Visualizzazione post con etichetta Imprese. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Imprese. Mostra tutti i post

venerdì 16 giugno 2017

Professionisti del digitale, ecco le figure più richieste



Se la trasformazione digitale è sicuramente uno dei tormentoni del momento fra chi si occupa quotidianamente di nuove tecnologie, altrettanto importante il tema delle professioni legate al digitale.

Quali sono le professioni digitali più richieste oggi dal mercato del lavoro? Nella lista delle posizioni ricercate c’è, lo user experience director che gestisce l’esperienza-utente all'interno di spazi complessi (virtuali e fisici). Anche il director of analycs e data analyst è molto richiesto. Si tratta di esperti nella lettura e analisi dei dato. Così come pure lo chief technology officer, che seleziona le tecnologie da applicare a prodotto e servizi offerti dall’impresa. In ascesa sono anche lo sviluppatore mobile, che si occupa di applicazioni per smartphone e tablet, il big data architect, che gestisce l’analisi dell’architettura del sistema dei date il web analyst, che interpreta i dati e fornisce analisi dettagliate sulle attività sul web. Sempre più ricercato anche il digital copywriter, che gestisce contenuti pubblicitari su piattaforme digitali (si web, piattaforme e-commerce, ecc.), il community manager, addetto alla gestione di una comunità virtuale con i compi di progettarne la struttura e di coordinarne le attività, e il digital Pr, che si occupa delle pubbliche relazioni attraverso i canali online. Le aziende cercano anche digital adverser, per la gestione di campagne pubblicitarie sul web, e-reputaon manager per gestire la reputazione online e Seo e Sem specialist, esperti di tecniche che aiutano le aziende a ottimizzare il posizionamento sui motori di ricerca.

Grazie alla crescente importanza dei big data, le figure più ricercate dalle aziende italiane si evidenziano data scientist, data architect e insight analyst. Una grande opportunità dal punto di vista occupazionale che, secondo i consulenti di Hays, una delle società leader nel recruiting specializzato, nei prossimi mesi si concretizzerà in un incremento della richiesta di professionisti capaci di analizzare e gestire grandi quantità di dati.

“Sono sempre di più - spiegano gli esperti di Hays Italia - le aziende in Italia che investono in tecnologie avanzate e personale qualificato per sfruttare al massimo il potenziale dei big data. Le professioni digitali saranno sempre più valorizzate e ricercate dalle imprese e, già nel 2017, la domanda di talenti digitali aumenterà notevolmente, crescendo esponenzialmente entro il 2020”. Infatti, la Commissione Europea calcola che entro il 2020 ci saranno 900.000 posti di lavoro non occupa per mancanza di competenze digitali, più del triplo rispetto ai 275mila nel 2012. E in Italia, secondo un recente studio di Modis, il 22% delle posizioni aperte in questo ambito non trova candida all’altezza.

Per coloro che desiderano intraprendere la carriera in ambito digital, gli esperti di Hays hanno stilato una classifica delle 10 figure professionali sui cui si concentreranno le attenzioni dei recruiter nel 2017.

Data Scientist negli Stati Uniti è già considerato il lavoro numero uno e ci sono varie scuole di pensiero su quale sia la vera definizione. Sicuramente è un professionista con un background accademico molto forte (master o dottorato di ricerca) in discipline quali Statistica, Matematica, Fisica o Economia e profonde conoscenze di Data Mining e Machine Learning. Un bravo data scientist è in grado di identificare e risolvere problemi altamente complessi legati al business, utilizzando tool di analisi avanzati tra cui programmi di statistica come Python, R o Spark. Quest’analisi gioca infatti un ruolo centrale nel processo decisionale fornendo alle aziende gli strumenti necessari per affrontare con successo sfide sempre più complesse.

Un'altra figura richiesta è il data architect, che è capace di dare vita a soluzioni di successo per affrontare al meglio lo scenario dei big data. C'è poi l'insight analyst che utilizza strumenti di analisi statistica per ricavare, da grandi quantità di dati, informazioni a supporto delle strategie di acquisizione e fidelizzazione dei clienti. Dal punto di vista tecnico, gli insight analyst hanno competenze su uno o più strumenti di analisi statistica come sql, sas e spss. Tuttavia, molte aziende sono sempre più interessate al contributo che i linguaggi di programmazione Phyton e R possono fornire in tema di profondità dell’analisi.

Altra figura richiesta è il data engineer, che possiede le competenze per raccogliere, archiviare e lavorare i dati di un’azienda per facilitarne l’analisi. Inizialmente questo prevedeva l’utilizzo di database relazionali per gestire dati archiviabili sotto forma di tabelle, ma, con l’avvento dei big data, le strutture tradizionali per la gestione dei dati non sono più sufficienti. Per questo la figura del big data engineer è chiamata a realizzare e amministrare strutture in grado di gestire quantità di dati ampie e complesse attraverso database NoSQL come MongoDB. Molte aziende utilizzano il framework Hadoop insieme a strumenti avanzati come Hive, Pig e Spark, ma le infrastrutture per la gestione dei Big Data sono davvero numerose.

Lo sviluppatore software ha buone possibilità sul mercato. Non nasce propriamente come professione digital, ma il boom dei big data ha portato a un considerevole aumento delle aziende che realizzano applicazioni web-based. Ormai, infatti, è prassi combinare i tradizionali tool per lo sviluppo di software come Javascript, C# e PHP con framework basati sul linguaggio Python come Django, Pyramid o Flask.

Con il boom delle dashboard e degli strumenti di visualizzazione dei dati, sono sempre più richiesti sviluppatori che abbiano competenze anche nell’utilizzo di piattaforme di analisi dati come Tableau, Qlikview/QlikSense, SiSense and Looker. Stanno ottenendo inoltre grande riconoscimento professionisti con esperienza nell’uso di tool quali d3.js per la creazione di visualizzazioni interattive e di browser web.

Lo sviluppatore Business Intelligence, nella sua forma più semplice, costruisce strutture di dati complesse, partendo dal data storage e arrivando a produrre report e dashboard. Un tempo prerogativa delle divisioni finance e commerciale, la business intelligence costituisce oggi un comparto a sé con sviluppatori che hanno come obiettivo principale proprio la realizzazione di dashboard pronte all’uso per facilitare il compito dei manager che, in questo modo, possono ottenere informazioni chiave sulle performance aziendali al fine di rivederle e migliorarle.

Nel mondo dei Big Data, per poter procedere con l’analisi, la priorità è sicuramente l’organizzazione del flusso di dati. La business intelligence e la data science non possono prescindere dall’avere a disposizione strutture di dati ben organizzate e pronte all’uso ottenute anche attraverso l’impiego di tool di gestione come SQL Server, Oracle e database SAP. Un professionista esperto nella gestione di dati e processi ETL (Estrazione, Trasformazione e Caricamento) rappresenta un must per molte aziende.

Programmi fedeltà, strumenti di web analytics, Internet of things hanno portato a un consistente flusso di dati sui comportamenti dei consumatori online che le aziende utilizzano sempre di più a sostegno delle loro strategie di crescita. Le divisioni marketing, in particolare, sono chiamate ad elaborare campagne sempre più mirate che tengano conto di questi dati. I campaign analysts sfruttano le loro competenze nell’utilizzo di Excel e di strumenti per l’analisi di dati come SQL per fornire una fotografia dettagliata dei consumatori, permettendo così alle campagne di digital marketing di raggiungere il corretto target audience.

Se a ciò si aggiunge poi l’utilizzo di software per la gestione delle campagne come Adobe Campaigns, le aziende possono assicurarsi che le loro strategie marketing colpiscano nel segno andando a soddisfare i bisogni reali del mercato di riferimento. Per tutte le società che mirano a ottenere il massimo rendimento dal potenziale dei big data, nominare un chief data officer è fondamentale. Il numero di questi professionisti è passato da soli 400 nel 2014 a oltre 1.000 nel 2015 e si stima che per il 2019 il 90% delle grandi aziende avrà un chief data officer.

Il ruolo del cdo Lavoro è variegato e complesso e comprende un ventaglio di competenze tra cui data infrastructure, data governance, data security, business intelligence, analisi degli insight e analisi avanzata. Questa figura professionale non solo deve essere tecnicamente competente, ma deve anche essere in grado di capire e guidare gli obiettivi aziendali e i processi di cambiamento a livello manageriale per allinearsi al business plan della compagnia.


domenica 18 settembre 2016

Brexit e lavoro: effetti su mobilità e tutele dei lavoratori



Con il termine Brexit si indica l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, così come sancito dal referendum che si è svolto lo scorso 23 Giugno 2016.

Non solo la riduzione della mobilità dei lavoratori. Ma anche effetti sugli obblighi di mantenimento dei livelli minimi di tutela ormai diffusi nel mercato europeo e a cui si devono uniformare anche stati non europei. E ancora possibili ripercussioni sulla parità di trattamento retributivo e sociale, sul sistema di protezione sociale del lavoro somministrato e più in generale su tutti i livelli di tutela che di regola tendono ad evitare al dumping sociale.

Secondo la Fondazione Studi dei consulenti del lavoro dopo l'uscita della 'Ue effetti a cascata ci saranno anche su materie di assoluta importanza quali la sicurezza sul lavoro e la protezione della privacy.

Come spiega l'analisi dei consulenti del lavoro, nel 2013 il flusso di cittadini italiani che è andato a lavorare nel Regno Unito è cresciuto del 66% passando da 26 mila a 44 mila unità. Il flusso di emigranti italiano è continuato a crescere nel 2014 (+16) e nel 2015 (+15%) raggiungendo il livello di 58.653 nel 2015.

L’analisi per classi di età al momento della registrazione di ingresso, ci permette di capire meglio, sottolineano i professionisti, la natura dell’incremento dell’emigrazione italiana nel Regno Unito. Se nel primo decennio del secolo emigravano italiani adulti con un’età compresa fra i 25 e i 34 anni, dal 2012 si registra il sorpasso della classe di età più giovane, fino a 24 anni, che anticipa i tempi di migrazioni rispetto alla generazione precedente. Molto significativo anche l’incremento nell'ultimo periodo degli over 35 che migrano per ricostruirsi un futuro dopo avere tentato nel paese di origine.

E i consulenti del lavoro sottolineano come "la decisione referendaria inglese di uscire dal sistema Europa si manifesta in una epoca storico-­ economica di particolare delicatezza. Essa si innesta nel precario intreccio di riflessioni separatiste e di coesione economico-sociale cui corrisponde l’inevitabile e dissolvente risposta agli interrogativi circa l’utilità di un sistema ormai basato sul rapporto tra debito e prodotto interno lordo piuttosto che sul benessere e prosperità economica. In tale quadro, come nelle varie cornici delle carte costituzionali dei Paesi membri, assume la consueta rilevanza il dato relativo al lavoro e all'occupazione".

E, secondo l'analisi dei professionisti, "appare utile delineare il quadro della rappresentanza inglese presso le istituzioni comunitarie, il suo peso politico ed economico e le procedure legali di 'divorzio consensuale'. Il Regno Unito vanta 70 eurodeputati e circa 50 consiglieri presso il Comitato Economico Sociale Europeo senza contare il sottobosco di dirigenti, funzionari e impiegati. In ordine a queste posizioni è legittimo chiedersi quale sarà il destino di tale rappresentanza, che non dimentichiamoci ha pesato e tuttora pesa nelle decisioni comunitarie".

E l'analisi dei consulenti del lavoro ricorda che "il sistema di uscita dalla Comunità Europea è delineato dall’art 50 dei trattati. Dalla semplice lettura delle disposizioni appare evidente che la Gran Bretagna, una volta presentato atto di notifica formale per l’uscita dalla Ue, dovrà avviare un negoziato per la stipula di un accordo volto a definire le modalità del recesso".

"Pur tuttavia, ai sensi del comma 4, lo dovrà fare in posizione di estrema debolezza -ricordano i consulenti del lavoro- in quanto impossibilitata a partecipare alle decisioni e deliberazioni che la riguardano. Si spiega pertanto la reticente volontà del governo inglese a voler dilatare tale periodo transitorio, ben consapevole che ai sensi del comma 5 non sarà sufficiente un nuovo referendum o petizione per rientrare nel sistema europeo ma occorrerà una nuova procedura formale alla stregua di qualsiasi altro Paese 'extracomunitario'".

Ed è proprio quest’ultima parola, sottolineano i consulenti del lavoro, "a scuotere gli animi delle aziende, dei lavoratori e degli operatori del diritto obbligati a confrontarsi con una figura 'extracomunitaria' mai ritagliata su di un Paese come la Gran Bretagna. I segnali invero erano già stati lanciati tempo addietro -spiegano ancora i professionisti- e non solo in riferimento al rifiuto di adottare la moneta europea ma soprattutto agli ultimi trattati economici perseguiti dal governo inglese con le modalità preponderanti del 'prendere o lasciare'".

Secondo i professionisti "tale insolenza aveva già solleticato inimicizie tra stati membri, già intenti a dissimulare sobbalzi interni in materia di immigrazione. Il ragionevole dubbio della cattiva informazione popolare circa gli effetti nefasti in caso di uscita si palesa in maniera evidente passando in rassegna le conseguenze giuridiche in materia di protezione del mercato del lavoro".

"In altre parole, gran parte della normativa in tema di lavoro degli Stati Membri, deriva direttamente e indirettamente da normative comunitarie e pertanto -rimarcano i consulenti del lavoro- sarà inevitabile un abbassamento delle tutele ad esempio in materia di flessibilità, part-­‐time, contratti a termine, 8 trasferimenti di azienda e orario di lavoro laddove il governo inglese non saprà preservare i sistemi giuridici ormai promulgati".

La questione, ricorda ancora l'analisi dei professionisti, "non si risolve in una lettura riduttiva circa la scarsa mobilità dei lavoratori. Anche i lavoratori autonomi subiranno effetti tragici circa l’inapplicabilità di tutti i sistemi di scambio e reciproco riconoscimento quali il passaporto delle qualifiche, la direttiva servizi, le regolamentazioni comuni per le libere professioni improntate al principio della proporzionalità delle normative professionali in relazione agli obiettivi di interesse generale".

E ancora "in tema di aggregazioni di imprese e di liberi professionisti, sarà interessante analizzare la sorte e la tenuta giuridica dei Gruppi europei di interesse economico, in acronimo GEIE, figura giuridica di matrice prettamente europea con lo scopo di unire le conoscenze e le risorse di attori economici di almeno due paesi appartenenti all'Unione".

"La sfida ora -aggiungono i consulenti- è evitare l’effetto domino, ricostruire una comunità europea che non sia impegnata esclusivamente a pigiare il tasto dell’austerità ma rinnovi l’impegno a creare un vero mercato interno dove magari la potenza tedesca dovrà rinunciare a qualche privilegio ormai acquisito dalla lista degli optionals".

Sia d’esempio la vicenda 'Brexit': "mai sottovalutare effetti a strascico in nome della cattiva informazione o di uno spirito antieuropeista che guarda alla libertà come baluardo per l’isolamento economico sociale. L’impegno riguarda tutti affinché la stessa vicenda 'brexit' non si trasformi in un rifiuto verso il sistema europeo che corrisponda ad un sentimento diffuso di 'bruxit', ovvero l’avversione incondizionata verso il sistema che da Bruxelles fonda l’Unione Europea".

Passando in rassegna le conseguenze giuridiche in materia di protezione del mercato del lavoro, evidenziano che «la gran parte della normativa in tema di lavoro degli Stati Membri, deriva direttamente e indirettamente da normative comunitarie e pertanto sarà inevitabile un abbassamento delle tutele ad esempio in materia di flessibilità, part-time, contratti a termine, trasferimenti di azienda e orario di lavoro laddove il governo inglese non saprà preservare i sistemi giuridici ormai promulgati».

Le conseguenze giuridiche in materia di protezione del mercato del lavoro. Non solo, quindi, riduzione della mobilità dei lavoratori ed inapplicabilità delle disposizioni UE su distacco e protezione sociale, ma, più in generale, la questione tocca anche gli effetti sugli obblighi di mantenimento dei livelli minimi di tutela ormai diffusi nel mercato europeo e a cui si devono uniformare anche stati non europei.

Inoltre, ripercussioni potranno verificarsi sulla parità di trattamento retributivo e sociale, sul sistema di protezione sociale del lavoro somministrato e su tutti i livelli di tutela che di regola tendono ad evitare il dumping sociale, come anche sulla sicurezza sul lavoro e sulla protezione della privacy.

Ingresso e accesso al lavoro dei cittadini extracomunitari e comunitari. Concludono l’analisi due tabelle recanti la disciplina dell’ingresso e dell’accesso al lavoro dei cittadini extracomunitari e comunitari.

Sono questi i possibili effetti della Brexit secondo un'analisi realizzata da Fondazione Studi e diffusa da Labitalia.



martedì 29 dicembre 2015

Legge di Stabilità 2016: cosa cambia per lavoro e pensioni


Misure per l’occupazione e norme sull'adeguamento delle pensioni e sugli ammortizzatori sociali in arrivo, dal 1° gennaio 2016, ad opera della legge di Stabilità 2016. Prorogato lo sgravio contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel 2016. Elevata, dal 2016, la misura delle detrazioni dall'imposta lorda IRPEF spettanti con riferimento ai redditi da pensione, cd. no tax area per i pensionati. Ripristinate, infine, le agevolazioni fiscali sulle somme corrisposte ai dipendenti dai datori di lavoro privati per premi di produttività. Queste, in sintesi, alcune delle novità della manovra finanziaria per il 2016.

Vediamo le novità.
Per il settore del lavoro, viene innanzitutto prevista la proroga dello sgravio contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel 2016.

Per le pensioni si prevede un ulteriore intervento in favore dei soggetti salvaguardati, garantendo l'accesso al trattamento previdenziale con i vecchi requisiti ad un massimo di ulteriori 26.300 soggetti. Prorogata la sperimentazione della cosiddetta opzione donna. Dal 2016 viene elevata la misura delle detrazioni dall'imposta lorda IRPEF spettanti con riferimento ai redditi da pensione (cd. no tax area per i pensionati).

Assunzioni per le imprese del Mezzogiorno
Si estende alle assunzioni a tempo indeterminato dell'anno 2017 l'esonero contributivo – introdotto per il 2016 – in favore ai datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.

L’estensione non sarà automatica, così come previsto per misura base, ma occorrerà attendere un apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La spettanza del beneficio è condizionata all'autorizzazione della Commissione europea.

Proroga dell’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato
Si prevede, per il settore privato, uno sgravio contributivo per i contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato relativi ad assunzioni decorrenti dal 1° gennaio 2016 e stipulati entro il 31 dicembre 2016.

Lo sgravio contributivo consiste nell'esonero dal versamento del 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nel limite di 3.250 euro su base annua e per un periodo massimo di 24 mesi.

Detassazione premi di produttività
Si ripristina la disciplina tributaria specifica per gli emolumenti retributivi dei lavoratori dipendenti privati di ammontare variabile e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili, nonché per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.

La norma riguarda i titolari di reddito da lavoro dipendente privato di importo non superiore, nell'anno precedente quello di percezione, a 50.000 euro.

Aliquota contributiva lavoratori autonomi
Viene confermata al 27%, anche per il 2016, l’aliquota contributiva dovuta dai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, non iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, né pensionati.

Congedo di paternità
Vengono prorogate, sperimentalmente per il 2016, alcune disposizioni, già previste in via sperimentale per gli anni 2013-2015, in materia di congedo obbligatorio e facoltativo del padre lavoratore dipendente, elevando altresì da uno a due giorni quello obbligatorio.

Opzione donna
Si ridefinisce l’ambito temporale di applicazione dell’istituto (transitorio e sperimentale) che permette alle lavoratrici l’accesso al trattamento anticipato di pensione in presenza di determinati requisiti anagrafici e contributivi e a condizione che tali soggetti optino per il sistema di calcolo contributivo integrale (c.d. opzione donna).

Inoltre, in merito dalla sperimentazione dell’opzione donna, si prevede la trasmissione, entro il 30 settembre di ogni anno, di una relazione alle Camere, da parte del Governo, sulla base dei dati rilevati dall’INPS nell’ambito della propria attività di monitoraggio sull’attuazione della sperimentazione, con particolare riferimento alle lavoratrici interessate e ai relativi oneri previdenziali.

Contributo per servizio di baby-sitting
Si prorogano per il 2016 le norme già stabilite, in via sperimentale, per gli anni 2013-2015, relative alla possibilità, per la madre lavoratrice dipendente o titolare di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, di richiedere, in sostituzione, anche parziale, del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia.

Cure parentali per lavoratrici autonome
Si estende, in via sperimentale per il 2016 e nel limite di 2 milioni di euro, alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici il beneficio la possibilità già prevista per la madre lavoratrice dipendente di richiedere, in sostituzione (anche parziale) del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia (erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati).

Trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato
Si introduce, per il settore privato, una specifica disciplina transitoria, relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato, con copertura pensionistica figurativa per la quota di retribuzione perduta e con la corresponsione al dipendente, da parte del datore di lavoro, di una somma pari alla contribuzione pensionistica che sarebbe stata a carico di quest'ultimo (relativa alla prestazione lavorativa non effettuata).

Norme sull’adeguamento delle pensioni e sugli ammortizzatori sociali
Si apportano numerose alle disposizioni in materia di adeguamento e rivalutazione degli importi pensionistici, nonché di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e in caso di disoccupazione involontaria.

Tra le altre cose:
- si esclude l’applicazione di un’indicizzazione negativa delle prestazioni previdenziali ed assistenziali: si dispone, infatti, che la percentuale di adeguamento dei relativi importi, corrispondente alla variazione nei prezzi al consumo accertata dall’ISTAT, non può essere inferiore a zero;

- con riferimento alla percentuale di variazione per il calcolo della rivalutazione delle pensioni per il 2014 (determinata definitivamente con decorrenza dal 1° gennaio 2015), si prevede che le operazioni di conguaglio derivanti dagli scostamenti dei valori posti a base della perequazione automatica, limitatamente ai ratei corrisposti nel 2015, non vengano operate in sede di rivalutazione delle pensioni per il medesimo 2015, ma di quelle del 2016;

- si precisa l’ambito di applicazione della disposizione (art. 46, co. 3, D.Lgs. 148/2015) che prevede l’abrogazione, dal 1° luglio 2016, delle disposizioni concernenti i contratti di solidarietà stipulati dalle imprese che non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 1 del D.L. n. 726/1984 (imprese industriali, aziende appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, aziende esercenti attività commerciale, giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti dipendenti da imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici e di agenzie di stampa e, a determinate condizioni, imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione del trattamento straordinario di integrazione salariale);

- si prevede che il rispetto del requisito dell’anzianità lavorativa effettiva di almeno 90 giorni (richiesto per la concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale) è escluso per eventi oggettivamente non evitabili in tutti i settori, non più solo nel settore industriale, come attualmente previsto dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 148/2015;

- si precisa per via normativa l’ambito soggettivo di applicazione della nuova disciplina in materia di trattamenti di integrazione salariale, come delineata dal D.Lgs. 148/2015, specificando che rimangono escluse dall’applicazione di tale normativa determinate imprese elencate dall’art. 3 del D.Lgs. C.P.S. 869/1947, che torna dunque in vigore;

- si proroga l’istituto dell’indennità di disoccupazione per i titolari di contratto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS-COLL), riconoscendolo anche agli eventi di disoccupazione che si verifichino dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016.

Esclusione della penalizzazione dei trattamenti pensionistici anticipati

Si rende cumulabile (anche con riferimento a periodi antecedenti al 2016) il riscatto del periodo del corso legale di laurea con la facoltà, riconosciuta ai lavoratori dipendenti che possono far valere complessivamente almeno cinque anni di contribuzione, di riscattare i periodi corrispondenti al congedo parentale (astensione facoltativa per maternità) o per motivi familiari concernenti l'assistenza e cura di disabili purché non coperti da assicurazione.

Inoltre, si interviene sulla disposizione che ha escluso dalla penalizzazione dei trattamenti pensionistici i soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva (pari, nel 2015, a 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mese per le donne) entro il 31 dicembre 2017. In pratica, si estende tale disposizione ai trattamenti pensionistici anticipati già liquidati negli anni 2012, 2013 e 2014, al fine di escludere (solo per i ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016) le sopra indicate penalizzazioni, applicate in attuazione della normativa vigente al momento del pensionamento.

Bonus al comparto sicurezza
Al personale non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale, appartenente ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, alle Forze armate, compreso quello appartenente al Corpo delle Capitanerie di porto, quale riconoscimento dell'impegno profuso ai fini di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale per l'anno 2016, viene concesso un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, da corrispondere in quote di pari importo a partire dalla prima retribuzione utile e in relazione al periodo di servizio prestato nel corso del predetto anno.

Il contributo non ha natura retributiva, non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF e IRAP e non è assoggettato a contribuzione previdenziale e assistenziale.


lunedì 17 marzo 2014

Il factoring: cos'è e come funziona per i pagamenti delle imprese




Un modo per scongiurare il ritardo nei tempi di pagamento nel saldo fatture è il Factoring ossia la scelta di esternalizzare la gestione e il recupero crediti con specifici contratti che consentono alle aziende di cedere a terzi i propri crediti, ottenendone – immediatamente o alla scadenza – il valore nominale al netto dei costi di compravendita e gestione: atraverso il contratto di factoring, infatti, le imprese possono cedere i propri crediti ad una società specializzata, e concentrarsi esclusivamente sulla propria attività caratteristica. Il factoring è un contratto con il quale un soggetto (la società di factoring) fornisce ad un'impresa un insieme di servizi che riguardano in modo particolare la gestione e l'amministrazione dei suoi crediti (anche quelli futuri).

La concessione di anticipazioni su tali crediti prima della scadenza. Dunque la società di factoring, dietro pagamento di una commissione, si assume l'onere di riscuotere l'importo dei crediti, e spesso fornisce finanziamenti all'impresa cliente sotto forma di anticipazioni sui crediti non ancora scaduti I vantaggi del factoring- Trasformazione immediata dei crediti non ancora scaduti in risorse liquide.

Miglioramento delle relazioni con la propria clientela Le spese I costi di un'operazione di factoring consistono in una commissione di factoring, espressa in valore percentuale rispetto alla fattura, in un diritto fisso, per ogni credito ceduto, a titolo di rimborso spese (per spese di istruttoria, tenuta conto, postali, etc.) e negli intereressi maturati sulle somme anticipate. Aspetti economici e fiscali- La cessione dei crediti può avvenire con le clausole pro soluto o pro solvendo. Con la prima la società di factoring si assume il rischio di mancato pagamento anche nel caso di insolvenza del debitore; viceversa con la clausola pro solvendo.- Dal punto di vista fiscale, in termini generali,assume rilevanza la perdita che consegue alla cessione del credito fermo restando la verifica del momento in cui la predetta perdite potrà essere considerata deducibile.-Rispetto al fido bancario, dove il credito erogato alla società dipende dalla situazione patrimoniale e dalle garanzie offerte, nel factoring l'entità del credito è proporzionale all'importo dei crediti vantati dall'impresa- Il compenso pagato alla società di factoring, in presenza di determinate condizioni, è sottoposto ad aliquota Iva ordinaria; gli interessi pagati sugli anticipi sono invece e senti. Dovrà essere valutata la deducibilità fiscale degli interessi passivi corrisposti al factor, tenuto conto delle disposizioni fiscali in vigore.

Quindi risorse finanziarie immediate alle imprese in cambio della cessione dei crediti futuri: ecco il factoring, uno strumento finanziario moderno per la gestione professionale dei crediti.

Al fine di garantire valutazioni sempre più precise, l’Assifact (che riunisce il 95% delle aziende di Factoring), ha messo a punto il Dap: base dati con informazioni sensibili (tempi di pagamento, crediti scaduti e contestati) per ottenere uno screening dei debitori, enti pubblici compresi.

Il factoring viene proposto in varie opzioni, da valutare in base alle esigenze dell’impresa:

amministrazione, gestione e incasso dei crediti

anticipo dei crediti prima della loro scadenza

valutazione dell’affidabilità della clientela

garanzia del buon fine delle operazioni

assistenza legale nella fase del recupero dei crediti.

mercoledì 1 gennaio 2014

Lavoro nero: nuove norme nel decreto legge Destinazione Italia. Maxi-sanzione maggiorata



«Misure di contrasto al lavoro sommerso e irregolare»: si chiama così l'intervento inserito dal governo nel decreto pubblicato l'antivigilia di Natale. Una misura che aumenta fino a 10 volte le sanzioni per i datori di lavoro che assumono «in nero».

Queste misure sono contenute all’art. 14 del decreto legge Destinazione Italia, lo strumento mirato a rendere più appetibile e attrattivo investire in Italia: il sommerso è un ostacolo alla corretta concorrenza nel mercato. Le multe sono aumentate, in certi casi addirittura decuplicate.

Tuttavia, per stabilire in concreto la disciplina sanzionatoria applicabile, si ritiene che il personale ispettivo debba individuare il momento in cui si consuma l’illecito, vale a dire indicare il tempo della cessazione della occupazione irregolare:

condotta cessata prima del 24 dicembre 2013: si applica la maxi-sanzione previgente da 1.500 a 12.000 euro più 150 euro di maggiorazione e per le ipotesi di lavoro parzialmente in nero (ossia lavoro in nero seguito da successiva regolarizzazione spontanea) opera la fattispecie attenuta da 1.000 a 8.000 euro più 30 euro di maggiorazione giornaliera;

condotta iniziata o proseguita dopo il 24 dicembre 2013: si applica la nuova maxi-sanzione nell’importo da 1.950 a 15.600 euro più 195 euro di maggiorazione e per le ipotesi di lavoro parzialmente in nero opera la fattispecie attenuta da 1.300 a 10.400 euro più 39 euro di maggiorazione giornaliera.

Quindi a chi utilizza lavoratori in nero si applica  la sanzione amministrativa da euro 1.950 (erano 1.500) a 15.600 euro (erano 12.000) per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 195 (erano 150) per ciascuna giornata di lavoro effettivo. Pagherà il 30% in più anche il datore di lavoro che incorrerà nella sospensione dell’attività per lavoro irregolare o per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza. In questo caso, la norma sanzionatoria di riferimento  prevede il pagamento, rispettivamente, di una somma aggiuntiva pari a 1.950 euro e a 3.250 euro. Sale da 1.500 a 1.950 euro la «multa» che segue la chiusura dell’attività se ad essere in nero è più di un terzo dei lavoratori.

Le sanzioni decuplicate sono quelle relative all'orario di lavoro e, nello specifico, alle violazioni delle disposizioni sulla durata e sui riposi giornaliero e settimanale. In primo luogo sono aumentate di dieci volte le sanzioni previste in caso di superamento della durata media dell'orario di lavoro (media calcolata su un periodo non superiore a 4 mesi, elevabile a 6 e 12 mesi dalla contrattazione collettiva), fissata a 48 ore comprese quelle di straordinario. In secondo luogo, sono decuplicate le sanzioni per le violazioni delle disposizioni sul riposo settimanale, cui ha diritto il lavoratore dipendente per ogni sette giorni di lavoro. Tale riposo è della durata di almeno 24 ore consecutive di regola coincidenti con la domenica, da cumulare con le ore di risposto giornaliero. In terzo luogo sono incrementante di dieci volte le sanzioni previste in caso di violazioni delle norme sul riposo giornaliero, cui ha diritto il lavoratore ogni 24 ore per la durata di 11 ore consecutive. In tabella sono indicate le misure delle sanzioni oggi vigenti e quelle a seguito degli incrementi fissati dal decreto destinazione Italia, con declinazione dei diversi casi di maggiorazione perché riferite a una numerosità di lavoratori o di violazioni.

Viene stabilito che i maggiori introiti derivanti dall'incremento delle sanzioni sono destinati al finanziamento di misure anche di carattere organizzativo finalizzate a una maggior efficacia della vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale ad iniziative di contrasto al lavoro sommerso e irregolare e di prevenzione e promozione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro effettuate da parte delle Direzioni territoriali del lavoro, nonché alle spese di missione del personale ispettivo. Le stesse risorse potranno essere destinate anche a forme di implementazione e razionalizzazione nell'utilizzo del mezzo proprio in un'ottica di economicità complessiva finalizzata all'ottimizzazione del servizio reso da parte del personale ispettivo del ministero del lavoro.

Fatte salve le competenze della Commissione centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza, viene introdotta una ulteriore e più stringente forma di coordinamento da parte del ministero. Con l'obiettivo di assicurare il più razionale impiego del personale ispettivo degli enti pubblici che gestiscono forme di assicurazioni obbligatorie, la norma introdotta stabilisce che "la programmazione delle verifiche ispettive, sia a livello centrale sia territoriale da parte dei predetti enti, è sottoposta all'approvazione delle rispettive strutture centrali e territoriali del ministero del Lavoro".

E' previsto l'aumento degli ispettori del ministero del Lavoro di 250 unità di cui 200 nel profilo di ispettore del lavoro di area III e 50 di ispettore tecnico di area III da destinare nelle regioni del centro-nord. Ai maggiori oneri derivanti dalla nuove assunzioni si provvede mediante riduzione del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione previsto dal decreto legge numero 185 del 2008 per importi di 5 milioni di euro per il 2014, 7 milioni per il 2015 e 10,2 milioni a decorrere dall'anno 2016.Altra misura per rafforzare l'attività di contrasto del lavoro sommerso e irregolare sarà il via libera agli ispettori all'utilizzo dell'auto propria per lo svolgimento delle attività di vigilanza, la cui disciplina verrà stabilita con un successivo decreto interministeriale (Economia-Lavoro).

Misure, quella varate da governo, bocciate su tutta la linea dall'Associazione nazionale ispettori di vigilanza che raggruppa gli ispettori Inps. "L'aumento delle sanzioni - afferma il presidente Fedele Sponchia- è una scelta politica da rispettare anche se, a mio parere, l'educazione al rispetto delle regole non avviene con l'inasprimento delle sanzioni ma rapportando queste alla recidività comportamentale dell'azienda". Ad avviso di Sponchia potrebbe addirittura essere a rischio costituzionalità la parte della norma che destina i maggiori introiti alle stesse persone che comminano le sanzioni: "E' una norma scioccante sul piano etico - dice - e credo possa configurarsi come conflitto di interessi che mette a rischio l'imparzialità dell'azione della pubblica amministrazione".

sabato 9 novembre 2013

Giovani e lavoro e l’ormai famoso flop del bonus assunzioni



Vediamo cosa era il bonus assunzioni a giugno del 2013. Erano previste assunzioni di giovani a tempo indeterminato con la defiscalizzazione per le imprese, anche contributiva in forma di crediti di imposta e di sgravi contributivi. Il Piano Lavoro era così articolato incentivi all'assunzione stabile di giovani tra i 18 ed i 29 anni. E' confermato il tetto di 650 euro al mese: gli sgravi saranno di 18 mesi per le nuove assunzioni e di 12 per le trasformazioni con contratto a tempo indeterminato.

Il bonus viene creato, si legge, "al fine di promuovere forme di occupazione stabile di giovani" e "in attesa dell'adozione di ulteriori misure da realizzare anche attraverso il ricorso alle risorse della nuova programmazione comunitaria 2014-2020".

“Contiamo di attivare potenzialmente 200 mila soggetti, 100 mila con la decontribuzione e 100 mila con tutte le altre misure». Con questa previsione il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, presentò alla stampa il 26 giugno il decreto legge sul bonus assunzione giovani.

Il bonus assunzione giovani doveva creare 100mila posti di lavoro in tre anni ma al 31 ottobre le richieste delle aziende erano ferme e 13.770. Dopo l’entusiasmo dei primissimi giorni, il ritmo si è rallentato drasticamente, quelle confermate sono ancora meno: 9.284.

Fulcro del provvedimento era lo stanziamento di 794 milioni di euro nel quadriennio 2013-2016 per incentivare l’assunzione di giovani tra i 18 e i 29 anni “svantaggiati”, cioè con almeno una di queste condizioni: privi di impiego da almeno sei mesi; senza un diploma di scuola media superiore o professionale; single con una o più persone a carico.

In fin dei conti l’intervento era indirizzato a chi ha più bisogno di lavorare e anche le risorse erano territorialmente ripartire a favore del Mezzogiorno (500 dei 794 milioni) dove maggiore è l’emergenza occupazionale. L’incentivo per l’azienda che avesse assunto non era trascurabile: un bonus contributivo fino a 650 euro per 18 mesi (11.700 euro in tutto) per ogni giovane preso con contratto a tempo indeterminato, oppure fino a 12 mesi (7.800) in caso di stabilizzazione di un contratto a termine.

Non basta un bonus a convincere un imprenditore ad assumere, tanto più a tempo indeterminato, infatti, è normale che un imprenditore assume un giovane se gli serve, cioè se ha lavoro, ma se per fare questo supera la soglia dei 15 dipendenti e finisce sotto i vincoli dello Statuto dei lavoratori in materia di rapporti sindacali e licenziamenti ci pensa su due volte.

La delusione è palpabile anche al ministero del Lavoro, dove il sottosegretario Carlo Dell’Aringa, con un’intervista al quotidiano «Avvenire» ha ammesso: «I primi incentivi stanziati a giugno sono stati poco utilizzati e sulle assunzioni dei giovani le imprese vanno con i piedi di piombo. Senza una ripresa dei consumi, le aziende non investono. Per questo dobbiamo cercare di dare alle famiglie qualche soldo di più da spendere». Insomma: creare domanda, consumi, cioè lavoro per le imprese che, a quel punto, assumeranno anche senza incentivi.

La crisi è talmente nera che Dell’Aringa ha rivelato: «Abbiamo segnali sul fatto che, nel Mezzogiorno, è in crisi anche il sommerso. E se il “nero” manda a casa i lavoratori non c’è deregolamentazione o incentivo che tenga. Come dire: il rubinetto è aperto, ma il cavallo non beve». Più chiaro di così... Lo ha riscontrato anche la Fondazione studi dei consulenti del lavoro che, dopo un’indagine sul campo, ha concluso: «In assenza di nuovo lavoro risulta assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuove assunzioni».

Più promettente sembra la strada delle cosiddette politiche attive del lavoro. Significa: formazione e apprendistato; una via che si trova tra scuola e lavoro anche attraverso tirocini e stage; collocamento e ricollocamento al lavoro con percorsi individuali di assistenza e con il potenziamento e l’interconnessione delle banche dati di domanda e offerta di lavoro. In questo campo la maggiore opportunità è offerta dal programma europeo Youth Guarantee, «Garanzia Giovani», che metterà a disposizione dell’Italia 1,5 miliardi da spendere tra il 2014 e il 2015 per assicurare ai giovani fra 15 e 24 anni un’offerta di lavoro, apprendistato o tirocinio entro 4 mesi dalla fine del percorso scolastico o dalla perdita di una precedente occupazione.

Il rischio è che le risorse vengano disperse in una filiera di iniziative più simboliche che reali, tanto per dire: il colloquio personale è stato fatto, l’opportunità di formazione è stata offerta, e così via. Con un beneficio più per le strutture di gestione del programma che per i destinatari, i giovani. Un po’ come accade per la formazione, fatta più per i formatori che per chi cerca lavoro.

Il 2014 andrà poco meglio del 2013: diminuirà infatti la percentuale delle piccole e medie imprese  che programmeranno licenziamenti, ma la ripresa dell’occupazione resta lontana. E’ il dato che emerge da un’indagine AdnKronos sul lavoro nelle piccole e medie imprese, che conferma quanto la crisi stia avendo il peggiore impatto sui giovani.

Secondo i consulenti del lavoro, l’inefficacia del provvedimento si riferisce alla sua formulazione (limite di età di 29 anni troppo basso, scarsa risonanza per le imprese del Mezzogiorno che hanno a disposizione altre agevolazioni) ma è anche strutturale: «le imprese gradirebbero una riduzione del cuneo fiscale e contributivo anziché incentivi a termine» (e qui almeno in parte risponde la Legge di Stabilità, che però prevede un taglio di entità largamente inferiore alle richieste delle imprese). Inoltre, «il problema attuale non è come assumere con incentivi, ma tornare a produrre e a creare sviluppo. In assenza di nuovo lavoro risulta infatti assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuove assunzioni».

g

sabato 20 aprile 2013

I contributi Inps non versati crescono di oltre il 20% in due anni

I numeri danno concretezza a una sensazione diffusa nel mondo produttivo. La difficoltà delle imprese è cresciuta al punto tale che molte non riescono nemmeno più a far fronte agli obblighi contributivi. Secondo i dati forniti dall'Inps gli importi dovuti e non versati in due anni sono cresciuti di oltre il 21 per cento.
Secondo i dati forniti dallo INPS, sono aumentati del 21,4% i contributi annuali non versati all'ente di previdenza da parte dei datori di lavoro e degli iscritti. Secondo i dati forniti dallo stesso Inps, dai 4,59 miliardi di euro del 2010 si è passati ai 5,57 miliardi del 2012.

Si evidenzia un andamento diverso tra il 2011 e l'anno scorso (il cui bilancio consuntivo non è stato ancora approvato ma si può contare su dati contabili reali). Tra il 2010 e il 2011, i contributi non versati sono cresciuti del 3,1%, mentre tra il 2011 e il 2012 il salto è stato del 17,8% segno, di un grave e brusco peggioramento della situazione delle imprese, che, alle prese con difficoltà economiche, rinunciano a rispettare gli obblighi di contribuzione.

Un quadro che è emerso a seguito del decreto legge messo a punto per sbloccare i pagamenti arretrati della Pubblica amministrazione. Tale provvedimento prevede quale condizione per accedere ai pagamenti, la regolarità contributiva da parte delle aziende. Ma proprio per la difficoltà delle imprese a far fronte agli obblighi, in questi giorni si sta lavorando per escludere il possesso del Durc dai requisiti previsti, tanto più che spesso sono proprio i mancati pagamenti della Pubblica amministrazione ad aver contribuito all'irregolarità contributiva delle imprese.

L'analisi per settori ha messo in evidenza come sia in particolare l'industria ad aver peggiorato i valori. Da 2,02 miliardi di euro di contributi non versati nel 2010 si è passati a 2,91 miliardi nel 2012, con un incremento del 44,1%, mentre per commercio, servizi e artigianato l'aumento è stato del 10% circa. Non si rilevano sensibili differenze a livello territoriale, dato che Nord, Centro, Sud e Isole oscillano tra un incremento del 21,2 e il 21,4 per cento.

A fronte di entrate contributive per 154 miliardi stimate nel 2012 (esclusa la gestione ex Inpdap), i 5,5 miliardi mancanti rappresentano il 3,6%, una dimensione che non costituisce un elemento di criticità per i bilanci dell'Inps. Però allargando l'orizzonte si nota che nel corso degli anni il totale dei contributi mancanti all'appello è andato crescendo.

Secondo quanto riportato nei rendiconti generali, a fine 2003 i crediti per contributi non versati ammontavano a 33,3 miliardi di euro (rettificati in 14,1 miliardi nel fondo svalutazione crediti contributivi). A fine 2011 l'importo era salito a 66,3 miliardi (30,5 miliardi postati nel fondo dedicato). In otto anni il debito complessivamente accumulato dalle imprese è raddoppiato.

Questa situazione rischia di trasformarsi come un boomerang, dato che spesso sono i ritardati pagamenti della Pa una delle ragioni che determinano una situazione di anomalia contributiva, la quale, impedisce all'operazione di pagamento delle somme arretrate dovute dal committente pubblico. I dati affermano che già nel 2007 i contributi non versati nell'anno ammontavano a 4,5 miliardi. Poi, nel pieno della crisi, dal 2008 al 2011 il dato è rimasto stabile, segno che finché hanno potuto gli imprenditori hanno rispettato gli obblighi.

sabato 16 marzo 2013

Crisi economica annus horribilis per il lavoro e le imprese



Il saldo tra apertura e cessazione delle imprese è stato negativo per due punti percentuali. Secondo i dati di Anepa Confartigianato sono stati persi più di 80mila posti di lavoro. Male anche per i costruttori artigiani: in un anno 55mila posti di lavoro in meno.
Ancora notizie negative dal fronte economico per l'Italia, sia nel campo del lavoro che in quello dell'edilizia. In due mesi, gennaio e febbraio, i lavoratori in cassa integrazione "equivalenti a zero ore" sono stati 490 mila, per un taglio del reddito di circa 650 milioni di euro, pari a circa 1.319 euro per ogni singolo lavoratore. È l'elaborazione della Cgil su dati Inps, secondo cui a febbraio sono state autorizzate 79 milioni di ore di cassa.

In due mesi le ore di cassa integrazione autorizzate alle aziende sono state 168 milioni con un aumento del 22,71% sullo stesso periodo del 2012. La Cgil segnala come a partire da gennaio del 2009 e fino ad oggi, le ore di cassa integrazione autorizzate siano state stabilmente intorno agli 80 milioni per mese.

«Prosegue senza sosta - afferma il segretario confederale Elena Lattuada - il deperimento del tessuto produttivo e il progressivo processo di deindustrializzazione del paese. Centinaia di migliaia di lavoratori si trovano in una condizione di grandissima sofferenza, acuita dalle complicazioni e dai mancati pagamenti della cassa integrazione in deroga che vanno assolutamente risolti e superati. I numeri dimostrano che la priorità da affrontare, l'emergenza alla quale dare risposta, è sempre il lavoro. Il Parlamento e il prossimo governo devono, in fretta, dare priorità assoluta al tema della crescita e del lavoro, anche con interventi straordinari altrimenti il conflitto sociale e i livelli di povertà diventeranno entrambi insostenibili».

Il settore delle costruzioni, che conta 894.028 imprese, ne ha perse 61.844, con un saldo negativo dell'1,88 per cento. In tutto - spiega Anepa Confartigianato - sono stati persi 81.309 occupati. Dunque - secondo il rapporto Anepa Confartigianato - «è un quadro sempre più cupo, costellato da segni negativi, quello che caratterizza il settore delle costruzioni. E oltre al profondo rosso delle aziende delle costruzioni non è andata meglio per le imprese artigiane, che ne rappresentano la fetta più consistente: 571.336 aziende, vale a dire il 63,9% del totale. Nel 2012 hanno chiuso 54.832 costruttori artigiani, con un saldo negativo dell'1,96 per cento.

Le imprese edili sono strette in una morsa fatta di scarso credito bancario e di tempi di pagamento sempre più lunghi. A novembre 2012 lo stock di credito erogato alle aziende delle costruzioni è in calo del 7,6% rispetto a novembre 2011. E i tempi di pagamento da parte dei committenti pubblici e privati si attestano su una media di 180 giorni, vale a dire 115 giorni in più rispetto alla media dei Paesi europei. Non meno preoccupanti le ripercussioni sull'occupazione: lo scorso anno il settore costruzioni ha perso 81.309 addetti, con una variazione negativa del 4,6 per cento. Di questi, 69.055 erano lavoratori dipendenti e 12.255 titolari e collaboratori. Ancora più negativo il trend della produzione: -16,2% nel corso del 2012, un crollo tre volte più intenso rispetto alla media europea (-5,6%).

A proposito di investimenti in edilizia, il rapporto di Confartigianato evidenzia le opportunità di interventi fortemente richiesti dai cittadini, soprattutto per quanto riguarda l'abbattimento di barriere architettoniche per disabili e anziani: quasi 1,5 milioni di persone riferiscono di avere difficoltà di accesso ad edifici e strutture pubbliche e il 98% degli italiani vorrebbe maggiori investimenti per l'abbattimento delle barriere architettoniche.

venerdì 25 gennaio 2013

Unioncamere e l’anno nero del lavoro

Nel 2012 chiuse mille imprese al giorno. Era già successo nel 2008 e nel 2007, tuttavia in quegli anni le nuove iscrizioni avevano abbondantemente superato le 400mila unità e pertanto il saldo finale positivo era molto più consistente. Squinzi: Cgil non ostacolo alle riforme, ma remare uniti.

Nel 2012 hanno chiuso i battenti mille imprese al giorno. Lo ha calcolato Unioncamere, secondo cui nell'anno che si è appena concluso si sono registrate 364.972 chiusure (+24mila sul 2011) a fronte di 383.883 aperture (il valore più basso degli ultimi otto anni e 7.427 in meno rispetto al 2011). Il saldo tra entrate e uscite è dunque positivo per 18.911 unità, ma si tratta del secondo peggior risultato dal 2005 e vicino, dopo due anni di recupero, al 2009, l'anno peggiore della crisi.

Considerando anche le cancellazioni delle imprese ormai non operative da più di tre anni, al 31/12/ 2012 lo stock complessivo delle imprese esistenti ammontava a 6.093.158. Lo rileva Unioncamere. Si restringe ulteriormente (-6.515 imprese), spiega Unioncamere, il tessuto imprenditoriale dell'industria manifatturiera - trascinato dalla forte contrazione dell'artigianato, che chiude l'anno con 20.319 imprese in meno - quello delle costruzioni (-7.427) e dell'agricoltura (-16.791).

Il conto più salato del 2012 lo paga il Nord che - Lombardia esclusa - perde complessivamente circa 6.600 imprese, i tre quarti delle quali (poco meno di 5mila unità) nel solo Nord-Est. Giovani under 35, immigrati e donne, attività del turismo, del commercio e dei servizi alle imprese e alle persone sono le tipologie di imprenditori e i settori di attività che, nel 2012, hanno consentito a mantenere in lieve attivo il bilancio anagrafico delle imprese italiane (+0,3% contro il +0,5 del 2011). I dati ufficiali sulla natalità e mortalità delle imprese risultante dal Registro delle imprese sono stati elaborati da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da InfoCamere, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane.

"In questi anni - ha detto il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello - le imprese italiane hanno fatto letteralmente dei miracoli per restare sul mercato. In tante, anche in assenza di vere politiche di sostegno, sono addirittura riuscite a migliorare le proprie posizioni e a rafforzarsi. Ma molte di più non ce l'hanno fatta e, con loro, si sono persi migliaia di posti di lavoro, per non parlare di competenze e tradizioni importanti".

Vediamo, la ricetta di Confindustria per una terapia d'urto.

Più crescita - "Il tasso di crescita si innalzerà al 3%; il pil aumenterà di 156 miliardi, più 2.617 euro ad abitante", indica il documento rivolto alle forze politiche in campo per il voto di febbraio.

Più lavoro - attuando il piano d'azione proposto dagli industriali "l'occupazione si espanderà di 1,8 milioni di unità, il tasso di occupazione salirà al 60,6% dal 56,4% del 2013 e il tasso di disoccupazione scenderà all'8,4% dal 12,3% atteso per il 2014".

Più industria, più investimenti- "Il peso dell'industria tornerà al 20% del valore aggiunto dell'intera economia dal 16,7% attuale, gli investimenti balzeranno del 55,8% cumulato (+66,4% quelli in macchinari e mezzi di trasporto, +44,7% quelli in costruzioni), l'export si innalzerà del 39,1%".

Più redditi famiglie, più produttività - "Il reddito delle famiglie che vivono di lavoro dipendente nel 2018 sarà più alto di 3.980 euro reali". L'inflazione "rimarrà attorno all'1,5%"; la produttività "aumenterà di quasi l'1% medio all'anno".

Conti pubblici in equilibrio, meno pressione del fisco - "Il deficit pubblico diventerà un consistente surplus, il debito cadrà al 103,7% del pil, ben sotto il 111,6% richiesto dai patti europei (129,2% nel 2013, compresi 48 miliardi di debiti commerciali della p.a. alle imprese), la pressione fiscale scenderà dal 45,1% al 42,1% e le spese correnti al netto degli interessi dal 42,9% al 36,9%".

Allarme di Confindustria sulla riforma del lavoro Monti-Fornero

«La crisi sta lasciando profonde ferite». «È emergenza economica e sociale», avverte Confindustria in un documento di proposte presentato alla politica in vista del voto. «Servono scelte immediate, forti e coraggiose. Senza queste scelte nei prossimi anni non cresceremo più dello 0,5% l'anno», «l'alternativa è il declino». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, presentando "Il Progetto Confindustria per l'Italia: crescere si può, si deve".

Confindustria, ha spiegato Squinzi, in vista delle elezioni ha individuato «tre obiettivi fondamentali per ritrovare la crescita. Il primo è di una crescita superiore al 2% annuo, il secondo è di rimettere il manifatturiero al centro dell'attenzione del Paese, riportandone l'incidenza sul Pil oltre il 20% (oggi siamo al 16,7%), e il terzo è un rapporto tra debito pubblico e il Pil nell'ordine del 100%».

Le proposte di Confindustria «innalzeranno il tasso di crescita al 3%, portando a un aumento del Pil di 156 miliardi di euro in cinque anni», ha sottolineato Squinzi. Il numero uno di Confindustria ha poi spiegato che l'occupazione si espanderebbe di 1,8 milioni di unità e il tasso di disoccupazione scenderebbe, sempre in cinque anni, all'8,4% dal 12,3% atteso per il 2014.

Occorre dare ossigeno alle imprese pagando immediatamente i 48 miliardi di debiti commerciali accumulati dallo Stato e dagli enti locali, che rappresentano un debito pubblico occulto. Poi è necessario cancellare l'Irap in tutti i settori e tagliare dell'8 il costo del lavoro nel manifatturiero. Indispensabile poi raddoppiare gli investimenti in infrastrutture, ridurre l'Irpef sui redditi di lavoro bassi, sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie, abbassare il costo dell'energia.

Le proposte del documento programmatico di Confindustria, «una vera e propria tabella di marcia fino al 2018», si articolano in una «terapia d'urto» ed un «processo di riforme da avviare contestualmente e senza ritardo». «In vista dell'imminente tornata elettorale - spiega il documento - proponiamo un progetto di ampio respiro, insieme ambizioso e realizzabile, fatto di azioni di rilancio economico e sociale del Paese. Un progetto complesso con proposte serie e obiettivi chiari e quantificati, perché non bastano poche singole misure per risollevare l'Italia e sottrarla alla stagnazione». Un progetto «che non guarda al consenso ma alla crescita, che dice la verità su quello che serve per il bene del Paese».

«Riteniamo che la riforma del lavoro non sia stata sufficiente ad una vera liberalizzazione del mercato del lavoro e ad una sua vera flessibilizzazione» ha aggiunto Squinzi. «Riteniamo che il prossimo governo dovrà portarci più in linea con quanto fatto negli altri Paesi europei» chiede il leader degli industriali."Dobbiamo riconquistare la crescita, creare lavoro, rimettere al centro le imprese" e ridare fiducia agli italiani, per restituire i nostri giovani un futuro di progresso e di crescita". L'articolo 18, ha spiegato «tocca in modo particolare la sensibilità di alcuni settori produttivi, complessivamente credo che dobbiamo avvicinarci agli standard europei». Parametri Ue anche per l'armonizzazione delle aliquote più basse dell'Iva, «recependo le indicazioni europee» per recuperare fondi da destinare alla riduzione dell'Irpef.

domenica 18 novembre 2012

Produttività 2012 2013 , cosa prevede il documento


In sintesi il contenuto del documento. Le parti firmatarie dell'intesa chiedono a governo e Parlamento di applicare sui redditi da lavoro dipendente fino a 40 mila euro lordi annui la detassazione del salario di produttività, con la determinazione di un'imposta,sostitutiva di Irpef e addizionali, al 10%. Le parti inoltre chiedono di applicare la legge del 2007 che prevede lo sgravio contributivo per incentivare la contrattazione collettiva di secondo livello fino al limite del 5% della retribuzione contrattuale percepita. Infine chiedono al governo una riforma fiscale per ridurre il prelievo sul lavoro e sulle imprese.

Rafforzamento della contrattazione di secondo livello e sgravi fiscali per il salario di produttività. Sono i punti chiave su cui si basa l'accordo sulla produttività tra imprese e sindacati, un'intesa in sette punti con cui le parti sociali mandano un segnale a governo e partiti facendo la loro parte per il rilancio dell'economia.

Nel documento c'è la richiesta al governo sulle agevolazioni fiscali. Imprese e sindacati chiedono all'esecutivo "di rendere stabili e certe" le misure per la detassazione del salario di produttività, sui redditi da lavoro dipendente fino a 40mila euro, "attraverso la determinazione di un'imposta, sostitutiva dell'Irpef e delle addizionali, al 10%". Per la decontribuzione del salario di produttività, inoltre, chiedono la "compiuta applicazione" della legge che prevede lo sgravio contributivo per incentivare la contrattazione collettiva di secondo livello, fino al limite del 5% della retribuzione.

L'accordo tra imprese e sindacati è diviso in sette capitoli, dalla riforma fiscale alla contrattazione collettiva per la produttività. Questi sono i punti chiave del documento, con le richieste condivise.

Contrattazione collettiva. Alla contrattazione collettiva spetterà "una piena autonomia negoziale" sui temi relativi all'equivalenza delle mansioni e all'integrazione delle competenze, "la ridefinizione dei sistemi di orari e della loro distribuzione anche con modelli flessibili", e "le modalità attraverso cui rendere compatibile l'impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori". Imprese e lavoratori chiedono quindi che siano "assunti a livello legislativo, anche sulla base di avvisi comuni, provvedimenti coerenti con le intese intercorse e con la presente intesa".

Relazioni industriali. Il contratto nazionale, garantendo "la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori, deve prevedere una chiara delega al secondo livello di contrattazione delle materie e delle modalità che possono incidere positivamente sulla crescita della produttività, quali gli istituti contrattuali che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro". I contratti nazionali possono quindi "definire che una quota degli aumenti economici derivanti dai rinnovi contrattuali sia destinata alla pattuizione di elementi retributivi da collegarsi a incrementi di produttività e redditività definiti dalla contrattazione di secondo livello".

Fisco. È necessario, dicono imprese e sindacati, che il governo "tracci le linee guida per attuare una riforma strutturale del sistema fiscale che lo renda più equo e, quindi, in grado di ridurre la quota del prelievo che oggi grava sul lavoro e sulle imprese in maniera del tutto sproporzionata". Le parti sociali "sono consapevoli degli effetti che la contrattazione collettiva, in particolare al secondo livello, può esercitare sulla crescita della produttività" e "convengono sulla necessità di condividere col governo i criteri di applicazione degli sgravi fiscali e contributivi" per il salario di produttività.

Rappresentanza. Entro il 31 dicembre 2012, la materia della rappresentanza "sarà disciplinata per consentire il rapido avvio della procedura per la misurazione della rappresentanza nei settori di applicazione dei contratti nazionali, in attuazione dei principi contenuti nell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011". Le intese dovranno prevedere "disposizioni efficaci per garantire l'effettività e l'esigibilità delle intese sottoscritte, il rispetto delle clausole di tregua sindacale, di prevenzione e risoluzione delle controversie collettive, le regole per prevenire i conflitti, non escludendo meccanismi sanzionatori per le organizzazioni inadempienti".

Partecipazione dei lavoratori. Imprese e sindacati, considerato che la riforma del mercato del lavoro "dispone che siano i contratti collettivi a dare attuazione alle misure per la partecipazione", chiedono al governo di esercitare la delega "subordinatamente a un approfondito confronto con le parti sociali". Ritengono anche che i contributi versati per i sistemi di welfare contrattuale "debbano beneficiare di un regime fiscale e contributivo di vantaggio, a partire dalla previdenza complementare". Sarebbe utile anche avviare un confronto "per favorire l'incentivazione dell'azionariato volontario dei dipendenti, anche in forme collettive".

Formazione e occupazione. È necessario "realizzare un miglior coordinamento tra il sistema della formazione pubblica e privata non solo per ottenere maggiori benefici e migliori risultati, ma anche per favorire processi di coordinamento e indirizzo con le politiche attive". Le parti sociali, per rendere "più agevole ed efficace l'azione dei fondi interprofessionali per la formazione, anche nella prospettiva del potenziamento delle politiche attive, auspicano la chiara affermazione per legge della loro natura privatistica".

Mercato del lavoro. Imprese e sindacati chiederanno al governo "un confronto sui temi del mercato del lavoro", in particolare una verifica "sugli effetti dell'applicazione della recente riforma sull'occupazione". Le parti sociali ritengono opportuno definire "linee guida operative per affrontare con il governo i processi di ristrutturazione e le situazioni di crisi". E c'è la volontà di "individuare soluzioni utili a conciliare le esigenze delle imprese e quelle dei lavoratori più anziani, favorendo percorsi che agevolino la transizione dal lavoro alla pensione, creando nello stesso tempo nuova occupazione anche in una logica di solidarietà intergenerazionale".

sabato 17 novembre 2012

Produttività del lavoro 2012 – 2013 in attesa della firma


"Non è vero che la trattativa sulla produttività era partita male, era partita bene" e "c'era un accordo di massima di tutti, poi in quest'ultima fase qualcuno ha cambiato idea". Così il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, in risposta alla leader della Cgil Susanna Camusso Squinzi dice che il testo sulla produttività è pronto e "chi vuole firma, chi non vuole si assumerà le responsabilità davanti al Paese".Riconosce che "non ci sono le condizioni" per una "concordia". Sostiene che "per una vera ripresa dobbiamo ormai focalizzarci sul 2015". La Cisl si dice pronta a firmare il testo concordato.
Il testo sulla produttività coinvolge le organizzazioni imprenditoriali, cioè Confindustria, Abi, Alleanza delle coop, Ania, Rete Imprese Italia, ed ovviamente le sigle sindacali, le parti sociali  Cgil, Cisl e Uil.

L'attenzione delle parti sociali si sposta sul contratto di secondo livello, che disciplina la parte della contrattazione relativa all'organizzazione del lavoro, che interessa cioè turni e orari. Mentre al centro del contratto nazionale ci saranno le tutele di base che riguardano tutti i lavoratori.

La trattativa sulla produttività, avviata ai primi di ottobre, è arrivata quindi alle battute finali: l'accordo è atteso, con la firma dei protagonisti, sindacali e imprenditoriali. Ma sembra molto difficilmente che ci sarà una adesione unitaria: se il fronte dei datori di lavoro è compatto, i sindacati sono divisi, con la Cisl che ha già preannunciato la firma e la Cgil che ha rimarcato gli stessi problemi con Confindustria. Il testo ha recepito alcune indicazioni sollevate dai sindacati la scorsa settimana al tavolo (tra cui superamento degli automatismi, richiesta di rendere la detassazione e decontribuzione strutturale, indicando tetto di retribuzione e percentuali di sgravi).

Primo punto sollevato, quello della rappresentanza e della presenza della Fiom al tavolo del contratto dei metalmeccanici, un problema più politico che legato ai temi della trattativa sulla produttività. Accanto a questo, la tutela del potere d'acquisto delle retribuzioni, il demansionamento, la richiesta di risorse strutturali.

Sulla questione Fiom, già contestata dalle altre confederazioni ha replicato Luigi Angeletti, leader della Uil: definendo «ridicolo» che la Fiom si sieda al tavolo senza aver riconosciuto il contratto del 2009. Difficile, quindi, che dalla Cgil arrivi un sì, anche se da parte da Confindustria e dalla altre organizzazioni imprenditoriali c'è stata la volontà di arrivare all'accordo unitario.

Dalla Cisl, con il segretario confederale Giorgio Santini, è arrivata la disponibilità a firmare: «Se il nuovo testo conterrà le correzioni concordate nell'ultima riunione tra imprenditori e sindacati la Cisl è sottoscriverà l'intesa sulla produttività», ha scritto il sindacalista in una nota, considerando «fuori luogo e fuori tempo» le considerazioni della Cgil, contestando che voglia affrontare in questo contesto la questione specifica della Fiom.

Dopo la firma, l'accordo sarà presentato al governo. In ballo ci sono risorse per 2,1 miliardi di euro che l'Esecutivo ha messo a disposizione con la legge di Stabilità per gli sgravi a favore della produttività ripristinando le risorse che erano state precedentemente messe a disposizione.

Il leader della Cgil ha scritto ai presidenti di imprese, banche e assicurazioni, e per conoscenza anche ai leader sindacali per "formalizzare i problemi ancora aperti nel negoziato cosiddetto sulla produttività".  Nella lettera, la Camusso ha ricordato che "il sistema di relazioni attuale è ancora caratterizzato da un modello contrattuale agito sulla base di accordi separati e dalla faticosa ricomposizione di una parte dei tavoli contrattuali di categoria". Per questo "l`accordo interconfederale del 28 giugno 2011 con Confindustria ha rappresentato e rappresenta una positiva evoluzione del quadro; un accordo che pone al centro la democrazia e la rappresentanza, la contrattazione di secondo livello e la sua esigibilità. Non casualmente quell`accordo ripropone il tema della strutturalità degli interventi fiscali a sostegno dei premi di produttività".

domenica 11 novembre 2012

Imprese e fisco gli adempimenti sono diventati 134




Negli ultimi 10 anni il numero delle scadenze fiscali è salito di oltre un terzo. Nel 2012 gli adempimenti sono diventati 134. Così Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, secondo il quale, solo per pagare le tasse le Pmi sono costrette a "sborsare" circa 3 miliardi di euro l'anno. Per Cgia,la semplificazione, "segna il passo. Bisogna disboscare questa giungla", l'Italia ha carico fiscale tra i più elevati d'Europa e livello di oppressione non riscontrabile altrove.

Le principali scadenze fiscali, purtroppo, sono in costante aumento. Se nel 2002 erano pari a 100, nel 2006 sono salite a 127 e nel 2012 toccheranno quota 134. Negli ultimi 10 anni - nota la Cgia - l'incremento e' stato del 34%''.

I mesi più pieni di scadenze sono quelli di inizio anno. A gennaio di quest'anno si sono addensate 14 scadenze di pagamento e a febbraio il record con 15. Quasi tutti i pagamenti sono concentrati verso la meta' e verso la fine di ogni mese. ''Tuttavia se ipotizziamo di spalmare queste scadenze su tutto l'arco dell'anno, è come se i piccoli e medi imprenditori - ha scritto la Cgia - versassero ogni due giorni e mezzo un'imposta od un contributo previdenziale/assicurativo allo Stato''.

''Da questa ricognizione sulle scadenze - dice il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi - si evince che il processo di semplificazione fiscale iniziato nei primi anni '90 sta ora segnando il passo. Bisogna disboscare questa giungla fiscale per distogliere i piccoli imprenditori da una burocrazia e un numero di adempimenti che sono ormai eccessivi. Non dobbiamo dimenticare che i più penalizzati da questa situazione cosi' opprimente sono le micro imprese e i lavoratori autonomi che, a differenza delle aziende di maggiori dimensioni, non posseggono una struttura amministrativa in grado di sbrigare tutte queste incombenze''.

sabato 27 ottobre 2012

Imprese e lavoro: la sofferenza dei carichi fiscali



"Le nostre aziende stanno soffrendo, forse anche morendo di fisco": così il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, secondo cui "bisognerebbe fare una spending review molto più decisa e tutti i fondi che si liberano dovrebbero essere destinati alla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori, le imprese, i cittadini".

"Il governo sta facendo delle cose, certamente non sta facendo tutto quello che sarebbe necessario per fare il salto di qualità". E Squinzi ribadisce: "Ritengo che dalla prossima legislatura serva una legittimazione politica". Discutendo del capitolo sugli  esodati ha chiarito che il contributo di solidarietà del 3% sui redditi sopra i 150 mila euro per allargare la copertura finanziaria agli esodati «sicuramente lo vediamo come un ulteriore carico fiscale e che, peraltro, non è l'unico portato avanti in questi giorni perché sulle imprese sono arrivati anche altri balzelli», ha aggiunto Squinzi sottolineando che «è una situazione generale che va rimeditata, pur sapendo che dobbiamo essere pronti a fare dei sacrifici».

Entro pochi giorni sindacati e imprese potranno trovare un accordo sulla produttività, ha indicato Squinzi. «Siamo nelle fasi finali del negoziato - ha spiegato -, spero in un buon accordo che soddisfi tutti». Per il numero uno di viale dell'Astronomia «l'accordo è fondamentale per recuperare in tempi brevi i 20 punti di competitività che abbiamo perso nei confronti degli altri Paesi europei, e in particolare nei confronti della Germania».

«Bisogna abbandonare questa mentalità di ricorrere all'assistenzialismo», dice Squinzi, parlando del Mezzogiorno. «Bisogna cercare di potenziare quelli che sono i punti forti del Mezzogiorno perché - ha concluso - non dobbiamo mai dimenticare che il patrimonio storico, culturale e ambiente del Mezzogiorno è unico al mondo».

«Quello che preoccupa è una situazione economica molto difficile. Stiamo soffrendo da un anno e più anche a causa dell'impegno di raddrizzare i conti e questo ha portato ad un calo dei consumi interni che tutte le aziende stanno accusando in maniera forte. Ma il problema vero è la disoccupazione che è al 10,7% che diventa il 12,5% se contiamo chi ha rinunciato a trovare lavoro».

sabato 13 ottobre 2012

Auto aziendali regime fiscale 2012-2013


Sulle auto aziendali arriva un giro di vite sulla deducibilità, da parte delle imprese, dei costi sostenuti: la percentuale scenderebbe dal 27 al 20%. Già la riforma del Lavoro del minostro Elsa Fornero aveva previsto dal 2013 un abbassamento della deducibilità dei costi delle auto aziendali.

Con il nuovo regime fiscale in vigore l’uso delle auto aziendali non si rivelerà più conveniente per le aziende che ne faranno utilizzo. La stretta fiscale che dal prossimo anno colpirà la deduzione dei costi relativi alle auto aziendali, che è stata ridotta dal 40% al 27,5%, e le problematiche sull'utilizzo delle stesse da parte dei soci anche per motivi personali stanno portando molte imprese a scegliere di intestare le autovetture direttamente agli amministratori per le società di capitali, agli accomandatari per le sas o ai soci.

Gli provvedimenti governativi prevedono l'abbassamento, a partire dal 2013, dell'aliquota di detraibilità dall'attuale 40% (per i veicoli adibiti a uso "non esclusivamente strumentale") al 27,5%, mentre per quelli in uso promiscuo ai dipendenti l'aliquota dovrebbe passare dal 90 al 70%. Mentre le ultime informazioni circolate in merito alla legge di stabilità ipotizzano una deducibilità ridotta addirittura al 20%. Insomma, un'ulteriore pesante mazzata sui conti che andrebbe in senso esattamente contrario rispetto a quanto auspicato dalle aziende che operano nel settore dell'autonoleggio e dalle società loro clienti, le quali reclamano da tempo un adeguamento del trattamento fiscale delle auto al regime in vigore negli altri maggiori Paesi dell'Unione Europea, dove la detraibilità è stabilita al 100%.

La richiesta di rimborso spese per i chilometri percorsi, infatti, consente la piena deducibilità Ires o Irpef di questi costi, in capo all'impresa, e l'intassabilità del rimborso, in capo al precettore.

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito, per quanto riguarda questi rimborsi, che sia possibile dedurre il totale delle tariffa Aci e non solo la parte proporzionale alla percorrenza. Le indennità chilometriche, invece, hanno un limite massimo di deduzione per l'impresa, pari al costo di percorrenza relativo ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali, cioè 20 se con motore diesel.

Le autovetture con 17 cavalli fiscali hanno una cilindrata tra 1505,9 e 1643,3 cc., mentre quelle di 20 cavalli fiscali tra 1930,6 e 2080,1 cc. Una risoluzione delle Entrate ha chiarito che per costo di percorrenza deducibile quale indennità chilometrica rimborsata ai dipendenti o ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa debba intendersi il costo complessivo di esercizio in euro al Km calcolato dall'Aci, comprensivo della quota relativa al costo non proporzionale al chilometraggio (assicurazione Rca, tassa automobilistica, quota interessi).

Quindi per le auto aziendali, cala la deducibilità. E nella legge di stabilità entra anche la possibilità di effettuare erogazioni liberali al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato e usufruire di uno sconto fiscale pari al 19% dell'erogazione. Il Fondo è stato istituito nel 1993 con lo scopo di rimborsare o ritirare titoli di Stato dal mercato per favorire la riduzione dello stock del debito. Il meccanismo previsto dalla legge di stabilità è simile a quello delle donazioni ai partiti e movimenti politici, con l'obiettivo di incentivare l'abbattimento del debito pubblico.

domenica 7 ottobre 2012

Lavoro e imprese 2012 – 2013 si riparte con agenda digitale e start up

Anagrafe unica, ricetta e carta di identità digitale, cartelle cliniche in rete e la carriera scolastica in una scheda online. Tutti nuovi provvedimenti, considerati indispensabili per innovare il paese. E un'agenda digitale che riguarda tutta la pubblica amministrazione e favoriscono lo sviluppo dell'economia.

Tra i provvedimenti più importanti, l'introduzione della carta di identità elettronica - o meglio il documento digitale unico - che verrà fornito gratuitamente ai cittadini. Questo strumento sarà chiave di volta dell'unificazione di tutte le anagrafi permettendo un «censimento continuo e aggiornato in tempo reale». Importanti novità anche nella sanità, con il fascicolo sanitario elettronico in tutti gli ospedali di Italia. Entro il 2015 saranno poi introdotte le ricette digitali.

Agenda digitale, nascita e sviluppo di startup innovative, strumenti fiscali per agevolare la realizzazione di
grandi opere con capitali privati, attrazione di investimenti esteri,credito alle Pmi e liberalizzazioni in campo assicurativo: sono le principali aree di intervento.

Benefici e agevolazioni fiscali per le imprese innovative e per chi investe nel loro capitail; contratto di lavoro su misura (con deroghe alla riforma Fornero); incubatore certificato di imprese start up innovative, una società di capitali di diritto italiano, o una Societa Europea residente in Italia, che offra servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up.

Vediamo gli incentivi alle imprese, start up.  Sono stati messi  a disposizione circa 200 milioni di euro, tra i fondi stanziati dal decreto sotto forma di incentivi e fondi per investimento messi a disposizione dalla Fondo Italiano Investimenti della Cassa Depositi e Prestiti.

Per le start up e gli incubatori certificati è prevista anche l’esenzione da imposta di bollo e di registro e dal diritto annuale alle Camere di Commercio.
Per le start up è posticipato il termine per la ricapitalizzazione si posticipa di un esercizio in caso di perdite superiori a un terzo del capitale.
Le start up potranno usufruire gratis e in modo semplificato del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, anche mediante condizioni di favore in termini di copertura e di importo massimo garantito.

Il contratto per start up innovative concede deroghe sui contratti a tempo determinato rispetto a quanto previsto dalla Riforma del Lavoro. Il contratto a termine deve durare almeno sei mesi: nei primi tre anni può essere rinnovato anche senza soluzione di continuità, ed è poi possibile un altro rinnovo per un solo anno (quindi, si arriva a un massimo di 48 mesi). Dopo, scatta l’assunzione a tempo indeterminato.

Ampio capitolo dedicato alle misure per favorire gli investimenti nel capitale delle nuove aziende 2.0 con facilitazioni per amministratori, dipendenti, e collaboratori delle start up: il rendimento delle azioni, opzioni o quote loro assegnate nel contesto dei piani aziendali non concorre alla formazione del reddito imponibile ai fini fiscali e contributivi.

Spazio al crowdfunding: in deroga alle norme sul risparmio le partecipazioni nelle start up possono costituire oggetto di offerta al pubblico di strumenti finanziari.
Per i privati cittadini e per le imprese che investono in start up c’è una detrazione Irpef del 19% per tre anni (dal 2013 al 2015).

Tra le misure approvate nell'ambito dell'agenda digitale all'interno del decreto crescita 2, c'è la completa digitalizzazione dell'amministrazione pubblica. A livello di metodo la pubblicazione dati e informazioni in formato aperto. I dati e le informazioni forniti dalla pubblica amministrazione dovranno essere obbligatoriamente pubblicati in formato aperto. In questo modo sarà possibile ampliare fortemente l'accesso a informazioni di pubblica utilità, favorendone i riutilizzo per analisi, servizi, applicazioni e soluzioni, con sensibili ricadute dal punto di vista della crescita economico-sociale. Tali dati avranno una licenza d'uso aperta e saranno dunque utilizzabili - in primis da persone affette da forme di disabilità sensoriali - senza alcun tipo di restrizione.

sabato 6 ottobre 2012

Lavoro, imprese e fisco: la Cgia con il governo dei tecnici +5,5 miliardi di tasse



Le imprese italiane si troveranno a pagare nel triennio 2012-2014 5,5 miliardi di euro in più. Lo ha  affermato la Cgia di Mestre che ha messo a confronto gli effetti economici che andranno ad aggravare il carico fiscale e contributivo delle imprese con quelli che invece ne alleggeriranno il peso. A ciò, spiega l'associazione degli artigiani, si arriva sottraendo dai 19mld di tasse e contributi introdotti dal governo Monti, i circa 13,6mld di euro di alleggerimento fiscale che l'esecutivo praticherà nel prossimo triennio.

Il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi dice che "le più penalizzate dal pacchetto di misure introdotte dal Governo Monti saranno le micro imprese: in particolar modo quelle senza dipendenti che non potranno avvalersi degli sgravi Irap previsti per i dipendenti e dell'Ace (aiuto alla crescita economica), visto che per le aziende in contabilità semplificata non potranno applicare quest'ultima misura. Se si considera che il 75% degli imprenditori individuali lavora da solo, si può affermare che gli artigiani e i commercianti che non hanno dipendenti subiranno dei forti aumenti di tassazione non ammortizzati dagli sgravi previsti dal Salva Italia".

Con l'Imu, rispetto all'Ici, il prelievo medio per i negozi e i laboratori risulta mediamente raddoppiato, sottolinea la Cgia. Mentre per i capannoni si registrano incrementi di imposta che superano il 60%. Oltre all'Imu, nel 2012 sono aumentate del 1,3% anche le aliquote contributive Inps a carico degli artigiani e dei commercianti.

Nel 2013, entrambi i prelievi subiranno ulteriori aumenti. Rispetto all'Ici, con l'Imu il prelievo sui capannoni aumenterà di circa l'80%. Le aliquote previdenziali, invece, subiranno un ulteriore aumento dello 0,45% sino a portare nel giro di qualche anno l'aliquota di questi lavoratori autonomi al 24%. Le cattive notizie, purtroppo, non finiscono qui. Sempre nel 2013 le imprese faranno i conti con la riduzione della deducibilità dei costi per le auto aziendali che il fisco non riconoscerà più nella misura del 40%, ma solo del 27,5%. Sono circa 7 milioni gli automezzi interessati da questa misura.

Messe tutte in fila le tasse alle imprese, la Cgia stima che queste misure valgano circa 5 miliardi di euro nel 2012, che diventano quasi 6,7 mld nel 2013 e salgono a 7,3 mld nel 2014. Pertanto, nel triennio 2012-2014 le maggiori tasse e contributi a carico delle imprese saranno pari a poco più di 19 miliardi di euro.

"Pur riconoscendo che questo Governo ha dimostrato in più di una occasione di avere una certa sensibilità nei confronti delle piccole imprese - conclude la Cgia - la situazione generale è tale che difficilmente le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, potranno superare questo triennio con un carico fiscale aggiuntivo di questa portata. Non possiamo sperare di rilanciare l'occupazione e in generale l'economia se penalizziamo soprattutto le piccole imprese che costituiscono il tessuto connettivo della nostra economia".

sabato 29 settembre 2012

Lavoro e imprese under 35 che succede?


L'indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane a settembre è crollato a 75,5 da 79,0. Lo ha rilevato l'Istat. Si tratta del livello più basso dal marzo del 2009, quando si registrò un minimo storico. La caduta è esclusivamente dovuta alla caduta per le imprese dei servizi di mercato. Si registrano invece miglioramenti negli altri tre settori (industria manifatturiera, costruzioni, commercio al dettaglio).

La crisi ha provocato in Italia una strage in un solo anno di 26.000 imprese condotte da giovani under 35 anni in tutti i settori produttivi. E' quanto emerge da un'analisi Coldiretti-Swg.
Sono quasi 697.000 le imprese giovanili che hanno resistito alle difficoltà economiche, la maggioranza delle quali - sottolinea Coldiretti - opera nel commercio e nei servizi di alloggio e ristorazione (251.000), nel manifatturiero e nelle costruzioni (182.000) e nell'agricoltura (62.000).

L'agricoltura, si colloca sul podio delle attività di impresa preferite dai giovani e mostra anche - precisa la Coldiretti - un segnale incoraggiante di inversione di tendenza con un aumento del 4,3 nel numero di imprese individuali nel secondo trimestre del 2012.

Dall'indagine Coldiretti-Swg svolta su giovani agricoltori con meno di 30 anni di età emerge che il 36,5 per cento ha una scolarità alta (specializzato, laureato, laureando), il 56 per cento media (scuole superiori) e il 6,5 per cento bassa (scuole medie).

"In un momento in cui il mercato del lavoro è in crisi ed è venuta meno la stessa idea che l'industria possa dare a tutti un posto - sottolinea il delegato nazionale di Coldiretti Giovani Impresa, Vittorio Sangiorgio - l'agricoltura moderna e multifunzionale consente oggi ai giovani di avviare un'attività imprenditoriale nella quale esprimere le proprie idee e il proprio vissuto di esperienza e cultura".

"L'inversione di tendenza - afferma il presidente di Coldiretti Sergio Marini - e' la dimostrazione che il settore agricolo si e' rigenerato con una classe di giovani di imprenditori impegnata con successo nel capire e soddisfare i nuovi bisogni dei consumatori".

sabato 22 settembre 2012

Tasse sul lavoro e sulle imprese si devono ridurre

Ricordiamo che le tasse tedesche, inglesi, e soprattutto quelle spagnole hanno un alleato nel regime fiscale del paese in cui operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo incolmabile rispetto a italiane e francesi.

Facciamo un esempio. Una azienda che chiude il bilancio con circa 380mila euro di utile netto ne avrebbe guadagnati molti di più, diciamo quasi 600mila, se avesse avuto sede in Spagna. Il difetto è di una tassazione effettiva complessiva che sfiora il 58% dell'imponibile, che si sarebbe fermata al 29% se invece che italiana fosse stata una impresa spagnola. Questi sono i calcoli di Confindustria, che da tempo sollecita una riforma che alleggerisca il peso del fisco su "chi tiene in piedi il Paese", sia aziende che lavoratori.

Da questo studio emerge che le imprese tedesche, le inglesi, e soprattutto le spagnole, hanno un amico nel regime fiscale del paese dove operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo profondo rispetto a quello che si verifica in Italia e Francia. "L'imposizione fiscale complessiva in rapporto al reddito imponibile (effective tax rate) - spiega il rapporto - è decisamente superiore in Italia (58%) rispetto alla Germania (43%), al Regno Unito (40%) e alla Spagna (29%). Di poco diversa la situazione della Francia, dove il carico fiscale complessivo (60%) risulta lievemente superiore a quello italiano per effetto dell'indeducibilità del compenso corrisposto ad amministratori esterni all'impresa".

Lo studio che Confindustria ha elaborato in collaborazione con Deloitte, calcola l'onere fiscale complessivo di una società per azioni italiana (oltre alle imposte sul reddito, anche le altre principali forme di imposizione: ad esempio, le imposte locali sugli affari, sugli immobili, di solidarietà sociale, ed altre specifiche imposte locali) e l'ipotetico onere che la stessa impresa avrebbe subito se fosse stata localizzata in uno degli altri tre Paesi presi in esame.

La società presa in esame, come esempio dallo studio (ha un fatturato di 27,7 milioni di euro, esercita attività di ricerca e sviluppo nel campo dell'automazione di processi industriali e del testing di componenti e prodotti finiti, ha 180 dipendenti, ed esporta circa il 65% delle esportazioni), una volta pagate le tasse su un utile ante imposte di 986.503 chiude il bilancio (come regime si ipotizza quello del 2009) con un utile netto di circa 383mila euro in Italia, che sarebbe più basso dell'8% se l'azienda fosse in Francia, e più alto del 20% in Germania, del 37% in Gran Bretagna, e ben del 58% in Spagna dove supererebbe quota 600mila euro (605.347).

Lo studio prende anche in esame la tassazione del reddito in capo ai soci dell'azienda per l'utile distribuito dalla società, per verificare il diverso modo di affrontare il problema della doppia imposizione e l'effettivo onere fiscale complessivo nei diversi Paesi. Ed anche in questo caso la graduatoria è confermata. Il rapporto esamina diverse ipotesi di distribuzione di un dividendo. E nel caso sia pari al 50% dell'utile distribuibile in Italia, per esempio, l'imposizione fiscale sul socio sarebbe al 71% il Francia, al 66% in Italia, al 47% in Germania, al 38% in Gran Bretagna, al 27% in Spagna.

Vediamo quali potrebbero gli obiettivi da perseguire per dare un taglio alle tasse sia sul lavoro che sulle imprese.

In linea generale, cui deve essere un tentativo di concedere benefici fiscali sugli stipendi, privilegiando la parte variabile legata alla produttività e di introdurre elementi di maggior flessibilità in termini di orario e organizzazione del lavoro. E si dovrebbe pensare sia a misure che riducano la quota fissa dello stipendio aumentando il cosiddetto salario di produttività, a misure di defiscalizzaizone presenti nelle voci della busta paga, alla riduzione del cuneo fiscale, a incentivi all’assunzione dei giovani.

Ricordiamo che in questa disputa tra tasse ed “intenzioni” di abbassarle vi è un forte disaccordo tra chi muove le leve della politica e chi difende in principi dei lavoratori e delle aziende. Infatti Mario Monti ha bocciato l'ipotesi di abbassare l'irpef, mentre il ministro del lavoro Elsa Fornero ha ribadito la necessità di ridurre le tasse sulle retribuzioni senza però intaccare il gettito, cioè le entrate complessive dello stato. Non va dimenticato, poi, che l'ultima riforma del lavoro si è mossa invece nella direzione opposta: per finanziare i nuovi sussidi alla disoccupazione e scoraggiare l'utilizzo dei contratti precari, i contributi sulle busta paga verranno infatti innalzati nei prossimi anni, piuttosto che ridotti.

L'Italia ostenta da tempo un record negativo in Europa: quello di essere uno dei paesi con il costo del lavoro lordo più alto e con le retribuzioni nette (sottratti i contributi e le tasse) meno elevate. Secondo le rilevazioni dell'Ocse il salario medio netto di un lavoratore senza figli a carico è di poco superiore a 27.700 dollari, contro gli oltre 38mila della Gran Bretagna e i 33mila circa della Germania. E nello stesso tempo le retribuzioni lorde che incidono sui conti delle imprese non sono a buon mercato, ma mettono l'Italia ai vertici della classifica europea. Colpa delle tasse e dei contributi che, secondo le statistiche dell'Ocse, nel nostro paese pesano sui salari per quasi il 47%, 1 o 2 punti in meno della Francia o alla Germania ma quasi il 10-15% in più della Gran Bretagna e alla Spagna a addirittura oltre il 20% in più rispetto agli Stati Uniti e alla Svizzera.

Questo è uno dei motivi che un lavoratore italiano che percepisce uno stipendio medio-basso, pesa sui conti della sua azienda per una cifra più che doppia. Secondo le stime del Consiglio Nazionale dei Consulenti del lavoro, una busta paga netta di 1.300 euro al mese, comporta per l'impresa un esborso di oltre 2.700 euro ogni 30 giorni. A divorare le retribuzioni c'è una lunga sfilza di tasse e soprattutto di contributi. In primis quelli pensionistici che arrivano sino al 33% del salario (23% circa a carico delle imprese e oltre il 9% a carico del lavoratore), a cui va aggiunto un altro 7% circa per il Tfr (trattamento di fine rapporto), cioè la quota di stipendio accantonata tradizionalmente per la liquidazione (che può arrivare anche al 9-10%, con un contributo aggiuntivo, se il dipendente sceglie di destinare i soldi a un fondo della previdenza complementare). Qualche altro punto percentuale dello stipendio se ne va per i contributi sociali alla maternità e alla disoccupazione (variabili a seconda dei settori), mentre le aziende devono pagare pure l'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), che è legata anche al numero dei dipendenti dell'impresa.

Poi c’è l'IRPEF, (imposta sui redditi delle persone fisiche), che colpisce la busta paga (in questo caso al netto dei contributi) ed è una tassa progressiva, con aliquote comprese tra il 23 e il 43%, che crescono con l’aumento della retribuzione.

Comunque se effettivamente si vuole ridurre le tasse o i contributi sugli stipendi, il governo non avrà che l'imbarazzo della scelta, sempre che i vincoli del bilancio pubblico lo permettano e che sia la volontà di dare un aiuto concreto ai lavoratori e alle imprese.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog