)
per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi),

il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore.

Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni?

Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento.
Per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario, inoltre, che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:

intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi
intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.
Anche il mancato rispetto di queste interruzioni temporali determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni equivalenti, il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine.
Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente, con la presenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato che non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione; per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi nazionali hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.

In ogni caso non sono soggetti a limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, per sostituzione di personale assente, per attività stagionali, per spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, nonché quelli conclusi con lavoratori di età superiore a 55 anni.

Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.

Fermi restando comunque i diversi limiti quantitativi stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali, per i datori che alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 34/2014 occupino lavoratori a termine oltre al tetto legale del 20%, l’obbligo di adeguamento a tale soglia scatta a decorrere dal 2015, sempre che la contrattazione collettiva, anche aziendale, non fissi un limite percentuale o un termine più favorevoli. L'Interpello n.30/2014 ha chiarito che anche la contrattazione di prossimità può prevedere una rimodulazione di tali limiti ma non una loro abolizione.

Va peraltro ricordato che, come evidenziato dal Ministero del lavoro, “che il periodo massimo di 36 mesi, peraltro derogabile dalla contrattazione collettiva, rappresenta un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non al ricorso alla somministrazione di lavoro. Ne consegue che raggiunto tale limite il datore di lavoro potrà comunque ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore anche successivamente al raggiungimento dei 36 mesi”. Tale conversione è però soggetta alle seguenti limitazioni:

i contratti a termine devono aver riguardato lo svolgimento di mansioni “equivalenti”, concetto questo potenzialmente oggetto di infinite controversie: ne consegue che il datore di lavoro dovrà tenere accurata documentazione - anche per quanto riguarda le mansioni svolte (lettere di assunzione, di modifica delle mansioni eccetera) - circa i contratti stipulati in anni tra loro distanti;

si contano tutti i periodi di lavoro prestato tra le medesime parti, cumulando la durata originaria dei singoli contratti con i relativi rinnovi e proroghe: poiché non è stato previsto un arco temporale massimo, il conteggio dovrà comprendere tutti i rapporti intercorsi, in corso tra le parti;

non si contano, invece, i periodi di interruzione tra un contratto e il successivo. Vanno quindi escluse dal computo le cosiddette “pause non lavorate” tra un contratto a tempo determinato e l'altro.

Dal computo dei 36 mesi vanno esclusi il contratto di inserimento e le assunzioni a termine delle liste di mobilità .




domenica 8 febbraio 2015

Contratti di solidarietà: integrazione salariale 2015



I contratti di solidarietà sono accordi, stipulati tra l'azienda e le rappresentanze sindacali, aventi ad oggetto la diminuzione dell’orario di lavoro al fine di:

mantenere l’occupazione in caso di crisi aziendale e quindi evitare la riduzione del personale (contratti di solidarietà difensivi, art. 1 legge 863/84);

favorire nuove assunzioni attraverso una contestuale e programmata riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione (contratti di solidarietà espansivi art. 2 legge 863/84). Questa tipologia ha avuto, però, scarsissima applicazione.
Il contratto di solidarietà nasce come strumento atto a difendere l’occupazione, facendo in modo che il sacrificio imposto ai lavoratori, in seguito alla diminuzione dell'orario di lavoro, possa essere recuperato attraverso un rimborso di quote di retribuzione da parte dell’Inps.

I contratti di solidarietà sono rivolti a tutto il personale dipendente ad esclusione di:
dirigenti

apprendisti;

lavoratori a domicilio;

lavoratori con anzianità aziendale inferiore a 90 giorni;

lavoratori assunti a tempo determinato per attività stagionali.
I lavoratori part-time sono ammessi nel solo caso in cui l’azienda dimostri “il carattere strutturale del part-time nella preesistente organizzazione del lavoro”.

La legge prevede due tipologie di contratti di solidarietà:

1. TIPO A - contratti di solidarietà per le aziende rientranti nel campo di applicazione della disciplina in materia di CIGS (art. 1 legge n. 863/84);

2. TIPO B - contratti di solidarietà per le aziende non rientranti nel regime di CIGS e per le aziende artigiane (art. 5 comma 5 legge n. 236/93).


Dal 2015 torna al 70% l’integrazione salariale dei contratti di solidarietà. È la novità introdotta da un emendamento al decreto Milleproroghe approvato dalla Commissione Bilancio alla Camera. Il ripristino per tutto il 2015 del contributo nella misura del 70% per i contratti in essere verrà finanziato con 50 milioni di euro di risorse recuperate dal fondo sociale per l’occupazione e la formazione.

Dal 2015 per i contratti di solidarietà di tipo A, stipulati in un contesto aziendale ove sussiste il diritto alla cassa integrazione salariale straordinaria, è prevista l’integrazione del 60%. Né la legge di Stabilità 2015, ne' il decreto Milleproroghe 2015 hanno prorogato la norma che stabiliva al 70% la misura dell'integrazione salariale spettante ai lavoratori coinvolti in contratti di solidarietà. Il rischio è destabilizzare un contratto il cui utilizzo è cresciuto in termini importanti nel corso degli ultimi anni, determinandone una perdita di attrattiva per aziende e lavoratori. Si apre, tuttavia, uno spiraglio con un emendamento del Governo al Milleproroghe che ripristina la percentuale del 70%.

Viene dunque confermato l’intervento sui contratti di solidarietà anticipato nei giorni scorsi dal sottosegretario al Ministero del Lavoro, Teresa Bellanova, la quale ha definito l’integrazione dei contratti di solidarietà: «Uno strumento fondamentale, specialmente in anni di crisi, perché permette di evitare il licenziamento: per questo nel Jobs act abbiamo scritto che il suo ricorso dovrà essere prioritario. Il Ministero ha quindi confermato l’impegno a dare attuazione alle disposizioni della delega con specifici interventi per la messa a regime di questo ammortizzatore sociale, destinando ai contratti di solidarietà una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione».

Senza questa proroga, dal primo gennaio 2015, i contratti di solidarietà avrebbero perso il 10% sull’integrazione salariale. Anche nel 2014 l’integrazione era al 70%, mentre per questi contratti la legge prevede un’integrazione pari al 60% a carico della cassa integrazione straordinaria, sulla parte di monte ore che viene perso. Grazie all’emendamento al Milleproroghe approvato, l’integrazione sarà al 70% anche nel 2015.

L'intervento straordinario di integrazione salariale è destinato alle seguenti categorie di aziende che abbiano occupato nel semestre precedente alla richiesta d'intervento più di 15 dipendenti:

imprese industriali (comprese quelle edili ed affini);

imprese cooperative e loro consorzi, che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici, per i dipendenti a tempo indeterminato;
imprese artigiane, il cui fatturato nel biennio precedente, dipendeva per oltre il 50% da un solo committente, destinatario di CIGS;

aziende appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, le cui imprese committenti siano interessate da CIGS;

imprese appaltatrici di servizi di pulizia la cui impresa committente sia destinataria di CIGS;

imprese editrici di giornali quotidiani, periodici e agenzie di stampa a diffusione nazionale per le quali si prescinde dal limite dei 15 dipendenti;

imprese esercenti attività commerciali con più di cinquanta dipendenti;

agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, con più di cinquanta dipendenti;

imprese di vigilanza con più di quindici dipendenti;

imprese del trasporto aereo a prescindere dal numero di dipendenti;

imprese del sistema aeroportuale a prescindere dal numero di dipendenti.

I lavoratori che possono beneficiare dell'intervento nel rispetto del requisito occupazionale di 90 giorni di anzianità lavorativa ( art. 8, co. 3 della Legge n. 160 del 20/5/1988 - Circ. n. 171 del 4/8/1988 sono:
operai e intermedi;
impiegati e quadri;
soci e non soci di cooperative di produzione e lavoro;
lavoratori poligrafici e giornalisti.




giovedì 5 febbraio 2015

Contributi previdenziali Inps per artigiani e commercianti


Per il 2015 le aliquote dei contributi Inps dovuti da artigiani e commercianti salgono di 0,45 punti percentuali, come era stato stabilito dal Decreto salva Italia.

Con la Circolare n. 26 del 4 febbraio 2015, l'Inps ha aggiornato i livelli di contribuzione dovuti per l’anno 2015 da parte di artigiani e commercianti. Si deve ricordare, infatti, che, per effetto del decreto Salva Italia (D.L. n. 201/2011), la contribuzione è ulteriormente incrementata di 0,45 punti percentuali rispetto alle aliquote vigenti alla fine del 2013, raggiungendo il 22,65% per gli artigiani e il 22,74% per i commercianti.

L’aumento sarà effettuato – in egual misura - ogni anno fino a raggiungere il 24% nel 2018. Continua ad applicarsi la riduzione del 50% nei confronti degli autonomi con più di 65 anni di età, già titolari di pensione a carico dell’istituto. Resta fermo, per i commercianti, il versamento aggiuntivo dello 0,09% in più rispetto agli artigiani per l’indennizzo per la cessazione definitiva dell’attività commerciale. Per i coadiuvanti e coadiutori di età non superiore a 21 anni l’aliquota è ridotta di 3 punti percentuali.

I contributi previdenziali dovuti da un commerciante iscritto all’Inps vengono calcolati mediante l’applicazione di una percentuale ad un reddito minimo ( attribuito ad ogni singolo soggetto dell'impresa)  + una percentuale sull’eccedenza fino a un massimale, sempre fissato dall'INPS. Il reddito minimo annuo per il 2015 è pari a 15.548,00 euro.

Per periodi inferiori all'anno i contributi dovuti sul minimale devono essere sempre rapportati ai mesi effettivi.

Tali somme vanno versate in 4 rate di pari importo alle scadenze di:
18 maggio 2015
20 agosto 2015
16 novembre 2015
16 febbraio 2016

Nel 2015 vanno anche versati i contributi sul reddito 2014 eccedente il minimo, calcolati con la stessa aliquota  del 22.74%  per redditi fino a 46.123,00 euro , per i titolari di impresa,  mentre per redditi che superano tale soglia  l'aliquota sale al 23,74%.

Il massimale di reddito annuo  ai fini dei contributi IVS per il 2015 è pari a:
76.872,00 per gli iscritti alla gestione e con anzianità contributiva  anteriore al 1996 e  100.324,00 mentre per gli iscritti successivamente.  Queste somme vanno versate  entro i termini previsti dal pagamento delle imposte sui redditi  a titolo di saldo 2014, primo acconto 2015 e secondo acconto 2015.

Qualora il reddito 2015 ecceda il reddito 2014  e quindi quanto versato  in totale tra acconto e saldo,  sia inferire al dovuto, andrà versato un ulteriore  conguaglio.

I contributi previdenziali dovuti da un artigiano iscritto all’Inps vengono calcolati mediante l’applicazione di una percentuale ad un reddito minimo ( attribuito ad ogni singolo soggetto dell'impresa) + una percentuale sull’eccedenza fino a un massimale, sempre fissato dall'INPS. Il reddito minimo annuo per il 2015 è pari a 15.548,00 euro .

Come comunicato dalla Circolare INPS n. 26 del 4 febbraio 2015, l'aliquota per l'anno 2015 dei contributi IVS ( per prestazioni di invalidità, vecchiaia, superstiti) per gli artigiani è salita a

22,65 per i titolari e coadiutori di età superiore a 21 anni e a 19,65% per i coadiutori sotto i 21 anni.

Al contributo IVS va aggiunto il contributo per la maternità pari a 7,44 euro annui.

Di conseguenza i contributi previdenziali minimi ( IVS + maternità) ammontano a:

3.529,06 euro per titolari e coadiutori sopra i 21 anni e a 3,062,62 euro per i coadiutori sotto i 21 anni

 Per periodi inferiori all'anno i contributi dovuti sul minimale devono essere sempre rapportati ai mesi effettivi.

Nel 2015 vanno anche versati i contributi sul reddito 2014 eccedente il minimo , calcolati con la stessa aliquota del 22,65 per redditi fino a 46.123,00 euro, per i titolari di impresa, mentre per redditi che superano tale soglia l'aliquota sale al 23,65%.

Il massimale di reddito annuo ai fini dei contributi IVS per il 2015 è pari a:
 76.872,00 per gli iscritti alla gestione e con anzianità contributiva anteriore al 1996 e 100.324,00 mentre per gli iscritti successivamente

Queste somme vanno versate entro i termini previsti dal pagamento delle imposte sui redditi a titolo di saldo 2014, primo acconto 2015 e secondo acconto 2015.

Qualora il reddito 2015 ecceda il reddito 2014 e quindi quanto versato in totale tra acconto e saldo, sia inferire al dovuto, andrà versato un ulteriore conguaglio.



mercoledì 4 febbraio 2015

Assunzioni 2015 i casi di esonero contributivo



Per fruire dello sgravio triennale contributivo per le assunzioni 2015, il lavoratore assunto non deve aver svolto attività con contratto d’apprendistato (se a tempo indeterminato) e con contratto di somministrazione nei sei mesi precedenti la data di decorrenza dell’assunzione agevolata.

La piena ammissibilità è prevista sia per i contratti di lavoro intermittente che per quello a tempo determinato. L’incentivo spetta anche in caso di attività svolte dal lavoratore con contratti di lavoro a progetto, tirocini formativi, lavoro autonomo. L’INPS fa chiarezza in merito alle condizioni generali per fruire dello sgravio contributivo previsto dalla legge di Stabilità 2015.

Arrivano le istruzioni INPS sullo sgravio triennale relativo alle assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato effettuate con decorrenza dal 1° gennaio 2015 e fino al 31 dicembre 2015. La circolare n.17 del 29 gennaio 2014 offre chiarimenti operativi utili per l’utilizzo del nuovo regime di esonero entrato in vigore dall’inizio dell’anno, introdotto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 – legge di Stabilità 2015, con i commi da 118 a 124 dell’articolo 1.

Dunque sia i datori di lavoro che abbiano già effettuato le assunzioni (ricordiamo che anche se collocato idealmente nell’ambito del contratto di lavoro a tutele crescenti che ancora non è operativo, risulta normativamente anche da un punto di vista della sua entrata in vigore, non collegato ) che quelli più prudenti in quanto attendevano i chiarimenti sulle condizioni, hanno ora contezza del pensiero dell’Istituto sull’incentivo.

L’esonero contributivo introdotto dalla legge di stabilità (fino a 8.060 euro all’anno per un triennio) verosimilmente finirà col farla da padrone rispetto agli altri incentivi, che però in alcuni casi possono coesistere con l’ultimo arrivato.

In primo luogo tra le soluzioni alternative - ancorché non sia qualificabile come un’agevolazione in senso stretto ma come un particolare regime contributivo previsto dalla legge (in funzione della causa mista contrattuale) - va considerato l’apprendistato che, pur con gli oneri della formazione, determina comunque una riduzione dei costi complessivi per il datore di lavoro, sia nella parte economica che in quella contribuiva.

L’apprendista può essere sotto inquadrato di due livelli rispetto a quello finale, oppure gli può essere attribuita una retribuzione progressiva in percentuale secondo le previsioni del Ccnl. Sul versante contributivo, va osservato che il carico contributivo datoriale è pari all’11,61% per le aziende con oltre 9 addetti ma può ridursi all’1,61% per quelle fino a 9 dipendenti. Tuttavia quest’ultima misura agevolata riguarda i contratti stipulati nel periodo 2012-2016e necessita del rispetto delle regole.

Dalle premesse è facile desumere la convenienza della nuova misura rispetto alle agevolazioni previste per chi assume lavoratori dalle liste di mobilità ex lege 223/1991. In quest’ultimo caso, infatti, i datori di lavoro sono chiamati a versare, per 18 mesi, la contribuzione nella misura del 10%, pur senza tetto complessivo annuale. Vale peraltro la pena di ricordare che, in relazione ai recenti orientamenti dell’Inps (circolare 17/2015), il nuovo esonero introdotto dalla legge di stabilità è cumulabile con il 50% dell’indennità di mobilità non fruita dal lavoratore. Per godere di entrambi gli incentivi, tuttavia, l’assunzione deve essere a tempo pieno.

Il diritto al bonus è legato a condizioni soggettive relative al soggetto da assumere ed altre in capo al datore di lavoro. riassumiamo le opzioni.

Lavoratore non occupato con un contratto a tempo indeterminato

Il primo requisito del lavoratore assunto è quello che il soggetto non deve essere stato occupato con un contratto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti la data di decorrenza dell’assunzione agevolata.

È un periodo mobile e la verifica va effettuata in relazione al soggetto da assumere il quale non deve aver avuto una occupazione a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro.

L’Istituto conferma che non è possibile usufruire dell’esonero nel caso in cui in tale periodo pregresso il lavoratore abbia già svolto attività con contratto d’apprendistato.

Ciò perché tale contratto, ai sensi dell’articolo 1 del D.lgs. n. 167/2011 è un contratto a tempo indeterminato; naturalmente se tale contratto fosse stato stipulato a tempo determinato nei casi consentiti, la causa ostativa non ricorre.

Anche l’occupazione con contratto di somministrazione risulta ostativa. Piena compatibilità invece sia per i contratti di lavoro intermittente che per quello a tempo determinato.

Nel primo caso, tale possibilità è ammessa per l’INPS anche se la stipulazione fosse stata a tempo indeterminato in quanto l’istituto rappresenta un contratto privo di stabilità che non consente la fruizione dell’incentivo nel caso di assunzione e dunque, coerentemente, non può di converso rappresentare un impedimento nel caso di nuova assunzione questa volta con contratto comune a tempo indeterminato.

Evidentemente, a maggior ragione vista la natura non subordinata del rapporto, l’incentivo spetta in caso di attività svolte dal lavoratore neo assunto con contratti di lavoro a progetto, tirocini formativi, lavoro autonomo.

L’esonero non spetta inoltre ai datori di lavoro in presenza di assunzioni relative a lavoratori in riferimento ai quali i medesimi, tenendo conto anche di società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, hanno comunque già avuto in essere un contratto a tempo indeterminato nel corso del periodo da ottobre a dicembre 2014.

Assunzione di un lavoratore che già abbia fruito del beneficio

Altro aspetto che impedisce di godere dell’esonero riguarda l’eventuale assunzione di un lavoratore che già abbia fruito del beneficio.
In tal caso, la circolare sottolinea che tale ipotesi vada verificata in capo al datore di lavoro che l’assume.




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