lunedì 29 giugno 2015

Jobs Act: novità e nuove regole per il contratto a tempo parziale



Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, cambiano le regole per i contratti di lavoro a tempo parziale.

La riforma ha introdotto un limite allo svolgimento del lavoro supplementare nonché la possibilità per le parti di concordare clausole flessibili ed elastiche nel caso di mancata previsione di una disciplina da parte del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro. E’ stato poi introdotto il diritto o la preferenza nella trasformazione dal full-time in part-time in ipotesi di patologie che toccano il lavoratore o i familiari e la possibilità di chiedere tale trasformazione in luogo del congedo parentale.

Il Decreto di riordino delle tipologie contrattuali modifica in parte la normativa sul contratto di lavoro a tempo parziale, anche se ripropone sostanzialmente l’attuale disciplina del confermando il ruolo della contrattazione collettiva e prevedendo alcune nuove clausole elastiche (che consentono al datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa) e flessibili (che consentono al datore di lavoro di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa).

Il decreto legislativo ha lasciato invariata la previsione delle diverse tipologie di part-time:

a) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale: se la riduzione dell'orario di lavoro rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro;

b) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale: se l'attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno;

c) Rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo misto: se si svolge secondo una combinazione delle regole del part-time orizzontale con quello verticale.

Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

Dunque il contratto a tempo parziale può prevedere tanto una riduzione dell’orario di lavoro nella giornata lavorativa o lo svolgimento di un orario di lavoro a tempo pieno ma limitatamente ad alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno.

Il datore di lavoro può richiedere lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare, oltre l’orario di lavoro concordato fra le parti, purché entro il limite del tempo pieno (orario normale di lavoro, o eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati) e non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. La nuova disciplina è intervenuta a regolare l’ipotesi di mancata previsione della disciplina del lavoro supplementare da parte dei contratti collettivi. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non contenga una specifica disciplina del lavoro supplementare, nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 15 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 per cento, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

Il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

Si precisa che il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno, il decreto stabilisce che egli non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento e che il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa.

Interessante la novità che prevede la possibilità per la lavoratrice madre o il lavoratore padre di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale al posto del congedo parentale ancora spettante, purché lo faccia una sola volta e con una riduzione d’orario non superiore al 50%. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.

Le clausole flessibili sono quelle che consentono al datore di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; le clausole elastiche, invece, consentono un aumento della durata della prestazione lavorativa.

I contratti collettivi possono determinare le condizioni e le modalità per l'esercizio del potere di variazione della collocazione temporale della prestazione rispetto a quella concordata inizialmente con il lavoratore, introducendo una clausola di tipo flessibile o di tipo elastico.

La contrattazione collettiva stabilisce:
- le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa;

- le condizioni e le modalità in relazioni alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa;

- i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa.

Altro intervento della nuova disciplina riguarda l’attribuzione del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale a soggetti che si trovano in delicate condizioni di salute.

Tale diritto spetta:

1) Ai lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per le quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda sanitaria locale territorialmente competente. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

E’ poi riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale:

1) In caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale d’invalidità̀ pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

2) Nel caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap.



domenica 28 giugno 2015

Lavoratori all'estero: indennità di disoccupazione i chiarimenti INPS


La normativa vuole, che per accedere alla prestazione di disoccupazione il lavoratore italiano rimasto disoccupato deve presentare apposita domanda e soddisfare, i seguenti requisiti:

- essere rimpatriato entro 180 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro;

- avere reso la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro entro 30 giorni dalla data del rimpatrio.

Diverse possono essere le situazioni del lavoratore e diversa sarà dunque la modalità di trattazione delle domande di disoccupazione:

- Cittadino italiano, in stato di disoccupazione, che rientra da uno Stato estero non convenzionato.

In questo caso, in presenza di tutti i requisiti, ha diritto alla prestazione per la durata massima prevista di 180 giorni. All'atto di presentazione della domanda, dovrà essere prodotta apposita dichiarazione, attestante il licenziamento o il mancato rinnovo del contratto, rilasciata dal datore di lavoro all'estero ovvero dalla competente autorità consolare italiana.

- Cittadino italiano, in stato di disoccupazione, che rientra da uno Stato estero che applica la normativa comunitaria: Paesi dell’UE, Stati SEE (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e Svizzera. In questo caso, la persona che beneficia di prestazione di disoccupazione a carico di uno Stato estero che rientra in Italia alla ricerca di un lavoro, può conservare il diritto alla prestazione, di norma, per un massimo di tre mesi, prorogabili, nel caso di alcuni Stati, fino ad un massimo di sei mesi. Ma, prima di determinare il diritto alla prestazione di disoccupazione per rimpatriati, bisogna accertare che nel Paese di provenienza non sia stato maturato il diritto ad una prestazione di disoccupazione.

Un caso a parte è rappresentato dagli ex agenti temporanei o contrattuali delle Comunità Europee per cui è stabilito che, beneficia di un'indennità mensile di disoccupazione se si trovi senza impiego dopo la cessazione dal servizio presso una istituzione delle Comunità europee e se:

- non è titolare di una pensione di anzianità o d'invalidità a carico delle Comunità europee;

- la cessazione dal servizio non è dovuta a dimissioni o a risoluzione di un contratto per motivi disciplinari;

- ha prestato servizio per un periodo di almeno 6 mesi;

- risiede in uno stato membro delle Comunità.

Per beneficiare della prestazione di disoccupazione l'ex agente deve iscriversi come persona disoccupata presso i servizi di collocamento dello Stato membro dove stabilisce la sua residenza e deve adempiere agli obblighi previsti in materia di disoccupazione dalla legislazione di tale Stato.

Deve inoltre trasmettere ogni mese all'Istituzione a cui apparteneva, l’attestato, modulo CE-AATC compilato dall'Istituzione competente dello Stato di residenza che certifica l’avvenuto adempimento degli obblighi previsti.

Quindi rientrano nel campo di applicazione della legge in argomento i cittadini italiani che abbiano lavorato all'estero (sia in Stati non convenzionati che in Stati comunitari o convenzionati in base ad accordi e convenzioni bilaterali) rimasti disoccupati per effetto del licenziamento o del mancato rinnovo del contratto di lavoro stagionale da parte del datore di lavoro all'estero (straniero ovvero italiano, operante o residente all'estero).

La domanda non è soggetta a termini di presentazione, né la data di presentazione della stessa ha effetti sulla decorrenza della prestazione medesima. Nel caso di prima domanda, la durata del rapporto di lavoro all'estero è ininfluente ai fini del diritto, mentre, per le domande successive alla prima, l'interessato deve avere svolto un periodo di lavoro subordinato per almeno 12 mesi, di cui almeno 7 devono essere stati effettuati all'estero.

La prestazione decorre:
dal giorno del rimpatrio, nel caso in cui la persona disoccupata abbia reso la dichiarazione di disponibilità al lavoro entro i 7 giorni successivi alla data del rimpatrio stesso;
dal giorno della dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, se la stessa viene resa a decorrere dall'8° ed entro il 30° giorno successivi alla data del rimpatrio.

L'importo della prestazione è calcolato sulla base delle retribuzioni convenzionali.

Prima di determinare il diritto alla prestazione di disoccupazione per rimpatriati, deve essere accertato che nel Paese di provenienza non sia stato maturato il diritto ad una prestazione di disoccupazione. In tale caso la prestazione rimpatriati dovrà essere determinata tenendo presente le informazioni fornite dall'Istituzione estera nelle sezioni 5 e 6 del formulario U1 (certificazione dei periodi di assicurazione).

Nella sezione 6 del suddetto formulario, che deve essere sempre compilata, è indicato che il lavoratore ha diritto a prestazioni ai sensi dell'articolo 64 del regolamento e dovranno essere valutate anche le informazioni contenute nella sezione 2 del documento portatile U2. Infatti, nel caso il richiedente abbia diritto a prestazioni a carico dell'Istituzione estera, le giornate già indennizzate da detta Istituzione dovranno essere detratte dalle giornate spettanti a titolo di prestazione di disoccupazione rimpatriati.



Lavorare nella musica: figure professionali e opportunità





In realtà le professioni che si nascondono dietro al mondo della musica sono talmente tante e varie. All'interno di una casa discografica vi sono vari settori: quello amministrativo, quello delle vendite, della promozione commerciale e delle pubbliche relazioni, e infine quello della produzione artistica.

Se i primi settori in realtà sono gli stessi per qualsiasi tipo di azienda, e dunque non occorre che chi vi lavora abbia una formazione specificamente musicale, è nel settore della produzione che invece si concentrano quelli che abbiamo chiamato "i mestieri della musica". Ecco un rapido elenco delle figure professionali che operano nel settore produzione: Direttore artistico, Produttore, Editore, Distributore, Impresario, Turnista, Arrangiatore, Tecnici del suono.

In realtà è solo nelle case discografiche più grandi e importanti che si trova una simile differenziazione dei ruoli; le etichette indipendenti viceversa, date le ridotte dimensioni dell'azienda, affidano di solito a poche persone tutto il percorso di produzione artistica: dalla ricerca e selezione dei nuovi talenti sino alla produzione del disco e alla sua promozione, e a volte è lo stesso titolare della casa discografica a svolgere tutte queste funzioni. Molte major poi affidano direttamente a qualche etichetta indipendente il settore nuove proposte e dunque, se dovete inviare il vostro materiale, il vostro demo, vi conviene passare comunque attraverso una casa discografica più piccola.

Vediamo nel dettaglio le figure professionali. Uno dei personaggi più importanti è certo il direttore artistico o talent scout: è l'uomo le cui scelte sono decisive per tutta la struttura produttiva. Da lui dipendono la scelta dell'artista e le linee generali della produzione: quale linea musicale tenere, che tipo di artisti cercare e promuovere, che tipo di promozione, a quale target rivolgersi.

Il produttore esecutivo poi è un personaggio che può coincidere con il Direttore artistico, solo che non sempre lavora come dipendente per una major, ma spesso lavora anche "in proprio", per cui può anche scegliere di sponsorizzare un artista e di seguirlo nella sua carriera e nei suoi eventuali contratti. Un'altra figura importante è quella dell'arrangiatore. L'arrangiatore tradizionale è quello che deve rifinire i pezzi, deve dare risalto ai vostri pregi e minimizzare i difetti, determina voce, strumenti, struttura armonica, ritmo, in base anche alle indicazioni dell'artista. Ha un ottimo orecchio per trovare cosa va e non va, qual è la forma migliore, il meglio che siete in grado di dare. Con gli ultimi sviluppi del mercato della musica ha preso sempre più piede la figura del sound editor. In realtà ha una formazione per certi versi affine, ma più tecnica, rispetto all'arrangiatore e si occupa della trasformazione dei file audio per renderli compatibili con i mezzi informatici; deve conoscere molto bene le tecniche di registrazione e i sistemi tecnologici audio digitali. Se volete potete anche candidarvi per fare il turnista. E' un musicista specializzato in uno o più strumenti, o anche un cantante che esegue una parte del disco. Viene chiamato direttamente da uno studio di registrazione per offrire una prestazione occasionale. Il rapporto di lavoro è un rapporto non esclusivo, privo di ogni vincolo contrattuale a tempo determinato. Il turnista viene selezionato dal cliente dello studio di registrazione a cui ha inviato o dove ha registrato i propri demo.

Esistono numerosi siti dedicati alla musica, come Vitaminic, che offrono la possibilità di mettere il proprio curriculum e i propri demo dimostrativi on-line, anche per candidarvi come turnisti. 

Se siete cantanti è meglio se indicate le lingue straniere che conoscete e in cui siete capaci di cantare. Per chi poi fa delle tournée in giro per il mondo, oltre al supporto dell'impresario è necessario anche l'aiuto di tecnici del suono specializzati nell'on the road. L'impresario è il finanziatore e organizzatore dello spettacolo, che ottiene in cambio una buona percentuale sulle entrate. Sempre quando state per diventare famosi e per incidere il disco, avrete a che fare con l'editore musicale, che è l'intermediario tra l'artista e il mercato: si occupa della commercializzazione delle opere musicali, della loro promozione e della tutela dei diritti delle opere. Si occupa dei diritti di testi e spartiti e ha contatti anche con il mondo della pubblicità. Se poi volete dare un'occhiata alla quantità spaventosa di specializzazioni e professioni che si possono svolgere all'interno del mondo musicale andate al sito del Berklee College of Music che ne fa un sunto esaustivo e vi racconta qualcosa su tutti i mestieri dividendoli in: Carriere in performance; Carriere in Songwriting; Carriere in Produzione e Ingegnerizzazione della Musica; Carriere in musica sintetizzata; Carriere in film scoring; Carriere nella produzione di testi contemporanei/ composizione Jazz; Carriere in educazione musicale; Carriere in music therapy; Carriere in professionista della musica e manager del music business; Carriere in Tours/Road Work; Carriere nelle Case Discografiche.

Il settore si è rimesso a correre : secondo l’ultimo rapporto «Io sono cultura» di Fondazione Symbola e Unioncamere, la musica nel 2014 ha prodotto un valore aggiunto di 428 milioni per un totale di 5mila lavoratori stabili. Sul versante discografico, «gli ultimi anni – spiega il presidente di Fimi, Enzo Mazza – sono stati caratterizzati da una complessa fase di riorganizzazione, al termine della quale il comparto ha ritrovato un punto di equilibrio nella divisione al 50% dei ricavi tra fruizione digitale e vendita dei supporti fisici. E le aziende hanno ricominciato a guardarsi intorno».

Il comparto dei concerti, secondo il presidente di Assomusica Vincenzo Spera, «attraversa una fase di grande vivacità testimoniata dagli incassi in crescita. Le aziende organizzano più eventi e si moltiplicano le opportunità di lavoro per i cosiddetti “stagionali” della musica», i contrattisti a chiamata che svolgono tutte le mansioni necessarie all’organizzazione di un evento. Con il quadro attuale, secondo Assomusica, in un anno i concerti generano oltre 317mila posti di lavoro a chiamata. Con professionalità, responsabilità e retribuzioni molto diverse: si va da un direttore di produzione che può arrivare a 600 euro a serata, ai arrampicatori da palcoscenico, che si attestano intorno ai 400 euro, fino alle mansioni meno qualificate, la cui giornata base è pari a quella di un barista o di un cameriere. Una parte del personale è direttamente legata alle produzioni e segue l’intero tour, un’altra – assunta da aziende dell’indotto – viene reclutata sul territorio.

Lo sforzo organizzativo maggiore riguarda gli eventi da stadio che impiegano dalle 500 alle mille unità ciascuno. «Se consideriamo i soli tour negli stadi – sottolinea Roberto De Luca, presidente di Live Nation, impresa leader di settore – in un’estate diamo lavoro ad almeno 12mila persone». Live Nation è una multinazionale e, sul proprio sito web, offre ai più intraprendenti 34 opportunità di carriera. Con base nel Regno Unito, però. 

Più difficile è la strada che porta a lavorare per le case discografiche. Che comunque stanno assumendo: «Entro i prossimi due anni – spiega Antonio Labate, direttore Hr di Sony Music – l’idea è mettere in squadra sei persone, equamente divise tra i segmenti digitale, A&R e brand partnership». Sul primo fronte si cercano «profili junior che abbiano dimestichezza con le nuove piattaforme di streaming e coi social», sul secondo (artisti e repertorio) si punta su «profili senior che capiscano di musica e conoscano il mercato», sul terzo si guarda con interesse ai laureati in legge esperti di diritto d’autore: «Si tratta – spiega Labate – di mettere a profitto artisti e canzoni attraverso le sponsorizzazioni». Si assumerà con il contratto a tutele crescenti.

Tra le indipendenti, Sugar ha messo in piedi addirittura un “Progetto Cantera” per individuare i giovani talenti della discografia che sarà. «Nel medio termine – spiega il direttore generale, Andrea Cotromano – ci piacerebbe inserire tre giovani divisi per le aree A&R, sviluppo e sfruttamento del diritto d’autore».

sabato 27 giugno 2015

INPS: iniziano i rimborsi per la pensione da agosto 2015



796 euro questo è l’ammontare del rimborso che arriverà nelle tasche dei pensionati con un assegno da 1500 euro. E' l'effetto della sentenza della Corte Costituzionale che dichiarava illegittimo il blocco della perequazione deciso dal Salva Italia.

L’INPS ha comunicato le modalità di rimborso degli arretrati delle pensioni che saranno erogati a partire da agosto 2015. Nella circolare INPS n. 125 sono state pubblicate le modalità di pagamento dei rimborsi delle pensioni a seguito della sentenza, che aveva definito incostituzionale il blocco degli scatti di adeguamento all'inflazione deciso dal Governo Monti nel 2011. I rimborsi scattano automaticamente e diventano esecutivi dal 1 agosto con una prima tranche di 796 euro. Restano esclusi gli assegni superiori a 3mila euro.

I calcoli saranno effettuati dall'istituto di previdenza e l’importo arriverà automaticamente. Ma sarà tassato. Gli eredi invece devono fare domanda.

Le pensioni interessate al rimborso, sono quelle che vanno da 3 volte il minimo Inps (circa 1500 euro lordi mensili) fino a 6 volte il minimo (circa 3000 euro lordi mensili) secondo un meccanismo di gradualità. Il bonus,  arretrati saranno corrisposti il 1° agosto 2015 all'interno dei consueti assegni previdenziali che spettano al pensionato.

Il meccanismo di ricalcolo dell’assegno, per il 2012 e 2013 è riconosciuta una rivalutazione pari al 100% dell’inflazione per gli assegni fino a tre volte il minimo Inps; si scende al 40% per gli assegni fino a quattro volte, quindi ancora al 20% per gli assegni fino a cinque volte, per scendere al 10% per gli assegni fino a sei volte superiori al minimo. Oltre questa soglia non c’è alcuna rivalutazione e nessun rimborso. L’incremento per il primo biennio costituisce poi la base di calcolo per gli anni successivi, a partire dal 2014. Per il 2014 e il 2015 invece la rivalutazione sarà dunque riconosciuta a partire dalle pensioni superiori a 3 volte il minimo e fino a 6 volte, e sarà pari al 20% della percentuale assegnata per ogni fascia di reddito per gli anni 2012-2013. L’Istituto procederà, poi, spiega ancora la nota, in occasione del rinnovo delle pensioni per il 2016, a ricalcolare le pensioni a partire dal 2012, attribuendo le percentuali di perequazione sopra indicate ai coefficienti di perequazione, rispettivamente del 2,7 e del 3 per cento, relativi agli anni 2012 e 2013 e i criteri di perequazione stabiliti dalla legge n. 147 del 2013 per gli anni 2014, 2015 e 2016. E poi, dal 2017 entreranno in vigore ancora nuove norme.

Si tratta di una somma erogata una tantum per il periodo che va da gennaio 2012 ad agosto 2015, quindi non si tratta di una prima rata di rimborso che ne prevede delle successive, almeno per il momento. Per i pensionati con importi di pensione più alti i rimborsi vanno a scalare, per esempio 450 fino a 2.000 euro di pensione o 276 per importi ancora superiori. Per questi pensionati inoltre scatterà il meccanismo della perequazione, sarà quindi riallineata ai tassi di inflazione, che poi è esattamente quello che è stato bloccato dal decreto del Governo Monti. Quindi oltre al rimborso la pensione avrà una base di 1.525 euro già dal primo agosto per poi salire a 1.541 da gennaio 2016.

Per il pensionato da 1.500 euro di pensione, la tabella di calcolo ha previsto per il 2012 euro 210,60 di rimborso, 447,20 per il 2013, 89,96 per il 2014 e 48,51 per il 2015. Il calcolo è stato fatto in base alla rivalutazione per il riallineamento della pensione alla perequazione.

L’unico esempio fornito dalla circolare Inps. Le pensioni superiori a 3 volte il minimo e pari o inferiori a 4 volte il minimo (fino dunque a 1500 euro lordi) verranno complessivamente rivalutate, calcolando gli arretrati 2012, 2013, 2014 e 2015, di 796,27 euro. In particolare, saranno restituiti 210,60 euro per il 2012 e 447,20 per il 2013. Per il 2014 e 2015, invece, la restituzione sarà pari rispettivamente a 89,96 euro e 48,51 euro.

La base di calcolo della pensione 1500 diventa a partire dall'agosto di quest’anno di 1.525 euro mensili lordi,. E poi a partire dal gennaio del 2016 ammonterà a 1.541 euro, sempre mensili e sempre lordi.

Al rimborso hanno diritto anche coloro che nel frattempo sono deceduti? Sì, la sentenza della Consulta e il decreto del governo interessa anche i titolari del trattamento pensionistico che nel periodo interessato sono deceduti. Lo spiega (indirettamente) la circolare dell’Inps, quando afferma che «il calcolo delle differenze spettanti verrà effettuato anche per le pensioni che al momento della lavorazione risulteranno eliminate».

E dunque del bonus beneficeranno gli eredi?  Esattamente. Ma dovranno presentare una domanda all'Istituto previdenziale, che ovviamente per ora non ha predisposto alcun modulo, ma che certamente inserirà delle informazioni nel suo sito http://www.inps.gov.it/. E il pagamento delle spettanze agli aventi titolo (si presume tutti gli eredi presenti nell'asse ereditario, la circolare non lo chiarisce) sarà effettuato a domanda «nei limiti della prescrizione».

Almeno il bonus che arriva il prima agosto sarà «netto», ed esente da tasse?  No, ci si dovranno pagare le tasse. Il decreto e la circolare chiariscono che il bonus di rimborso sarà sottoposto al regime della tassazione separata (al 23%) per quanto riguarda tutti gli arretrati fino al 2014; per le somme maturate dal 2015 invece ci si applicheranno le aliquote fiscali della tassazione ordinaria.

Esaminando e in ultima analisi si sintetizza quanto segue. I rimborsi sulle pensioni superiori a tre volte il minimo saranno tra il 10% e il 40% di quanto perso per gli anni 2012-2013 e pari ad appena il 20% di quanto erogato per gli anni precedenti per il 2014. Per le pensioni tra le tre e le quattro volte il minimo (circa tra 1.500 e 2.000 euro) la rivalutazione per il 2012-13 sarà del 40% dell'inflazione (2,7% per il 2012, 3% per il 2013); per le pensioni tra quattro e cinque volte il minimo (tra 2.000 e 2.500 euro lordi al mese) sarà del 20 dell'inflazione%; per le pensioni tra i 2.500 e i 3.000 euro la rivalutazione sarà solo pari al 10% di quanto perso. Le pensioni di importo superiore a sei volte il minimo non avranno nessun rimborso.

Non è necessaria la domanda. La ricostituzione dei trattamenti avviene ''d'ufficio'', non è necessaria la domanda. Diversa la procedura nel caso degli eredi: per le pensioni, si legge nella circolare, che “al momento della lavorazione risulteranno eliminate, il pagamento delle spettanze agli aventi titolo sarà effettuato a domanda nei limiti della prescrizione".



martedì 23 giugno 2015

Lavoro: Garante Privacy no a forme invasive di controllo verso i dipendenti



"Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano". È chiara l'opinione del Garante per la Privacy sui cambiamenti che il Jobs Act sta introducendo in tema di controllo dei dipendenti nelle aziende pubbliche e private. E' il monito del Garante privacy, Antonello Soro, nella Relazione annuale esposta a Montecitorio. "È auspicabile che il decreto legislativo all'esame delle Camere - ha sottolineato Soro - sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea. Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano". Occorre sempre di più coniugare l'esigenza di efficienza delle imprese con la tutela dei diritti", ha insistito il Garante.

Sul tema è intervenuto anche Laura Boldrini. "Mi auguro che nelle prossime settimane di dibattito parlamentare si possa davvero aprire un confronto che faccia chiarezza sui dubbi emersi in questi giorni", afferma la presidente della Camera Boldrini alla presentazione della relazione alle Camere dell'Autorithy della privacy in relazione ai decreti attuativi del Jobs Act. Le parole di Soro vengono immediatamente riprese da Sel. "Ora che anche il Garante della privacy Antonello Soro si è espresso in maniera molto netta contro il controllo a distanza dei lavoratori contenuto in uno dei decreti attuativi del Jobs Act all'esame delle Camere il parlamento sani una scelta sbagliata del governo che rischia di mettere in discussione un diritto fondamentale. Ecco cosa succede quando si indeboliscono i diritti e si smantella pezzo dopo pezzo lo Statuto dei Lavoratori", ha attaccato il capogruppo di Sel a Montecitorio Arturo Scotto.

Mettere paletti alle novità sul controllo a distanza del dipendente da parte del datore di lavoro previste dal Jobs Act. A chiederlo, dopo le proteste dei sindacati, le precisazioni del ministero e i dubbi dei giuslavoristi che paventano il rischio Grande Fratello, ora è lo stesso Garante per la privacy, Antonello Soro. Che presentando la sua relazione annuale al Parlamento ha auspicato che il decreto legislativo che consente all’azienda di controllare gli strumenti elettronici del dipendente anche senza accordo sindacale “sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea”.

“Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano”, ha aggiunto Soro. Anche perché “nei rapporti di lavoro il crescente ricorso alle tecnologie nell’organizzazione aziendale, i diffusi sistemi di geolocalizzazione e telecamere intelligenti hanno sfumato la linea – un tempo netta – tra vita privata e lavorativa”.

A ben vedere, sottolinea Soro nella relazione, è questo il tema fondamentale nel rapporto tra i cittadini e quella che battezza "Infosfera" e cioè il web. Perché "tutto ruota intorno a una raccolta onnivora di dati, ma nella società digitale noi siamo i nostri dati". E molto spesso questi dati si traducono in soldi, che vanno principalmente ai grandi player internazionali come Google e le altre piattaforme - basti pensare a Facebook, che però il Garante non nomina.

Sempre connessi, regaliamo al web i nostri dati sensibili e dunque anche noi stessi, profilati in base ad "algoritmi che orientano non solo settori rilevanti dell'economia, della politica, della finanza, ma sempre di più le nostre scelte quotidiane". Per questo l'Autorità rivendica di essere stato il primo Garante europeo a dare prescrizioni a Google per rendere la sua privacy policy "conforme alle norme italiane" con tanto di visita speciale a Mountain View per un primo monitoraggio. E, sempre su Google, la concretizzazione anche in Italia del diritto all'oblio su Internet (ma il 73% delle richieste di cancellare articoli o pagine web è stato respinto, dice la relazione).

L'obiettivo è dare "un freno reale al dilagare senza condizioni del potere delle piattaforme" e "rimuovere l'asimmetria informativa e l'opacità" di queste. Il riferimento è ancora una volta a Google, contro la quale pesa una procedura di infrazione della Commissione europea per abuso di posizione dominante.



Contratto di ricollocazione, come funziona la nuova occupazione



Il contratto di ricollocazione è uno speciale istituto destinato ai lavoratori disoccupati di lunga data che garantisce loro un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di una nuova occupazione. In pratica, con il contratto di ricollocazione (o ricollocamento) il lavoratore licenziato riceve l'indennità di disoccupazione prevista dalla legge, cioè la Naspi, e inizia contemporaneamente un percorso di formazione e reinserimento professionale, attraverso un programma coordinato dalla sua Regione. Il dipendente che ha sottoscritto il contratto di ricollocazione riceve dall'amministrazione regionale un contributo in denaro (voucher) che potrà poi spendere per un percorso di formazione presso un'agenzia di lavoro privata.

Il contratto di ricollocazione è riservato ai  disoccupati da più di 12 mesi,  non solo lavoratori dipendenti ma anche lavoratori autonomi e prevede un accordo con cui il lavoratore si impegna e farsi seguire da un ente accreditato in un percorso di formazione e ricollocazione in cambio di un voucher erogato dalla Regione che copra i costi della formazione Il voucher è suddiviso in una parte fissa e una maggiore,  che viene erogata  soltanto a ricollocazione avvenuta.

La procedura per accedere è la seguente:
Il lavoratore disoccupato deve prima di tutto scegliere la struttura privata accreditata o pubblica dalla quale intende farsi assistere, la quale per prima cosa definisce il livello di occupabilità del disoccupato. Da tale livello dipende l ’importo del voucher che verrà garantito al lavoratore, che  è inversamente proporzionale alla probabilità di trovare un nuovo impiego.

In seguito, viene  assegnato un tutor o job advisor che guiderà il soggetto verso la sua nuova occupazione.  il tutor svolge anche funzioni di controllo, in quanto verifica se il lavoratore  disoccupato  segue regolarmente i corsi di formazione e se è disposto davvero ad accettare le offerte di impiego che gli arrivano.
I soggetti coinvolti nella gestione del Contratto di ricollocazione sono le Regioni che  devono regolare con una delibera la possibilità di stipulare il contratto,  garantendo la copertura del costo dell'outplacement, cioè dell' assistenza intensiva nella ricerca del nuovo posto di lavoro, tramite i voucher. Nella  pratica la procedura  può essere  gestita da:

Centri per l’Impiego;

agenzie per il lavoro;

soggetti specificatamente accreditati per la formazione, ovvero:

gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari, a condizione che rendano pubblici e gratuitamente accessibili sui relativi siti istituzionali i curricula dei propri studenti all'ultimo anno di corso e fino ad almeno dodici mesi successivi alla data del conseguimento del titolo di studio;

le università, pubbliche e private, e i consorzi universitari, a condizione che rendano pubblici e gratuitamente accessibili sui relativi siti istituzionali i curricula dei propri studenti dalla data di immatricolazione e fino ad almeno dodici mesi successivi alla data del conseguimento del titolo di studio;

i comuni, singoli o associati nelle forme delle unioni di comuni e delle comunità montane, e le camere di commercio;

le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale anche per il tramite delle associazioni territoriali e delle società di servizi controllate;

i patronati, gli enti bilaterali e le associazioni senza fini di lucro che hanno per oggetto la tutela del lavoro, l'assistenza e la promozione delle attività imprenditoriali, la progettazione e l'erogazione di percorsi formativi e di alternanza, la tutela della disabilità;

i gestori di siti internet a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e che rendano pubblici sul sito medesimo i dati identificativi del legale rappresentante;

l'Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico, con esclusivo riferimento ai lavoratori dello spettacolo come definiti ai sensi della normativa vigente.

Con questo contratto il lavoratore oltre a godere dell’ammortizzatore sociale unico NASpI, si impegna in un percorso di formazione e reinserimento professionale presso un'agenzia di lavoro privata, attraverso un programma coordinato dalla Regione in cui risiede, garantendosi un contributo in denaro (voucher) per coprirne i costi . Vi possono accedere come detto tutti i soggetti in stato di disoccupazione di lunga durata, cioè  tutti quei lavoratori che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un'attività di lavoro autonomo, siano alla ricerca di nuova occupazione da più di dodici mesi.

Il contratto di ricollocazione prevede la decadenza del lavoratore in caso di inadempienza dai diritti-doveri ossia:

qualora il soggetto non si renda parte attiva rispetto alle iniziative proposte dal soggetto accreditato;

qualora il soggetto non partecipi alle iniziative di ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali coerenti con il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro, organizzate e predisposte dal soggetto accreditato;

nel caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro;

in caso di perdita dello stato di disoccupazione.

In merito alla terza causa di decadenza, il Ministero del Lavoro ha definito il termine “congrua offerta di lavoro” sulla base  dei seguenti principi: coerenza con le competenze e d esperienze maturate dal lavoratore distanza dalla residenza e tempo di percorrenza con mezzi pubblici retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all'ultima indennità di disoccupazione conseguita.

In sintesi il contratto di ricollocazione prevede l’affidamento della persona interessata a un tutor designato dall’agenzia, che ha il compito di assisterla, e di controllarne la disponibilità effettiva per tutto quanto è necessario ai fini della reinserimento nel mercato di lavoro, compresi eventuali corsi di riqualificazione mirati. Nel caso di rifiuto ingiustificato di una iniziativa, o addirittura di un posto di lavoro, il tutor lo contesta al lavoratore. E alla contestazione – salva possibilità di impugnazione da parte del lavoratore davanti a un arbitro – consegue il dimezzamento dell’indennità; poi, la seconda volta, l’interruzione.

La novità più interessante sta nel meccanismo di determinazione automaticamente equilibrata del grado della disponibilità che può e deve essere richiesta al disoccupato, in relazione alle condizioni del mercato del lavoro locale.



domenica 21 giugno 2015

Offerte di lavoro nel settore ambientale



Lavorare nel settore Ambientale è possibile e sono molte le figure professionali richieste. La Green Economy, in forte crescita anche in Italia, rappresenta il trampolino di lancio, dalle energie alternative all’energy manager.

Le professioni  green più in voga nell'ultimo periodo? Gli ingegneri elettronici con specializzazione nei sistemi ecologici: sono coloro che progettano gli impianti di energia pulita. Fiore all'occhiello è la Power One, azienda nel campo del fotovoltaico che ha assorbito parecchi ingegneri per la realizzazione di strutture innovative a energia pulita.

Ricercatori elettronici: sono coloro che scelgono di restare nell'ambito universitario per ricercare nuove tecniche di produzione alternativa di energia pulita, oltre che a migliorare i sistemi già esistenti.

Energy managers: sono coloro che gestiscono e promuovono le innovazioni energetiche nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni.

Auditors: sono gli esperti in emissioni di gas serra in atmosfera.

Tecnici per il monitoraggio della qualità delle acque: sono coloro che analizzano le sostanze inquinanti disciolte nei mari e nei corsi d’acqua.

Eco-chef: sono professionisti della cucina che preparano solo prodotti di stagione, biologici e a chilometro zero. Usano poca energia per la cottura proveniente da fonti pulite e mettono al bando gli sprechi e i  prodotti con conservanti artificiali.

Operatori turismo sostenibile: sono coloro che offrono nel campo del turismo, soluzioni che coniugano divertimento e attenzione all’ambiente. Utilizzo dei mezzi pubblici, alloggio e trasporti a ridotto impatto ambientale, ricerca dei luoghi incontaminati e non intaccati da villaggi turistici, rispetto delle popolazioni locali e della loro economia, tra gli aspetti che caratterizzano la loro figura.

Ingegneri meccanici con specializzazione nei sistemi ibridi: sono coloro che collaborano con le grandi case automobilistiche per sperimentare nuove forme di trasporto ecosostenibile.


Progettisti architettura sostenibile: sono coloro che progettano nel rispetto delle regole del risparmio e dell’efficienza energetica in campo architettonico. Novità anche nel campo pedagogico con la figura dell’educatore ambientale. Questa figura ha il compito di sensibilizzare le associazioni, le scuole, le strutture sia private che pubbliche al rispetto dell’ambiente e predisporre le persone verso scelte ecosostenibili.

AREA s.p.a. è la società impegnata a garantire i servizi di igiene ambientale in diciotto Comuni della Provincia est di Ferrara. Gestisce le attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani nei diciassette comuni soci, oltre che nel comune di Comacchio e nei sette lidi.

Sogin è la società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività nucleari industriali, mediche e di ricerca. La società, interamente partecipata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze ed operativa dal 2001, opera in base agli indirizzi strategici del Governo italiano.

Teseco  Nata nel 1984 inserendosi nel settore in crescita dei servizi per l'ambiente, Teseco ha puntato su innovazione e sostenibilità nel settore delle bonifiche di aree inquinate e nel trattamento dei rifiuti speciali. La società è presente con le proprie sedi a: Pisa, Torino, Milano, Trieste, Terni, Brindisi e Messina.

Il Gruppo Hera, nato nel 2002 dall'unione di undici aziende di servizi pubblici, è fra i leader italiani ed europei nella gestione dei servizi legati all’ambiente, al ciclo dell'acqua e all'utilizzo delle risorse energetiche e nello smaltimento dei rifiuti in alcune province della regione Emilia-Romagna. Il Gruppo ha al suo interno oltre 6.000 dipendenti ed opera nel territorio di Bologna, Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena, Ferrara, Modena e Imola.

Ricerca segreteria tecnica settore ambientale della Agristudio srl in provincia di Firenze. Domande entro il 30 giugno 2015.

Agristudio S.r.l., società di consulenza nei settori agricolo, energetico e ambientale in provincia di Firenze, ricerca un Addetto/a alla Segreteria tecnica in possesso dei seguenti requisiti: ottima e comprovata conoscenza della lingua inglese e di quella francese, esperienza di back office e assistenza tecnica, disponibilità a brevi trasferte in Italia e all'estero.

Per candidarsi è possibile inviare il cv fino al 30 giugno 2015 a info@agristudiosrl.it




sabato 20 giugno 2015

Il datore di lavoro potrà cambiare le mansioni del lavoratore



Il datore di lavoro potrà variare in modo parziale le mansioni del lavoratore in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali (che incide sulla posizione del lavoratore). In questa ipotesi, si potrà assegnare la persona a una nuova mansione riconducibile al livello di inquadramento contrattuale immediatamente inferiore, fermo restando il livello retributivo in godimento, con la sola eccezione delle voci stipendiali legate a particolari modalità della precedente prestazione che non sono più presenti nella nuova mansione (ad esempio, lavoro notturno e trasferte). L’assegnazione a una mansione inferiore potrà essere fatta «soltanto nell’ambito della categoria legale (operaio, impiegato, quadro) di inquadramento del dipendente (si tratta di un limite che prescinde dall’inquadramento unico).

Nella versione ancora (per poco) in vigore, la norma prevede tra l’altro che: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.” In buona sostanza le mansioni devono essere quelle previste nel contratto di lavoro ovvero quelle superiori conseguite nel corso del tempo.

Era prevista altresì la possibilità, per il datore di lavoro, di variare le mansioni del proprio dipendente, tuttavia, senza possibilità alcuna di diminuzione della retribuzione e fermo restando l’equivalenza delle stesse, vale a dire il mantenimento del medesimo livello di inquadramento.

Oggi il datore può assegnare al lavoratore diverse mansioni, purché equivalenti alle ultime effettivamente svolte. Evidenzia il giuslavorista Riccardo Del Punta: “per stabilire se una mansione è equivalente ad un’altra, il giudice guarda di solito a due circostanze: il fatto che la nuova mansione sia ricompresa nello stesso livello di inquadramento contrattuale attribuito al lavoratore, e il fatto che non sia penalizzante in rapporto alla personale carriera dello stesso. Il primo profilo di giudizio è abbastanza prevedibile e gestibile, ma il secondo assai meno. Può succedere, insomma, che le nuove mansioni siano ritenute non equivalenti pur rientrando nel medesimo livello». Invece, sulla base del Jobs act, per stabilire se a un lavoratore possono essere assegnate determinate mansioni, «è sufficiente che esse siano riconducibili al precedente livello di appartenenza come disegnato dai contratti collettivi».

Un’altra novità, come detto, è la possibilità di modificare in pejus le mansioni in caso di modifiche organizzative o in altre ipotesi che possono essere previste dai contratti collettivi, quindi anche a livello aziendale.

Inoltre, è ufficializzata per legge la possibilità di un mutamento consensuale delle mansioni e qui anche del livello e della retribuzione, purché, ha sottolineato Del Punta, «il patto sia giustificato da un rilevante interesse del lavoratore (come quando il demansionamento è concordato in alternativa a un licenziamento economico), e purché sia concluso in sede assistita. Anche questo aspetto, che vede un’apertura all’autonomia individuale assistita, costituisce una significativa novità». E poi, mentre oggi, in caso di assegnazione di fatto di mansioni superiori, il lavoratore acquisisce il livello superiore dopo tre mesi, con l’entrata in vigore delle nuove norme il termine sarà quello fissato dai contratti collettivi, o in mancanza sarà di sei mesi. Per le imprese la nuova disciplina sulle mansioni «è molto positiva – commenta Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma -. Si garantisce un’ampia flessibilità professionale e ci sarà una forte riduzione delle cause da demansionamento, che solitamente sono fonte di risarcimenti del danno anche cospicui»

Il decreto attuativo (Jobs act) separa le carte e ridisegna profondamente la norma. Viene previsto, infatti, che il lavoratore possa essere assegnato a qualunque mansione inerente il medesimo livello di inquadramento, analogamente a quanto già avviene nel pubblico impiego, tanto è vero che il decreto attuativo richiama espressamente l’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2011 “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Disciplina delle mansioni”.

Sostanzialmente viene eliminato il principio dell’equivalenza delle mansioni, pertanto, sparisce il riferimento alla competenza professionale specifica acquisita dal dipendente e al suo accrescimento.

L’unico limite rimasto è quello per cui le nuove mansioni dovranno rientrare nella medesima categoria di inquadramento.




Quattordicesima mensilità, gli adempimenti del datore di lavoro e i beneficiari



La quattordicesima o gratifica feriale è riconosciuta al lavoratore una volta all'anno (nel periodo tra giugno e fine luglio). Quando è disciplinato dal CCNL, è prevista l'erogazione di compensi, denominati quattordicesima o gratifica feriale, erogati, evidentemente, con periodicità diversa dal normale periodo di paga. Questi compensi, che maturano con periodicità plurimensile, rappresentano insieme alla retribuzione diretta e a quella in natura, ove prevista, il compenso normalmente dovuto al lavoratore nell'ambito del rapporto di lavoro dipendente.

Il calcolo della quattordicesima si basa sulla retribuzione mensile fissa qualora il contratto di lavoro duri da almeno 12 mesi.

La quattordicesima mensilità è il pagamento di uno stipendio in più che il lavoratore riceve con l’inizio dell’estate, quindi molto spesso proprio prima di andare in vacanza. Solitamente si riceve da metà giugno a fine luglio, ma la data esatta è decisa dal contratto collettivo del lavoro a cui si fa riferimento.

Il calcolo della quattordicesima non differisce da quello della tredicesima: basta, infatti, fare riferimento ad una mensilità ordinaria epurandola da tutte le voci extra (indennità mensili, buoni pasto, ticket vari e così via).Visto che si tratta di una mensilità vera e propria, occorre considerare anche i giorni d'assenza giustificata del lavoratore. Se, come si diceva, il periodo di lavoro è pari ad almeno un anno, allora il calcolo è semplice; se, invece, il periodo del contratto è inferiore, si deve calcolare una media relativa al periodo di occupazione in proporzione ai mesi di lavoro.

Per tutto quello che riguarda contributi e profilo fiscale, la quattordicesima non differisce dalle altre mensilità: prevede infatti gli imponibili come tutti gli altri stipendi.

Inoltre, occorre sottolineare che in caso di lavoratori retribuiti con provvigioni o a percentuale, il calcolo quattordicesima viene effettuato sulla base della media degli elementi fissi e variabili della retribuzione percepita nei 12 mesi precedenti.

Alla quattordicesima sono interessati anche i pensionati. Alcuni di loro, infatti, possono aspirare a ricevere questa mensilità aggiuntiva.

Possono beneficiarne i pensionati con un'età pari o superiore a 64 anni titolari di una pensione erogata da:
assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti;

gestione pensioni per coltivatori diretti, mezzadri, coloni, artigiani, esercenti attività commerciali; appartenenti al clero; chi ha un assegno di invalidità.

Per quello che riguarda i requisiti, oltre a quello anagrafico, vi è quello reddituale. Il reddito dell'interessato non può superare di 1,5 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

Beneficiari

Possono ricevere la quattordicesima mensilità i pensionanti che siano a carico di:

assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti;

gestione speciale per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere;

gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, degli artigiani e degli esercenti attività commerciali;

gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.335;

fondo di previdenza del clero secolare e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica;

forme esclusive, sostitutive ed esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria gestite da enti pubblici di previdenza obbligatoria.

Non possono ricevere l’importo aggiuntivo i titolari di:

invalidità civile, pensione sociale, assegno sociale, rendita facoltativa di vecchiaia o di invalidità
pensione di vecchiaia o di invalidità a favore delle casalinghe;

pensione di vecchiaia, di invalidità o ai superstiti a carico della gestione speciale per il personale degli Enti pubblici creditizi;

assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito ordinario;

assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito cooperativo;

assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito delle esattorie
indennizzo per attività commerciale;

pensioni ordinarie, di invalidità o ai superstiti già a carico del soppresso Fondo Previdenziale e Assistenziale degli Spedizionieri Doganali.

I pensionati pubblici per ricevere la 14esima mensilità devono avere un reddito complessivo individuale pari o inferiore ad una volta e mezzo il trattamento minimo Inps, che per l’anno 2015 è pari ad 9.786,92 euro annui a cui corrisponde un importo mensile di 752,84 euro, hanno diritto a ricevere, nel mese di luglio, ovvero nell’ultima mensilità corrisposta nell’anno, una somma aggiuntiva al trattamento pensionistico il cui importo è differenziato in funzione dell’anzianità contributiva posseduta.

Con il messaggio n. 3082 del 6 maggio 2015, l’INPS informa che i pensionati interessati alla corresponsione della c.d. quattordicesima mensilità, riceveranno una comunicazione con la quale saranno invitati a presentare alla sede competente la dichiarazione dei redditi individuali presunti, diversi da pensione, riferiti all'anno 2014, in particolare:

- i pensionati che compiono i 64 anni entro il 30 giugno 2015 e coloro che hanno ricevuto nel 2014 la somma aggiuntiva, dovranno comunicare entro il 18 maggio 2015 i redditi individuali presunti, diversi da pensione, relativi all'anno 2014 al fine di percepire, con il rateo di pensione relativo al mese di luglio 2015 l’importo corrispondente;

- I pensionati che maturano il requisito anagrafico nel corso del secondo semestre del 2015 dovranno presentare l’autodichiarazione reddituale, con l’indicazione dei redditi presunti, diversi da pensione, per l’anno 2014 in data successiva al compimento del sessantaquattresimo anno di età al fine di ottenere il pagamento della prestazione con la mensilità di dicembre 2015 in misura proporzionale al periodo temporale successivo al compimento del sessantaquattresimo anno di età.

L’ammontare della quattordicesima si calcola in base ai mesi di lavoro effettuati nella ditta nei 365 giorni precedenti. Nel caso che si abbia lavorato per almeno un anno intero, si prende come punto di riferimento l’ammontare dello stipendio di un mese di retribuzione fissa. Nel caso che, invece, il rapporto di lavoro fino alla data di erogazione sia durato meno di un anno, essa si calcola in proporzione al numero di mesi di lavoro, compresi i giorni di assenze giustificate. Essa non deve mai essere usata come un mezzo sostitutivo di pagamento di altre mansioni lavorative.

Nel caso che il lavoratore si trovi in cassa integrazione a orario ridotto, la quattordicesima, se ne ha diritto in base al proprio contratto nazionale di categoria, matura regolarmente. Se invece la cassa integrazione è a zero ore, il rateo mensile della quattordicesima matura solo se la sospensione del rapporto lavorativo è inferiore ai 15 giorni nel mese, fermo restando che il contratto di riferimento deve prevedere che scatti il mese intero con il superamento del quindicesimo giorno di lavoro.



giovedì 18 giugno 2015

Lavoratori dipendenti: il datore di lavoro li potrà controllare con pc e telefoni aziendali



I dipendenti comunque devono essere avvisati: multa per chi viola le regole. Leggere posta elettronica e Sms continua a essere vietato, e la telecamera si usa solo per ragioni di sicurezza. Ma si possono tracciare gli spostamenti.

Si apre ai controlli a distanza attraverso gli strumenti di lavoro, cioè pc, tablet, telefoni aziendali (senza più passare per accordi sindacali o ispettorato del lavoro). Ma si chiede all'azienda un preciso documento di policy da consegnare ai dipendenti.

I dati che ne derivano possono essere «utilizzati ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy». Nel dettaglio, l’articolo al primo comma prevede che «gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali.

Resterebbe, a livello di principio generale, il divieto di controllo tramite impianti direttamente «finalizzati» alla vigilanza sulla prestazione di lavoro (le cosiddette telecamere che riprendono il lavoratore). Qui si ammetterebbe una deroga: nei casi in cui c’è un’autorizzazione sindacale o amministrativa all’impianto delle apparecchiature purché legate a esigenze di sicurezza e prevenzione. L’attuale articolo 4 dello Statuto dei lavoratori vieta, o limita tantissimo, l’uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (possono essere installati solo per ragioni di sicurezza o in rare altre eccezioni, sempre comunque previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in assenza, con l’ok dell’ispettorato del lavoro). Un freno considerato come le nuove tecnologie siano ormai parte integrante dell’organizzazione del lavoro. E anche il Garante della privacy ha dettato specifiche disposizioni a tutela della riservatezza dei lavoratori.

L’ipotesi su cui sta lavorando il governo è aggiornare l’articolo 4 distinguendo i controlli sugli impianti da quelli sugli strumenti di lavoro. I controlli sui primi, finalizzati alla vigilanza sulla prestazioni di lavoro, sarebbero vietati. Tranne il caso in cui, con un’autorizzazione sindacale o amministrativa, le telecamere servano per garantire la sicurezza. Si “sdoganerebbero” del tutto invece i controlli sugli strumenti di lavoro, per i quali non sarebbero più richieste autorizzazioni di sorta.

«Qui però sarebbe opportuno liberalizzare anche i controlli sulle apparecchiature, come badge e rilevatori di presenza, che non rientrano nell’articolo 4 dello Statuto - sottolinea Arturo Maresca (ordinario di diritto del Lavoro, Sapienza, Roma) -. Inoltre, è positivo aver chiarito l’utilizzabilità degli esiti dei controlli anche ai fini disciplinari. Ma la disposizione deve essere inderogabile, e quindi non modificabile dai contratti collettivi». Anche per Sandro Mainardi (ordinario di diritto del Lavoro, università di Bologna) l’apertura sui controlli attraverso pc, telefonini e tablet «sarebbe una vera novità. Da un lato, perché la strumentazione deve essere destinata allo svolgimento della prestazione e non ad altri fini illeciti; dall’altro perché essendo la proprietà di tali beni/strumenti di matrice aziendale deve pur essere concesso un controllo sull’utilizzo della stessa». Certo, resta il tema della privacy e della informazione preventiva: «Qui il legislatore - aggiunge Mainardi - se la potrebbe cavare traducendo in precetto le buone pratiche da tempo suggerite in termini di policy aziendali dal Garante». Per gli esperti è positivo anche il chiarimento sull'utilizzo degli esiti delle verifiche: «Si potrebbe superare il dibattito giurisprudenziale sui “controlli difensivi”, e soprattutto circa la liceità della prova “elettronica” offerta in giudizio da parte del datore, laddove essa sia davvero significativa di inadempimento certo da parte del lavoratore».

Con l’entrata in vigore delle nuove norme le aziende potranno controllare computer, smartphone e telefoni cellulari assegnati per ragioni di lavoro ai dipendenti senza il via libera delle organizzazioni sindacali. E’ fatto obbligo alle imprese di informare dettagliatamente i propri dipendenti delle caratteristiche dei vari apparecchi, la possibilità di effettuare controlli anche a distanza, compresa la geolocalizzazione, e di fissare eventuali limiti al loro utilizzo.

I datori di lavoro non possono controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali. In base alle disposizione del Garante della privacy che risalgono al 2007 spetta al datore di lavoro definire le modalità d’uso di tali strumenti sempre tenendo conto dei diritti dei lavoratori e della disciplina in tema di relazioni sindacali. L’Autorità prescrive innanzitutto di informare in modo dettagliato i lavoratori sulle modalità di utilizzo di Internet e della posta elettronica e sulla possibilità che vengano effettuati controlli. E vieta la lettura e la registrazione sistematica delle e-mail così come il monitoraggio sistematico delle pagine web visualizzate suggerendo di individuare preventivamente i siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa e l’utilizzo di filtri che prevengano l’accesso a determinati siti o il download di file video o musicali.

In mancanza di accordo possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali». E prosegue: «La disposizione di cui al primo comma non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze».

"Sui controlli a distanza siamo al colpo di mano", dice la Cgil sottolineando che le novità del Jobs act "pongono un punto di arretramento pesante" rispetto allo Statuto. "Non solo daremo battaglia in Parlamento", aggiunge la segretaria nazionale Serena Sorrentino, "Ma verificheremo con il garante della privacy se ciò si può consentire anche alla luce della raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che mira a proteggere la privacy dei lavoratori di fronte ai progressi tecnologici che permettono ai datori di lavoro di raccogliere e conservare ogni tipo di informazione".



Banner, siti e blog: cookie e privacy come mettersi in regola



Come previsto dal Provvedimento dell'8 maggio 2014, è scaduto il 2 giugno il termine per dare attuazione alle prescrizioni del Garante in materia di cookie.

Cosa sono i cookie
Un cookie è un piccolo file di testo che viene creato all'interno del computer di chi visualizza un sito web allo scopo di registrarvi alcune informazioni relative alla visita nonché di creare un sistema per riconoscere l'utente anche in momenti successivi; tale cookie, infatti, potrà non solo essere creato ma anche letto e modificato dallo stesso sito web che lo ha generato.

In pratica possiamo dire che i cookie sono una sorta di "memoria" attraverso la quale un sito web riesce a riconoscere uno specifico utente e ad associargli delle informazioni di varia natura e per differenti finalità.

E' bene precisare che un sito Web può impostare un cookie sul browser dell'utente solo ed esclusivamente se le preferenze configurate per quest'ultimo lo consentono e che il browser può consentire a un determinato sito di accedere solo ed esclusivamente ai cookie da esso impostati e non a quelli impostati da altri siti Web.

Si ricorda che la disciplina relativa all'uso dei c.d. "cookie" e di altri strumenti analoghi (web beacon/web bug, clear GIF, ecc.) nei terminali (personal computer, notebook, tablet pc, smartphone, ecc.) utilizzati dagli utenti, è stata modificata a seguito dell'attuazione della direttiva 2009/136 che ha modificato la direttiva "e-Privacy" (2002/58/CE), questa poi è stata adottata dall'Italia con la pubblicazione del Provvedimento dell' 8 maggio 2014.

Il Garante, consapevole della portata della presente decisione, ritiene pertanto necessario che le misure prescritte nella stessa siano, da un lato, tali da consentire agli utenti di esprimere scelte realmente consapevoli sull'installazione dei cookie mediante la manifestazione di un consenso espresso e specifico (come previsto dall'art. 23 del Codice) e, dall'altro, presentino il minore impatto possibile in termini di soluzione di continuità della navigazione dei medesimi utenti e della fruizione, da parte loro, dei servizi telematici.

I gestori di siti web, sono tenuti a fornire agli utenti in relazione ai cookie e agli altri dispositivi installati da o per il tramite del proprio sito stabilisce che nel momento in cui si accede alla home page (o ad altra pagina) di un sito web, deve immediatamente comparire in primo piano un banner di idonee dimensioni contenente le seguenti indicazioni:

1. che il sito utilizza cookie di profilazione al fine di inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate dall'utente nell'ambito della navigazione in rete;

2. che il sito consente anche l'invio di cookie "terze parti" (laddove ciò ovviamente accada);

3. il link all'informativa estesa, che deve contenere le seguenti ulteriori indicazioni relative a:

• uso dei cookie tecnici e analytics;

• possibilità di scegliere quali specifici cookie autorizzare;

• possibilità per l'utente di manifestare le proprie opzioni in merito all'uso dei cookie da parte del sito anche attraverso le impostazioni del browser, indicando almeno la procedura da eseguire per configurare tali impostazioni;

4. l'indicazione che alla pagina dell'informativa estesa è possibile negare il consenso all'installazione di qualunque cookie;

5. l'indicazione che la prosecuzione della navigazione mediante accesso ad altra area del sito o selezione di un elemento dello stesso (ad esempio, di un'immagine o di un link) comporta la prestazione del consenso all'uso dei cookie;

Il mancato e/o non corretto adeguamento alle disposizioni sancite dalla nuova normativa sui cookie può avere delle conseguenze davvero pesantissime. Il provvedimento dell'8 maggio 2014, infatti, prevede sanzioni amministrative salatissime da un minimo di 6.000 fino ad un massimo di 36.000 Euro per chi non è in regola.

Ancora peggiori le conseguenze dell'installazione di cookie di profilazione senza il consenso dell'interessato: in questo caso, infatti, la sanzione va da un minimo di 10.000 ad un massimo di 120.000 Euro. La mancata notificazione al Garante, infine, prevede una sanzione da 20.000 a 120.000 Euro.

Seppur motivata dal lodevole intento di tutelare la privacy degli utenti della Rete, la cookie law, soprattutto nella versione italiana, rischia di essere un vero e proprio terremoto i siti web: se l'avviso appare giustificato nel caso in cui un sito adotti in prima persona dei cookie di tracciamento, forse eccessivamente oneroso appare l'obbligo di informativa ed il blocco preventivo per i cookie di terze parti spesso ospitati inconsapevolmente sui siti di migliaia di piccoli e piccolissimi editori o di semplici blogger.

Per questa particolare categoria, infatti, non c'è solo il rischio di una forte riduzione dei guadagni (pensiamo al blocco dei banner sino all'accettazione dei cookie) ma anche quello, forse più grave, di dover (o voler) chiudere il sito o blog: nei prossimi mesi, infatti, potrebbero essere non pochi i gestori di siti web che, ritenendo troppo rischioso, troppo complesso e/o economicamente non più conveniente la permanenza on-line, decideranno di interrompere le pubblicazioni.



martedì 16 giugno 2015

Reddito minimo over 55: cosa avviene in Europa


Uno dei maggiori argomenti di discussione nello scenario politico italiano è il reddito minimo, soprattutto con riferimento alla proposta di legge avanzata dal M5S. Tuttavia sono diverse le forze politiche che hanno avanzato proposte per realizzare l’introduzione di un’indennità a tempo indeterminato a favore delle fasce più povere.

L’Italia deve affrontare per uscire dalla crisi ma anche sostegno ai lavoratori che hanno perso il lavoro, faticando a trovarne un altro e senza i requisiti pensionistici: per gli over 55 (lavoratori compresi nella fascia di età tra 55 e 65 anni) prende forma il Piano INPS sul reddito minimo garantito, come anticipato dal presidente dell’istituto previdenziale, Tito Boeri.

Il ragionamento di Boeri parte dalla considerazione che, negli ultimi sei anni, le famiglie italiane che vivono sotto la soglia di povertà sono aumentate di un terzo, passando da 11 a 15 milioni. Sono dati che, secondo Boeri, fanno dell'introduzione di misure di lotta alla povertà la vera priorità del paese. In quest'ottica si inserisce il progetto, più volte sostenuto dal presidente dell'Inps, dell'introduzione di un reddito minimo garantito un incremento che si spiega col fatto che, chi perde il lavoro dopo i 55 anni, difficilmente riesce a ricollocarsi. Un reddito minimo che possa accompagnare queste persone alla pensione potrebbe svolgere una fondamentale funzione di assistenza.

In Francia, Germania, Regno Unito o Svezia sono previsti sussidi per supportare la ricerca di lavoro di una persona ed evitare di far precipitare nella povertà il disoccupato, con la possibilità di avere un reddito anche in caso di occupazioni saltuarie. Ecco come funziona il sostegno del reddito fornito ai senza lavoro o gli assegni di disoccupazione nei principali Paesi europei. L’Italia continua ad avere un sistema di tutela dalla disoccupazione più simile a quello della Grecia.

In Germania esiste ormai da dieci anni il reddito minimo garantito, che si chiama Arbeitlosgeld II, ovvero secondo assegno di disoccupazione. Quando una persona perde il lavoro riceve per un anno un assegno di disoccupazione, che poi si trasforma, riducendosi nell’importo, nell’indennità Hartz IV.

Chi invece non ha diritto all’assegno di disoccupazione può fare domanda per ottenere il sostegno al reddito garantito da Hartz IV. L’importo di riferimento erogato a un single è di 399 euro mensili, che devono coprire tutte le spese mensili di una persona con l’eccezione di affitto e riscaldamento, che vengono pagati dai comuni di residenza. Un beneficiario di Hartz IV con figli riceve un importo aggiuntivo compreso tra i 234 e i 320 euro. Questo sistema di tutela del reddito è stato criticato in Germania perché avrebbe introdotto la povertà per legge, visto il basso importo del sussidio. Hartz IV è un assegno che viene vincolato alla ricerca di lavoro, e i beneficiari sono sottoposti a controlli costanti che possono portare a corpose riduzioni dell’erogazione nel caso in cui si accerti la volontà di non trovare una nuova occupazione.

La Svezia ha un articolato sistema di tutela del reddito per chi non ha più un’occupazione, piuttosto simile alla Germania anche se ancora più orientato verso le politiche attive del lavoro. L’assegno di disoccupazione è suddiviso in tre programmi, Fas 1, Fas 2 e Fas 3, che coprono la persona alla ricerca di nuova occupazione. Nei primi 200 giorni il senza lavoro riceve un normale assegno di disoccupazione, con un importo pari al massimo all’80% del reddito medio dell’ultimo anno di lavoro. Questa prima fase scade dopo poco più di 6 mesi e scatta Fas 2. In questo periodo il disoccupato riceve ancora l’indennità normale di disoccupazione, che scende però ad un massimo del 70% del reddito medio dell’ultimo anno di lavoro, ma deve frequentare corsi di formazione, stage e seminari per l’avvio di una propria piccola impresa.

L’assegno di disoccupazione viene pagato su base giornaliera, per un massimo di cinque giorni a settimana ed è composto da un’indennità calcolata sul reddito da lavoro e da un ulteriore sussidio sociale. Se dopo 450 giorni dalla perdita del lavoro il disoccupato non ha trovato una nuova collocazione, scatta il controverso programma Fas 3, che il nuovo governo socialdemocratico di Stefan Löfven vorrebbe modificare. Fas 3 è un programma statale che paga le aziende per assumere disoccupati di lungo periodo, che però in numerosi casi ottengono retribuzioni con cui è difficile sopravvivere. In Svezia l’assicurazione contro la disoccupazione si finanzia in modo volontario, e i beneficiari di Fas che non hanno versato contributi a questo fondo possono ricevere solo i ben più bassi sussidi sociali.

In Francia esiste un sistema simile a quello della Germania e complessivamente più generoso. Chi perde il lavoro ha diritto all’assegno di disoccupazione, che si chiama Allocation d’aide au retour à l’emploi. Per accedere a questo beneficio bisogna aver perso il lavoro in modo involontario, esser iscritti alle liste di collocamento e rispettare il piano d’azione individuale per il ritorno al lavoro. Chi guadagna meno di 2042 euro lordi mensili ottiene il 40,4% del suo SJR, a cui si aggiungono 11,64 euro al giorno. Chi invece ha una retribuzione superiore ottiene il 57% del SJR. Il sussidio di disoccupazione  non può mai essere inferiore ai 28,38 euro al giorno, e non può essere mai superiore al 75% della retribuzione giornaliera. Chi invece ha esaurito il diritto alla disoccupazione, non vi può accedere vista la mancanza di versamenti contributivi oppure ha un reddito troppo basso può beneficiare del Revenu de solidarité active (RSA), il reddito di solidarietà attiva. RSA è un sussidio simile al tedesco Hartz IV, anche se meno severo nelle condizioni per ottenerlo – non ci sono riduzioni per chi non cerca lavoro in modo costante – e più generoso a livello economico. L’importo di riferimento per un persona single senza bambini è 510 euro al mese, che salgono a 916 euro al mese per chi ha 2 bambini.

Nel Regno Unito esiste un reddito minimo garantito e un assegno di disoccupazione che corrispondono ai due tipi di Jobseeker’s Allowance(JSA), l’indennità per chi è in cerca di lavoro, letteralmente. JSA (C) è un assegno di disoccupazione classico, finanziato dai contributi sociali. Vi può accedere chi ha versato per almeno due anni i contributi alla National Insurance, l’assicurazione nazionale del ministero del Lavoro britannico. L’importo di JSA (C) è determinato dai contributi versati, oltre alla situazione patrimoniale del beneficiario e da altri sussidi sociali ricevuti. Questo sussidio di disoccupazione ha un margine temporale limitato, solo 182 giorni, ovvero 6 mesi. Se invece una persona non ha versato contributi ed è in cerca di lavoro può beneficiare di JSA (IB), un reddito minimo garantito a cui si può accedere normalmente solo se si hanno risparmi inferiori alle 16 mila sterline. Sotto questo limite, per ogni 250 sterline di risparmi superiori alle 6 mila sterline il sussidio sociale viene ridotto di una sterlina a settimana. L’ammontare dell’assegno è di 87 euro a settimana per chi ha un’età compresa tra i 16 e i 24 anni o 69 euro per chi invece ha più di 25 anni. Come per JSA (C) l’erogazione di reddito dura 182 giorni per ogni periodo di disoccupazione e non può essere prolungata in modo automatico.

Difesa a spada tratta quindi del reddito minimo, seppur riservato ad alcune fasce: "La recessione è stata lo stress test per i nostri sistemi di protezione sociale. Non è affatto vero che quando ci sono degli shock così pesanti la povertà inevitabilmente debba aumentare", spiega Boeri, evidenziando che "dalla povertà ci si può tutelare con strumenti di protezione sociale, come il reddito minimo". La proposta fatta dagli uomini di Grillo è sicuramente la più conosciuta ed è stato il cavallo di battaglia dei pentastellati alle politiche di due anni fa. Originariamente, nella proposta redatta nel 2013, si prevedevano almeno 600 euro netti al mese che potevano crescere progressivamente in presenza di familiari a carico. La proposta presentata ora alza l’importo a 780 euro al mese, corrispondenti alla soglia di povertà certificata dall’Istat. Se il cittadino percepisce invece un reddito inferiore a tale importo, può richiedere un’integrazione fino al raggiungimento della soglia. A carico dei beneficiari sussiste l’obbligo di seguire percorsi di formazione professionale; l’indennità viene revocata in caso di rifiuto di almeno 3 proposte di lavoro ritenute congrue al profilo e alle competenze dell’interessato.



lunedì 15 giugno 2015

Microsoft Italia cerca personale: le opportunità di lavoro


Microsoft, leader mondiale dell’informatica, ricerca alcune figure specializzate per le proprie sedi italiane di Roma e Milano.

Sono in molti i giovani e i professionisti desiderosi di lavorare in Microsoft, l’azienda informatica americana che da quasi quarant’anni riveste un ruolo di primo piano nel mercato internazionale. Fondato nel 1975 da Bill Gates e Paul Allen, il Gruppo ha il proprio headquarter a Redmond, negli USA, ma possiede sedi distaccate, uffici e centri in tutto il mondo. La Microsoft Corporation dal 1983 è presente anche in Italia, dove conta ben 800 dipendenti distribuiti soprattutto tra le sedi di Milano, Roma e Torino.

L’azienda leader per l’informatica è alla ricerca di personale in vista di assunzioni a Milano, Roma e in altre sedi in Italia, ed ha aperto nuove offerte di lavoro rivolte a candidati a cui si richiede, nella maggior parte dei casi, una fluente conoscenza della lingua inglese, dato l’ambiente internazionale in cui si troveranno ad operare. Gli interessati a lavorare in Microsoft possono valutare le posizioni aperte in questo periodo, a cui l’azienda dà visibilità attraverso la pagina Microsoft lavora con noi del proprio portale.

Le vacancies, recentemente pubblicate, riguardano i servizi dedicati ai clienti e al supporto, alla consulenza e alle vendite:
Premier Field Engineer - Virtualization
Premier Field Engineer – Unified Communications
Premier Field Engineer Dynamics AX
Premier Field Engineer Dynamics CRM
Architect
PMC Premier Field Engineer – Exchange
Premier Field Engineer – Security
Account Executive
Premier Field Engineer - SQL
Premier Field Engineer System Center.

 Nella sito dedicato alle opportunità di assunzione nella multinazionale ( Careers) è possibile candidarsi e conoscere le ulteriori posizioni disponibili, sia in Italia che all’estero.


Cassa integrazione le novità: con durata fino a 24 mesi



Il sostegno al reddito si estende a tutte le imprese oltre i 5 dipendenti che finora ricorrevano alla cassa in deroga: dal 1° gennaio scatta l'aliquota dello 0,45% (per le aziende da 6 a 15 dipendenti) e dello 0,65% (oltre i 15) per finanziarsi, attraverso i fondi di solidarietà, le prestazioni operative dal 1° luglio 2016. Per la cassa integrazione si introduce una sorta di “bonus malus”, avrà una durata di 24 mesi, sarà estesa agli apprendisti, non si potrà più utilizzare in caso di cessazione delle attività.

Stretta sulla durata della cassa integrazione che, per quella ordinaria e straordinaria, viene abbassata a 24 mesi in 5 anni (contro il massimo attuale di 48 mesi per la cigs). Tetto che può salire a 36 mesi se 'abbinata' alla solidarietà. Estensione, al contempo, di questi strumenti alle imprese con oltre 5 dipendenti. Queste alcune delle novità contenute nello schema di decreto legislativo sul riordino degli ammortizzatori sociali, in attuazione del Jobs act, che ha ottenuto l'ok del Cdm. Al via anche un meccanismo di 'bonus-malus' sulle aliquote pagate dalle imprese per la cig: con un sconto per tutte del 10% sul contributo ordinario ma un aumento dal 9% al 15% per chi più la utilizza. Il consiglio ha anche approvato altri decreti che completano l'attuazione del jobs act: da quello per le politiche attive per il lavoro, alle norme sulle ispezioni, fino ad un pacchetto di norme di semplificazione. Inattuata rimane solo la norma, ipotizzata nella legge, di sperimentare il salario minimo.

La durata massima complessiva della cig ordinaria e straordinaria viene fissata in 24 mesi in un quinquennio mobile (30 mesi per le imprese edili). La durata può salire a 36 mesi con il ricorso al contratto di solidarietà.

Questi interventi di integrazione salariale vengono estesi alle imprese con più di 5 dipendenti, che potranno così richiedere le prestazioni per "gli eventi di sospensione o riduzione del lavoro" verificatisi dal primo luglio 2016; sarà versata un'aliquota dello 0,45% della retribuzione per quelle tra 6 e 15 dipendenti a partire dal primo gennaio 2016 (ripartita tra datore di lavoro e lavoratore sulla base di un accordo tra le parti sociali); dello 0,65% per quelle oltre i 15 dipendenti.

Viene fissato per le aziende che più utilizzano la cig un contributo addizionale del 9% della retribuzione sino ad un anno; del 12% sino a due anni e del 15% sino a tre. In generale, però, per tutte viene introdotto uno sconto del 10% circa sul contributo ordinario che, quindi, passa dall'1,90% all'1,70% della retribuzione per le imprese fino a 50 dipendenti; dal 2,20% al 2% per quelle sopra i 50; dal 5,20% al 4,70% per l'edilizia.

La cassa straordinaria non potrà essere richiesta a partire dal primo gennaio 2016 nei casi di cessazione definitiva dell'attività produttiva dell'azienda o di un ramo di essa; tra le causali per richiederla, invece, la riorganizzazione aziendale e il contratto di solidarietà. In questi ultimi due casi, la durata massima della cig straordinaria è di 24 mesi.

In deroga viene istituito un fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018 per 'coprire' fino a sei mesi un ulteriore intervento di cig straordinaria nei casi in cui "l'impresa cessi l'attività produttiva e sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell'azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale".

Per gli accordi già stipulati, si chiarisce che i trattamenti straordinari di integrazione salariale fatti prima dell'entrata in vigore di questo decreto "mantengono la durata prevista". Mentre per gli accordi conclusi e sottoscritti in sede governativa entro il 31 maggio 2015 "riguardanti casi di rilevante interesse strategico per l'economia nazionale che comportino notevoli ricadute occupazionali, tali da condizionare le possibilità di sviluppo economico territoriale, e il cui piano industriale abbia previsto l'utilizzo di trattamenti straordinari di integrazione salariale oltre i limiti previsti" in questo decreto, viene indicata la possibilità di proseguirne la durata, con l'istituzione di un fondo aggiuntivo di 90 milioni per il 2017 e 100 milioni per il 2018.

Verrà creata l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), con competenze gestionali in materia di servizi per l'impiego, politiche attive e Naspi. In attesa che si completi la riforma costituzionale, l'Anpal dovrà assolvere alle funzioni di indirizzo e coordinamento. Dotata di autonomia è posta sotto la vigilanza del ministero del Lavoro.

Uno degli schemi di decreto inviato in parlamento riguarda il "riordino delle politiche attive" con la costituzione della "rete nazionale dei servizi e dell'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro". Si introduce "il vincolo del livello essenziale delle prestazioni" che i lavoratori potranno trovare ovunque per il ricollocamento. Sarà definito anche "l'albo nazionale dei soggetti abilitati a fare politiche attive".



Contratti di lavoro con il Jobs Act: le novità



Una delle misure portanti della riforma dei contratti di lavoro riguarda il nuovo tempo indeterminato a tutele crescenti, che viene applicato a tutte le nuove assunzioni. In pratica, chi è già assunto a tempo indeterminato resta con il vecchio contratto, ma a chi trova lavoro o lo cambia viene invece applicato il nuovo contratto.

Per i contratti a tempo determinato il superamento del limite del 20% di utilizzo comporterà una sanzione amministrativa e non più una multa (come previsto nel testo originario); in sostanza invece di finire nelle tasche del dipendente, la somma andrà all'Erario per potenziare i servizi per l'occupazione. Il limite del 20% sarà derogabile con i «contratti collettivi». Escluse dal tetto e start up innovative e le assunzioni dei lavoratori over 50.

Il Decreto legislativo sul riordino dei contratti approvato dal Cdm conferma la fine delle collaborazioni a progetto (si salvano quelle in corso, fino a esaurimento). Dal 1° gennaio 2016 si applicherà la disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretizzano in prestazioni «esclusivamente personali», «continuative» e «organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Si conferma il limite del 20% di utilizzo del contratto a termine, ma se l'azienda “sfora” questo tetto non scatterà mai la conversione del rapporto a tempo indeterminato (l'impresa dovrà però pagare una maxi-multa pari al 50% della retribuzione mensile, e l'importo della sanzione finirà in tasca al lavoratore).

Nasce il contratto di apprendistato scolastico, sul modello duale tedesco. Ampliando la sperimentazione Carrozza, l'apprendistato duale interessa gli studenti delle superiori (licei inclusi) a partire da 15 anni (finora 17 anni), dura fino a 4 anni (oggi 3 anni). Stretta sulle false collaborazioni trasformate a gennaio in lavoro subordinato.

Il contratto a tempo determinato è consentito per tre anni senza causale (36 mesi), non può riguardare più del 20% dell’organico aziendale a tempo indeterminato, tranne che nelle micro-imprese fino a cinque dipendenti, che non hanno nessun paletto all’applicazione. Sono esenti dal limite del 20% anche le start-up innovative, le assunzioni di lavoratori con almeno 55 anni, le sostituzioni di dipendenti assenti, le attività stagionali, i contratti per specifici spettacoli o programmi radiofonici e televisivi.

Restano quindi tutti i contratti di apprendistato già previsti (per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale; professionalizzante; di alta formazione e ricerca). La durata minima è di sei mesi, alla scadenza le parti possono recedere (previo preavviso), oppure il contratto diventa a tempo indeterminato. Ci sono regole precise per la formazione durante l’apprendistato.

Vengono introdotte modifiche all'apprendistato per qualifica e diploma e all'apprendistato di alta formazione e ricerca (invariato invece l'apprendistato professionalizzante e di mestiere). Si pongono così le basi di un «sistema duale» in cui il conseguimento dei titoli, rispettivamente al livello secondario di istruzione e formazione e al livello terziario, potrà avvenire anche attraverso l'apprendistato effettuato nell'impresa.

La principale novità consiste nella eliminazione delle «causali» che consentono la stipula del contratto di somministrazione lavoro a tempo indeterminato (staff leasing). Al loro posto viene introdotto un limite di utilizzo del 20 per cento «salvo diversa previsione dei contratti collettivi». I lavoratori somministrati dovranno essere a loro volta assunti a tempo indeterminato dall'agenzia.

Si prevede che anche in assenza di una disciplina collettiva che lo autorizzi, il datore di lavoro può chiedere ai dipendenti in part time orizzontale una prestazione supplementare sia pure in misura non superiore al 15% delle ore concordate settimanali e retribuendo queste ore con una maggiorazione omnicomprensiva del 15%. Azienda e lavoratori possono concordare ulteriori clausole di flessibilità.

Si consente al datore di lavoro di variare unilateralmente le mansioni in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali, fino al livello di inquadramento inferiore rientrante nella stessa categoria. Lo stipendio base non cambia. La contrattazione collettiva, anche di secondo livello, potrà prevedere ulteriori ipotesi di demansionamento. Inoltre, in sede protetta, si potranno siglare accordi individuali finalizzati al rimansionamento per conservare il posto.

Si amplia l'utilizzo dei voucher per le prestazioni occasionali, portando il tetto massimo annuo da 5mila a 7mila euro. Uno strumento nato per regolamentare il lavoro accessorio, non riconducibile a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario, e tutelare situazioni non regolamentate. Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un'ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo.



Contratti di collaborazione coordinata dal 2016 si cambia



Dal 1° gennaio 2016 saranno considerate “lavoro subordinato” le collaborazioni caratterizzate come prestazioni esclusivamente personali, continuative, con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento a tempi e luoghi di lavoro. Alle eccezioni già previste si aggiunge un'altra fattispecie: quelle certificate dagli organismi deputati, dove il lavoratore può farsi assistere dal sindacato, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Dal  2016 si potranno stipulare solo contratti di collaborazione coordinata nei seguenti casi:
con professionisti iscritti ad Albi;

con partecipanti di organi di amministrazione e controllo delle società;

nei casi rientranti nella disciplina delle contrattazioni collettive;

nei casi di prestazioni per associazioni sportive dilettantiche;

in caso di certificazione dell’assenza dei requisiti dalle Commissioni lavoro dove il lavoratore può farsi assistere dal un consulente.

Per tutti gli altri collaboratori che offrono "prestazioni di lavoro personali ,continuative e con modalità organizzate dal committente" rispetto al luogo e ai tempi il contratto che fosse ancora in corso nel 2016 dovrà applicare la disciplina del lavoro subordinato . Lo  sgravio per le trasformazioni in contratti di lavoro subordinato, previsto dalla Legge di stabilità 2015, è però nel mirino della Ragioneria dello Stato  per  la copertura finanziaria e potrebbe essere garantito solo alle trasformazioni che partono dal 2016 e non al momento di entrata in vigore del decreto .

Quindi i contratti di collaborazione a progetto, che a partire dal primo gennaio 2016 si trasformeranno in contratti a tempo indeterminato, restano alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa, legati a particolari settori (ad esempio i call center) o tipologie professionali (i professionisti iscritti agli Ordini). In estrema sintesi, la regola è la seguente: quando il decreto entrerà definitivamente in vigore (fra un paio di mesi), le imprese non potranno più stipulare nuovi contratti di collaborazione a progetto, mentre quelli in essere proseguiranno fino alla loro scadenza. Poi, dall’1 gennaio 2016, i contratti di collaborazione «con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro» dovranno diventare rapporti a tempo indeterminato ai quali si applicheranno quindi le nuove tutele crescenti.

Con l'entrata in vigore del decreto continueranno ad essere applicati ai soli contratti in corso a tale data. Peraltro, nel rendere superate le norme che hanno istituito e regolato dal 2003 ad oggi le collaborazioni a progetto.

I committenti che vogliono evitare problemi relativamente a rapporti pregressi di collaborazione coordinata e continuativa privi dei requisiti potranno, dal 1° gennaio 2016, “stabilizzare” detti rapporti assumendo il collaboratore con un contratto a tempo indeterminato (che non potrà essere risolto per almeno 12 mesi). In questo modo il committente non rischierà alcuna sanzione afferente l'errata qualificazione della natura del contratto, a condizione però che il lavoratore sottoscriva davanti ad una commissione di conciliazione o di certificazione un accordo con il quale rinuncia a qualsivoglia pretesa per il pregresso rapporto di lavoro. Restano però fermi gli effetti di eventuali verifiche o ispezioni effettuate prima della suddetta data.

A favore dei collaboratori coordinati e continuativi opera anche una disposizione contenuta nel decreto legislativo, di attuazione della delega legislativa, sui tempi di lavoro e di vita. Viene finalmente riconosciuto il principio dell’automaticità della prestazione per quanto attiene l’indennità di maternità che potrà essere erogata anche se il committente non ha versato i contributi.




Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog