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venerdì 28 ottobre 2016

Riforma del lavoro autonomo le novità


Tra le principali misure contenute nel Jobs Act lavoro autonomo citiamo le novità sul fronte dell’equiparazione fra professionisti e imprese, congedo parentale per lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata, sportelli dedicati nei centri per l’impiego, misure per la conciliazione vita – lavoro.

Il Ddl prevede l’applicazione della tutela dei tempi di pagamento anche alle transazioni commerciali che avvengono tra lavoratori autonomi e Pubblica Amministrazione, con il divieto di prolungare i tempi di pagamento oltre i 60 giorni dalla fattura, pena la corresponsione degli interessi moratori sull'importo dovuto, decorrenti dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.

Viene fatto divieto al committente di modificare unilateralmente le condizioni del contratto, rendendo nulla qualsiasi clausola che vada in tal senso. In caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, il committente non può inoltre recedere da esso senza congruo preavviso. In violazione di tale norma il lavoratore autonomo ha diritto ad un risarcimento del danno.

Viene esteso anche ai lavoratori autonomi l’abuso di dipendenza economica, ovvero l’abuso legato alla possibilità di un’impresa di determinare, nei rapporti commerciali con un lavoratore autonomo, un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi.

Viene introdotto nei centri per l’impiego uno sportello dedicato al lavoro autonomo e si stabilisce che centri per l’impiego e agenzie per il lavoro devono dotarsi di uno sportello per il lavoro autonomo per assicurare l’accesso alle informazioni sul mercato anche con riferimento a commesse e appalti pubblici, nonché alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche (art. 6).

Si statuisce altresì l'accesso alle informazioni relative all’accesso agli appalti pubblici e la promozione, da parte delle pubbliche amministrazioni, della partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici (art. 7).

Si ampia la fruizione della indennità di maternità (per i due mesi che precedono il parto e per i tre mesi successivi) a prescindere dall’effettiva astensione dal lavoro (art. 8).

Vengono poi previste modifiche alla deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, spese di formazione e per la certificazione delle competenze, ricerca e sostegno dell’autoimprenditorialità e oneri sostenuti per assicurazioni contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo.

Maternità/paternità
Viene previsto per gli iscritti alla Gestione Separata il diritto ad un trattamento economico per congedo parentale, esteso a sei mesi dai precedenti tre, il diritto alla maternità retribuito (introdotto un principio di sussidiarietà per cui la lavoratrice autonoma in maternità può essere sostituita da familiari).

Rapporti di  lavoro autonomo sono quelli definiti dall'articolo 2222 del codice civile e riguarda i contratti con cui il lavoratore si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Sono esplicitamente esclusi gli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori.

Vengono previste tutele per le transazioni commerciali tra lavoratori autonomi ed imprese, tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche relativamente ai ritardi nei pagamenti e alla relativa maturazione di interessi.  Sono fatte salve eventuali disposizioni più favorevoli.

Sono abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscano al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto o, nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, di recedere da esso senza congruo preavviso, nonché le  clausole mediante le quali le parti concordino termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data del ricevimento, da parte del committente, della fattura o della richiesta di pagamento. Si considera abusivo il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta.

Prevede che i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali ed a invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto spettino al lavoratore autonomo, fatta salva l'ipotesi in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto e a tale scopo compensata. Si ricorda che, per i lavoratori dipendenti, i diritti di utilizzazione economica spettano al datore di lavoro, sempre che gli apporti originali e le invenzioni siano state fatte nell'esecuzione del contratto di lavoro.

 Viene conferita delega al Governo per l’adozione entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, di adottare uno e più decreti legislativi in materia di rimessione di atti pubblici alle professioni ordinistiche per:

l’assolvimento di compiti e funzioni finalizzati alla deflazione del contenzioso giudiziario
semplificazioni in materia di certificazione dell’adeguatezza dei fabbricati alle norme di sicurezza ed energetiche, anche attraverso l’istituzione del fascicolo del fabbricato

viene conferita delega al Governo in materia di sicurezza e protezione sociale dei professionisti iscritti agli ordini, per rafforzare le prestazioni sociali nei confronti di chi ha subito una riduzione del reddito per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o per gravi patologie. A questo fine gli enti di previdenza potranno richiedere agli iscritti un apposito contributo finalizzato a tale scopo.

Vengono introdotte disposizioni fiscali e sociali concernenti:

la deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande sostenute dall'esercente arte o professione per l'esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente.  In particolare viene previsto che tutte le spese relative all'esecuzione di un  incarico conferito e sostenute direttamente dal committente non  costituiscono compensi in natura per il professionista. La modifica si applica già dal 2016.

Gli iscritti alla gestione separata non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie hanno diritto ad un trattamento economico per congedo parentale per un periodo massimo pari a sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino. La norma di applica dal 1 gennaio 2017.

Le gravi malattie oncologiche o che comunque comportano una inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento sono equiparati alla degenza ospedaliera.

Viene modificata la normativa sulla deducibilità delle spese:

di formazione per le quali viene prevista l’integrale deduzione entro il limite di 10mila euro;

per le spese sostenute per la certificazione delle competenze, ricerca e sostegno dell'autoimprenditorialità, entro il limite di 5mila euro annui;

per gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo, fornita da forme assicurative o di solidarietà.

I centri per l'impiego ed i soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive per il lavoro devono dotarsi in  ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo, per raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo, consentendo l'accesso alle relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta.

Viene conferita Delega al Governo per la semplificazione della normativa di salute e sicurezza degli studi professionali , attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi

prevede che le amministrazioni pubbliche  promuovano, in qualità di stazioni appaltanti, la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici, favorendo il loro accesso alle informazioni relative alle gare pubbliche

Tutela la gravidanza e la malattia dei lavoratori autonomi che prestino la loro attività in via continuativa per il committente. Detti lavoratori avranno diritto alla conservazione del rapporto di lavoro - con sospensione del medesimo e senza diritto al corrispettivo -, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, in caso di gravidanza, malattia o infortunio, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente.

Viene modificata la nozione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa posta, ai fini dell'inclusione dei medesimi nell'ambito del rito speciale per le controversie in materia di lavoro, dal codice di procedura civile.

Lavoro agile o smart working è una prestazione di lavoro subordinato prestata, parzialmente, all'interno dei locali aziendali e dietro i soli vincoli di orario massimo desunti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

I principi cardine del lavoro agile sono semplici: vengono meno i vincoli legati a luogo e orario lavorativo; il dipendente organizza il lavoro in piena autonomia e flessibilità; acquista maggior importanza la responsabilità personale dei risultati ottenuti.

L'obiettivo, quindi, è quello di costruire anche per i lavoratori autonomi un sistema di diritti e di welfare moderno capace di sostenere il loro presente e di tutelare il loro futuro.

 .


domenica 8 novembre 2015

Diritti del lavoratore: demansionamento e dequalificazione professionale


La sentenza n. 20473 della Corte di Cassazione  sezione lavoro del 29 settembre 2014, ha stabilito che in caso di accertato demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore non può prescindere dalla prova del danno e del relativo nesso causale con l'asserito demansionamento, in quanto va  evitato, trattandosi di danno non patrimoniale, ogni duplicazione con altre voci di danno non patrimoniale accomunate dalla medesima fonte causale.

Quando il dipendente viene declassato e adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle di assunzione La recente approvazione della riforma del lavoro, detta Jobs act, ha introdotto fra le altre cose il concetto di demansionamento.

Vediamo di capire meglio se e quando è lecito, e quali siano i margini di manovra delle aziende e dei lavoratori.

Il dipendente non può essere infatti adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali è stato assunto e inquadrato (è il cosiddetto demansionamento): il divieto è volto ad evitare la lesione della professionalità acquisita dal lavoratore.

Al momento dell’assunzione il datore di lavoro deve far conoscere al lavoratore la categoria e la qualifica che gli sono state assegnate in relazione alle mansioni per cui è assunto. In assenza di un’indicazione specifica occorre far riferimento, al fine di individuare la qualifica, alle mansioni effettivamente svolte in modo stabile all’interno dell’azienda. Alcuni autori tendono poi a precisare la differenza sottile tra demansionamento e dequalificazione: il demansionamento ricorre quando il lavoratore è lasciato in condizioni di forzata inattività e si differenzia dalla dequalificazione professionale, che sussiste nel caso in cui il lavoratore sia impiegato in mansioni inferiori a quelle per le quali è stato assunto. Entrambe le ipotesi concretizzano un inadempimento del datore di lavoro.

Il demansionamento, tuttavia, può essere disposto in presenza di alcune ipotesi eccezionali:
– modifica degli assetti organizzativi aziendali, tale da incidere sulla posizione del lavoratore stesso), e/o
– previste dai contratti collettivi.

In entrambe le ipotesi le mansioni attribuite possono appartenere al livello di inquadramento inferiore nella classificazione contrattuale a patto che rientrino nella medesima categoria legale.

Con le recenti modifiche approvate con il Job Act è invece possibile la modifica della categoria in caso di rilevante interesse del lavoratore (come nel caso di conservazione dell’occupazione, acquisizione di una diversa professionalità o miglioramento delle condizioni di vita).

Il datore di lavoro comunica al lavoratore l’assegnazione a mansioni inferiori in forma scritta a pena di nullità.
Per esempio: a un lavoratore con qualifica di vetrinista, classificata al livello terzo del CCNL Terziario Confcommercio, potranno essere assegnate le mansioni di commesso alla vendita al pubblico (qualifica appartenente al quarto livello) in conseguenza di una modifica degli assetti organizzativi che incida sulla posizione del lavoratore. In questo caso, infatti, il lavoratore rimane all’interno della categoria impiegatizia.

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire numerosi aspetti del demansionamento, soprattutto in materia di onere della prova e del risarcimento del danno. In particolare, secondo i giudici, il demansionamento è escluso nei casi di:

– adibizione del lavoratore a mansioni inferiori marginali ed accessorie rispetto a quelle di competenza, purché non rientranti nella competenza specifica di altri lavoratori di professionalità meno elevata e a condizione che l’attività prevalente e assorbente del lavoratore rientri tra quelle previste dalla categoria di appartenenza;

– riclassamento del personale (riassetto delle qualifiche e dei rapporti di equivalenza tra mansioni) da parte del nuovo CCNL. In tale ipotesi le mansioni devono rimanere immutate e deve essere salvaguardata la professionalità già raggiunta dal lavoratore;

– sopravvenuta infermità permanente, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore.

La dequalificazione del lavoratore sarebbe quindi legittima qualora costituisca l’unica alternativa possibile al licenziamento; in questo senso, l’attribuzione a mansioni inferiori potrebbe considerarsi giustificata tanto se disposta autonomamente dal datore di lavoro, quanto se attuata a seguito di un accordo sindacale.

Inoltre, un eventuale demansionamento non va valutato in rapporto ad un incarico di natura temporanea, bensì alle mansioni originarie e tipiche della qualifica del lavoratore. Per cui, se il lavoratore viene adibito solo temporaneamente a un livello superiore, nel momento in cui ritorna alle sue normali mansioni ciò non significa che sia stato demansionato.

Il lavoratore ha diritto di conservare il livello di inquadramento e il trattamento retributivo riconosciuto prima dell’assegnazione alle mansioni corrispondenti al livello inferiore. Sono tuttavia esclusi gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di esecuzione della prestazione lavorativa precedentemente svolta dal lavoratore (ad esempio, indennità di cassa), che il datore di lavoro non è obbligato a mantenere.

Se il datore di lavoro adibisce il lavoratore a mansioni inferiori in ipotesi diverse da quelle sopra riportate, il demansionamento è da considerarsi illegittimo. Pertanto il lavoratore può agire in tribunale, con una causa di lavoro, e chiedere (anche in via d’urgenza) il riconoscimento della qualifica corretta, nonché, quando il demansionamento presenta una gravità tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro – anche provvisoria – recedere dal contratto per giusta causa.

Il ricorso al giudice del lavoro costituisce lo strumento per accertare la violazione del divieto di demansionamento. Accertata la violazione, il giudice può disporre a tutela del lavoratore:

– la condanna del datore di lavoro alla reintegra del lavoratore nella posizione precedente o in una equivalente;

– la condanna al risarcimento del danno patrimoniale, relativo alle retribuzioni eventualmente maturate medio tempore (es. nel caso di attribuzione di mansioni inferiori con conseguente trattamento economico deteriore);

– la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale determinato dal demansionamento subito.

Tanto il danno patrimoniale quanto quello non patrimoniale deve essere sempre provato dal lavoratore che deve dimostrare una riduzione dello stipendio e/o le conseguenze sul suo equilibrio psicofisico. In difetto, il giudice, anche qualora rilevi l’avvenuto demansionamento e l’illegittimità della condotta del datore, non può liquidare alcun indennizzo al dipendente.

Ai fini del riconoscimento di un danno patrimoniale, è, infatti, necessario fornire prove o allegazioni del male subito.

In tal senso il danno da dequalificazione o da demansionamento può consistere:

– sia nel danno patrimoniale derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia nel pregiudizio (sempre di natura economica) subìto per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno

– sia nella lesione del diritto del lavoratore all’integrità fisica o, più in generale, alla salute ovvero all’immagine o alla vita di relazione.

Il rifiuto di svolgere le nuove mansioni è ritenuto legittimo solo se rappresenta una reazione del lavoratore proporzionata e conforme a buona fede.
Il rifiuto della prestazione lavorativa può considerarsi in buona fede solo se si traduce in un comportamento che, oltre a non contrastare con i principi generali della correttezza e lealtà, risulta oggettivamente ragionevole e logico, cioè deve trovare concreta giustificazione nel raffronto tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate. In tal caso, l’inadempimento del lavoratore risulta proporzionato al precedente inadempimento del datore di lavoro.

Comunque sul datore di lavoro grava l’obbligo di comunicare al lavoratore l’assegnazione a mansioni inferiori in forma scritta, pena la nullità. In materia di onere della prova e risarcimento del danno, poi, è intervenuta la giurisprudenza.

In particolare, il demansionamento viene escluso dai giudici nei casi di:

 adibizione del lavoratore a mansioni inferiori marginali ed accessorie rispetto a quelle di competenza, purché non comprese nella competenza specifica di altri lavoratori di professionalità meno elevata e a condizione che l’attività prevalente del lavoratore rientri tra quelle previste dalla categoria di appartenenza;

riclassamento del personale (riassetto delle qualifiche e dei rapporti di equivalenza tra mansioni) da parte del nuovo . In tale ipotesi le mansioni devono rimanere immutate;

 intervenuta infermità permanente, a patto che tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo stabilito dall’imprenditore.


sabato 5 settembre 2015

Jobs Act: controlli a distanza su tablet e cellulari



La riforma del lavoro è conclusa. Ad annunciarlo, con «soddisfazione», è il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che ha annunciato in conferenza stampa a palazzo Chigi che sono stati approvati gli ultimi quattro decreti del Jobs act. «Abbiamo rimesso al centro il contratto a tempo indeterminato.

Centinaia di migliaia di precari hanno un contratto stabile», ha detto Poletti. Gli ultimi quattro decreti legislativi attuativi del Jobs act riguardano le semplificazioni, il riordino degli ammortizzatori, la razionalizzazione dell’attività ispettiva e il riordino delle politiche attive.
Così i lavoratori verranno controllati a distanza.

In pratica, non ci sarà bisogno di autorizzazione ministeriale nè di accordi sindacali, ma i lavoratori dovranno essere informati in modo preventivo sulle modalità di effettuazione dei controlli, che, comunque, non potranno mai avvenire in contrasto con quanto previsto dal Codice della privacy.

"È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti che abbiano quale finalità esclusiva il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori". Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti "dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere installati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali".

In alternativa, "nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del ministero del Lavoro e delle politiche sociali".

L'accordo e l'autorizzazione "di cui al secondo comma non sono richiesti per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle uscite. Le informazioni raccolte ai sensi del terzo comma sono utilizzabili a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196". In altri termini, se il lavoratore non verrà adeguatamente informato dell'esistenza e delle modalità d'uso delle apparecchiature di controllo e delle modalità di effettuazione dei controlli, i dati raccolti non saranno utilizzabili a nessun fine, nemmeno a fini disciplinari.

Con i decreti legislativi attuativi del Jobs Act la riforma del lavoro varata dal Parlamento lo scorso dicembre con la legge 183/2014 chiude il cerchio e diventa pienamente operativa su tutti i fronti: non soltanto quello contrattuale, già ai test con i nuovi contratti a tutele crescenti che cominciano a mostrare i primi frutti in termini di stabilizzazioni, ma anche quello della rete dei servizi per l’impiego, della ricollocazione, del sistema delle ispezioni e degli ammortizzatori. La parola d’ordine è una: semplificare. Anche se su alcuni fronti, come Cig e dintorni, l’operazione si annuncia molto complessa e andrà attentamente valutata sul campo. Anche per stimare quale sarà l’impatto effettivo dei costi che le imprese saranno chiamate a sostenere.

Sul tema controverso dei controlli a distanza, Poletti ha detto che è stato «colmato un vuoto normativo»: «Abbiamo modificato l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori per individuare una nuova disciplina nel rispetto della privacy colmando un vuoto non sugli impianti fissi ma sugli strumenti in dotazione ai lavoratori». Gli esiti dei controlli su strumenti e apparecchi di lavoro, come smartphone e tablet, possono dunque essere utilizzati con due paletti: informazione preventiva al lavoratore e rispetto delle norme sulla privacy, ma non serve l’autorizzazione del sindacato e del ministero come avviene per le telecamere.

Quanto alla razionalizzazione dell’inserimento mirato dei disabili: «Abbiamo una buona legge, l’unico problema è che a fronte di cento iscritti alla lista ora siamo sotto il 3%: ogni cento meno di tre trovano un lavoro. Abbiamo perciò pensato di rendere più semplici queste normative e cambiare il sistema degli incentivi», l'utilizzo delle informazioni può essere fatto solo in rispetto della privacy ma l'autorizzazione sindacale o del ministero non è necessaria per cellulare e tablet ma solo per telecamere".

Al debutto anche le novità sulle dimissioni in bianco, quelle che alcuni datori di lavoro usano far firmare senza data al momento dell’assunzione, soprattutto alle lavoratrici per poterle licenziare in caso di maternità: «Non saranno più possibili: le dimissioni saranno valide solo se stilate su un modulo numerato e datato scaricabile solo dal sito del ministero del Lavoro».

Addio alle dimissioni in bianco. La certificazione della richiesta di dimissioni dovrà essere fatta "su un modulo che va scaricato dal sito del ministero del Lavoro, se non c'è un modulo datato e certificato la dimissione non è valida". Ha annunciato Poletti al termine del cdm. "Per i controlli a distanza siamo intervenuti sull'art. 4 dello Statuto dei lavoratori rispetto alla privacy, colmando un vuoto normativo", ha spiegato il ministro. "Oggi abbiamo una normativa complessiva con al centro due obiettivi: una norma chiara e definita e il rispetto della privacy".

La Naspi, il nuovo assegno contro la disoccupazione involontaria durerà 24 mesi. Poletti ha sottolineato che la cig viene riportata alla sua visione originale. L'ammortizzatore in costanza di rapporto di lavoro durerà 24 mesi in un quinquennio mobile, periodo che sale fino a 36 se si usa la solidarietà. Sulle aliquote di applica il meccanismo bonus malus, paga di più chi più usa la cassa.

Ultime novità su lavoro e delega fiscale



Fra le novità, le più importanti sono quelle sui controlli a distanza: è stato riscritto l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori per adeguare la disciplina all'evoluzione tecnologica, prevedendo norme specifiche per telefoni e tablet (strumenti sui quali, in pratica, non ci sono paletti). Secondo il ministro, si tratta di una «norma chiara e ben definita» che si muove nel «rispetto delle norme sulla privacy».

Le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non saranno più “in bianco”, ma dovranno avvenire solo attraverso un modulo online, «numerato e datato», fornito dal ministero del Lavoro. I lavoratori potranno cedere, a titolo gratuito, ai colleghi i riposi e le ferie maturate. La durata della Naspi, l'indennità di disoccupazione in vigore da maggio, è portata fino a 24 mesi anche dopo il 2016: sono queste alcune delle novità sul lavoro, che hanno avuto il via libera del Consiglio dei ministri e che il Sole analizza valutando efficacia e fattibilità.

E’ stata istituita l’ANPAL (Agenzia nazionale per le politiche attive), sono stati fatti accordi con le Regioni per il rafforzamento dei centri per l’impiego con tanto di assegno di ricollocamento, riconosciuto a chi dopo quattro mesi di NASPI non ha ancora trovato lavoro, per aiutare a trovare una nuova occupazione.

Sono state unificate nel nuovo ispettorato generale lavoro le competenze prima distribuite fra tre diversi enti (ispettorato, INPS e INAIL), prevedendo il coordinamento con le ASL allo scopo di migliorare le performance delle ispezioni, semplificando al contempo la vita alle imprese.

Inoltre, i “nuovi” ammortizzatori sociali (Cig) vengono estesi a circa 1,4 milioni di lavoratori e 150mila datori, finora esclusi. Il Jobs Act estende le tutele della Cig a lavoratori e imprese, ridisegna le regole e riduce la burocrazia. Sul tema semplificazioni, invece, i controlli dei dipendenti si adeguano all'evoluzione tecnologica. L'Ispettorato nazionale del lavoro, poi, coordinerà tutte le attività di vigilanza in materia.

Sul fisco sono stati fatti interventi ad ampio raggio: dalla revisione delle sanzioni penali e delle sanzioni amministrative al riordino del contenzioso per arrivare a nuove regole sugli interpelli, le agenzie fiscali e la lotta all'evasione. I decreti approvati dal Cdm di venerdì dovranno ora passare al parlamento per un ultimo parere e avere un ultimo via libera dal Governo entro la fine di settembre.

E’ poi stato stabilizzato il finanziamento per la NASPI a 24 mesi (che quindi non scenderà a 18 mesi dal 2017). E’ anche stata finanziata la stabilizzazione degli interventi su maternità, permessi, cure parentali contenuti nel decreti sulla conciliazione vita-lavoro (previsti in via sperimentale per il solo 2015, diventando quindi strutturali). Infine, c’è una razionalizzazione dell’utilizzo della cassa integrazione a due anni, tre solo nei contratti di solidarietà.

Riguardo la delega fiscale si conferma la sensazione che interventi contenuti nella delega; non è incisiva sui grandi problemi di fondo.

I cinque decreti legislativi approvati in esame preliminare, sono:

Semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione

L’obiettivo del provvedimento è quello di creare un sistema di riscossione che favorisca la compliance, attraverso norme che inducano il contribuente ad adempiere spontaneamente ai versamenti delle imposte, anche attraverso forme più ampie di rateizzazione. Anche l’erario potrà beneficiare di una maggiore certezza nei tempi di riscossione e di modalità semplificate.

In caso di definizione concordata dell’accertamento, il pagamento può essere effettuato in quattro anni, anziché tre, con un minimo di otto rate e un massimo di sedici.

Viene introdotto il principio del ‘lieve inadempimento’, secondo cui non è prevista la decadenza della rateizzazione nel caso di ritardo del versamento fino a 5 giorni, o di un minor versamento fino al 3% del dovuto con un limite massimo di 10.000 euro.

Riordino delle agenzie fiscali

L’obiettivo della legge delega è quello della revisione dell’organizzazione delle agenzie fiscali, a 15 anni dalle loro istituzione, in funzione del potenziamento dell’efficienza dell’azione amministrativa e della razionalizzazione della spesa. Il decreto prevede il riassetto dei servizi di assistenza, consulenza e controllo per facilitare gli adempimenti tributari, contribuire ad accrescere la competitività delle imprese italiane e favorire un forte richiamo degli investimenti in Italia.

Controlli meno invasivi: la riorganizzazione delle agenzie deve garantire un approccio collaborativo tra amministrazione fiscale, imprese e cittadini. La loro attività deve essere ispirata al principio del ‘controllo amministrativo unico’. In questo modo si evitano duplicazioni e sovrapposizioni e si riduce il disagio per l’attività dell’impresa.

Nell'operazione di riorganizzazione delle agenzie è prevista una riduzione dell’organico dirigenziale con la contestuale riattivazione delle procedure concorsuali.

Riforma del sistema sanzionatorio penale e amministrativo

Il decreto legislativo ha l’obiettivo di rivedere il sistema sanzionatorio penale e amministrativo per tenere conto dei comportamenti che, seppure illeciti, sono comunque privi di elementi fraudolenti e quindi meno gravi. Sono invece rese più severe le sanzioni penali in caso di comportamenti fraudolenti.

Stima e monitoraggio dell’evasione fiscale e monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale

Nel decreto si prevede di intervenire in modo continuativo e strutturale sul monitoraggio e sulla revisione delle cosiddette “spese fiscali”, sulla rilevazione e l’evoluzione dell’evasione fiscale e contributiva e dei risultati conseguiti nell'azione di contrasto inserendoli in modo sistematico nelle procedure di bilancio.

Contenzioso e interpello

L’intervento normativo si muove prevalentemente lungo le seguenti principali direttrici:
1) l’estensione degli strumenti deflattivi del contenzioso;
2) l’estensione della tutela cautelare al processo tributario;
3) l’immediata esecutività delle sentenze per tutte le parti.

Per ridurre il contenzioso tributario viene potenziato lo strumento della mediazione che attualmente riguarda solo gli atti posti in essere dall’Agenzia delle Entrate con valore non superiore ai 20.000 euro. Con il presente decreto il reclamo finalizzato alla mediazione si applica a tutte le controversie, indipendentemente dall’ente impositore, comprese quindi quelle degli enti locali. Il reclamo viene esteso anche alle controversie catastali (classamento, rendite, ecc) che a causa del valore indeterminato ne sarebbero state escluse. Dal punto di vista soggettivo il reclamo è esteso a Equitalia e ai concessionari della riscossione.

Lo strumento della conciliazione si applica anche al giudizio di appello (fino ad ora riguardava solo le cause di primo grado).

domenica 14 giugno 2015

Congedo parentale: come cambia con il Jobs act



I genitori possono chiedere il congedo parentale nei primi 12 anni di vita del figlio, non più solo nei primi otto, e il congedo a ore può essere utilizzato anche se non è previsto dal contratto collettivo di riferimento.

Tra le novità più importanti l'allungamento del tempo per fruire del congedo parentale. Quello facoltativo viene infatti portato da 3 a 6 anni e da 8 a 12 anni di età del bambino rispettivamente per quello retribuito al 30% e per quello non retribuito, la cui durata resta comunque di 6 mesi. Si riduce da quindici a cinque giorni il periodo di preavviso al datore di lavoro. Prevista anche la possibilità di 'trasformare' il congedo parentale in part-time al 50%.

Per quanto riguarda la conciliazione vita-lavoro, grosse novità sul congedo parentale che sarà più ampio per entrambi i genitori: si avrà il 30 per cento dello stipendio fino ai 6 anni del bambino , non più tre, e permessi non retribuiti fino a 12 anni invece che 8. Prevista inoltre la possibilità di trasformare il congedo in contratto part time.

Ricordiamo che il congedo parentale prevede la retribuzione al 30% dello stipendio, può arrivare complessivamente a dieci mesi cumulando i periodi presi dai due genitori (elevabile a 11 se il padre prende almeno tre mesi), con un tetto di sei mesi per la madre e di sette per il padre (se c’è un solo genitore, può prendersi tutti i dieci mesi).

La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadri settimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. Da sottolineare, tuttavia, che non si può cumulare il congedo a ore con permessi o riposi. Prima, la fruizione su base orario del congedo parentale era demandata alla contrattazione collettiva (comma 1- bis dell’articolo 32), quindi in pratica questo diritto non era esercitabile in mancanza di riferimenti nel contratto.

Il genitore deve comunicare all’azienda l’intenzione di andare in congedo parentale con l’anticipo previsto dal contratto, e comunque con un termine di preavviso non inferiore a cinque giorni indicando l’inizio e la fine del periodo di congedo: anche questa è una novità, prima il preavviso minimo era di 15 giorni. Se il congedo parentale è su base oraria, il preavviso minimo è invece di due giorni.

Per quanto riguarda il trattamento economico, la retribuzione al 30% che prima era assicurata solo in caso di godimento nei primi tre anni di vita del bambino viene ora portata a sei anni. Decade la norma in base alla quale, dopo questo periodo (i primi sei anni del figlio) il diritto successivi in caso di reddito inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione.

Entrambi i genitori possono chiedere al posto del congedo parentale la trasformazione temporanea del contratto di lavoro in part-time, ossia a tempo parziale.

Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, la trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time, in luogo del congedo parentale, per un periodo di tempo corrispondente e una riduzione di orario non superiore al 50%. Il congedo parentale può durare per i due genitori al massimo 10 mesi, con un tetto di 6 mesi per ciascuno di essi. Se ne deduce che i limiti temporali di questa alternativa: 10 mesi complessivi da dividere fra i due genitori, con limite di 6 ciascuno.

C’è poi un’altra disposizione in base alla quale il lavoratore o lavoratrice con un figlio convivente di età superiore a 13 anni, o portatore di handicap hanno la priorità nella trasformazione del contratto da tempo pieno a part-time. Anche questo, dunque è una nuova possibilità di utilizzo del part-time per andare incontro a particolari esigenze legate alla genitorialità.

La nuova legge sul lavoro prevede il diritto di chiedere prioritariamente il part-time per una serie di esigenze di carattere familiare legate non solo alla presenza di figli: lavoratori affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti che riducano la capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti delle terapie salvavita, patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative riguardanti il coniuge, i figli o i genitori, necessità di assistenza di una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100%.



martedì 19 maggio 2015

Lavoro intermittente e accessorio le novità 2015



Con il contratto di lavoro intermittente il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro per l'esecuzione di attività che hanno la caratteristica di non essere continuative. L'imprenditore si rivolge infatti al lavoratore soltanto nel momento in cui ha bisogno che quella data attività venga svolta. Per questo motivo il lavoro intermittente viene anche definito lavoro a chiamata o job on call.

Sale a 7mila euro il tetto per il lavoro accessorio, poche modifiche al lavoro intermittente: guida alle novità della Riforma dei Contratti del Jobs Act.

Lavoro intermittente

Il lavoro intermittente prevede un contratto (che può essere anche a tempo determinato), attraverso il quale il lavoratore si mette a disposizione dell’azienda per determinate esigenze, che devono essere precisamente normate dai contratti collettivi di lavoro. Le prestazioni sono di carattere discontinuo o intermittente. Il contratto è sempre applicabile a persone con più di 55 anni o fino a 24 anni (per la precisione, entro il compimento del 25esimo anno di età). Il lavoro intermittente ha un limite massimo di 400 giornate nell’arco di tre anni, se questo limite viene superato scatta la trasformazione a tempo indeterminato. Non si può ricorrere al lavoro intermittente per sostituire lavoratori in sciopero o presso unità produttive in cui nei sei mesi precedenti siano stati applicati ammortizzatori o riduzioni di orario, o effettuati licenziamenti, relativi a personale con le stesse mansioni.

Il contratto di lavoro intermittente va stipulato in forma scritta, deve contenere una serie precisa di informazioni (durata modalità della disponibilità, trattamento economico, luogo di lavoro). E’ garantita un’indennità mensile di disponibilità, la cui misura è prevista dai contratti collettivi o da apposito decreto ministeriale. Se il lavoratore nel periodo di disponibilità rifiuta di rispondere alla chiamata del datore di lavoro in modo ingiustificato, sussiste motivo di licenziamento, con la restituzione della quota di indennità di disponibilità eventualmente incassata. Il trattamento economico del lavoratore intermittente non può essere inferiore a quello dei colleghi di pari livello, a parità di mansioni svolte.

Il lavoro accessorio è una forma speciale di lavoro occasionale che serve a dare una risposta alle esigenze del datore di lavoro che si trova ad affrontare esigenze professionali e produttive di carattere saltuario. Questo tipo di rapporto viene consentito in presenza di una serie di limiti retributivi. Il pagamento dell'attività lavorativa avviene tramite degli appositi voucher, buoni cartacei di un determinato valore determinato dal Ministero del Lavoro.

Il numero massimo dei dipendenti assoggettabili a contratto a termine in un’azienda è pari al 20% delle risorse aziendali. Se il datore di lavoro supera tale soglia è soggetto a una sanzione amministrativa ma non ha l’obbligo di trasformare i contratti a termine in sovrannumero in contratti a tempo indeterminato.

Lavoro accessorio

Le norme relative al lavoro accessorio sono contenute negli articoli da 51 a 54 del decreto di riordino delle tipologie contrattuali. Innanzitutto, viene alzata a 7mila euro (dagli attuali 5mila) la soglia sopra la quale non è possibile applicare questi contratti. Questo tetto riguarda la totalità dei committenti nel corso dell’anno, mentre per ogni singolo datore di lavoro il limite massimo è pari a 2mila euro. Le prestazioni di lavoro accessorio possono essere di natura autonoma o subordinata. Chi percepisce prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, come gli ammortizzatori sociali, può avere contratti di lavoro accessorio fino a una soglia massima di 3mila euro annui. Sarà l’INPS a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alla prestazione erogata gli accrediti relativi alle prestazioni di lavoro accessorio.

Il lavoro accessorio è invece vietato in caso di appalti, le eventuali eccezioni vanno stabilite con apposito decreto ministeriale. Infine, ci sono regole particolari per l’agricoltura: in questo settore, il lavoro accessorio è consentito per le attività di carattere stagionale effettuate da pensionati o giovani sotto i 25 anni iscritti a scuola, oppure in qualsiasi periodo dell’anno per gli iscritti all'università, o ancora per attività rese nei confronti di produttori con volume d’affari sotto i 7mila euro.

Il lavoro accessorio è retribuito attraverso i voucher, che il committente acquista in modalità telematica presso il sito INPS. Se il datore di lavoro non è un imprenditore o un professionista, può acquistare i voucher anche presso le rivenditore autorizzate. Ogni buono ha un valore nominale di 10 euro, riferito alla retribuzione oraria (per eventuali variazioni, è necessario un apposito decreto ministeriale).

Se il committente è un’impresa o un professionista, deve comunicare alla Direzione Territoriale del Lavoro competente dati anagrafici e luogo della prestazione di lavoro nei trenta giorni successivi.

I compensi da lavoro accessorio sono esenti da imposizione fiscale, e non incidono sullo status di disoccupato o inoccupato. Il datore di lavoro versa i contributi INPS alla gestione separata, pari al 13% del valore nominale del buono, e quelli all’INAIl contro gli infortuni sul lavoro, pari al 7%.

Vengono confermati i voucher, o buoni lavoro, come strumenti di pagamento del lavoro accessorio e viene prevista la comunicazione obbligatoria alla Direzione Territoriale del Lavoro entro 30 giorni dall’inizio dell’attività. Il lavoro accessorio viene vietato nell’ambito dell’esecuzione degli appalti.




domenica 3 maggio 2015

Indennità di disoccupazione Naspi e rapporto di lavoro



Se un lavoratore, in corso di fruizione della Naspi, instauri un rapporto di lavoro subordinato o intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale.

Con riferimento ai rapporti di lavoro subordinati, se il reddito annuale risulti essere superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, non riceve più la prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi poiché, in tal caso, la prestazione viene sospesa d’ufficio e riprende una volta cessato il rapporto di lavoro. Qualora invece il reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione, la Naspi viene ugualmente erogata, a condizione che il lavoratore comunichi all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto oltre che la non coincidenza del datore di lavoro attuale con il datore di lavoro per il quale il lavoratore è stato impiegato per il periodo che ha determinato il diritto al riconoscimento dell’indennità.

Da ultimo, se il lavoratore è impiegato con due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale e cessi da uno dei rapporti il cui reddito sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato disoccupazione, ha diritto, ricorrendo tutti gli altri requisiti previsti, a percepire la Naspi, ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto (rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno). Ad ogni modo, il soggetto beneficiario ha l’obbligo di comunicare all’Inps, entro un mese dall’inoltro dalla domanda di prestazione, il reddito annuo previsto.

Diversamente da quanto sopra visto, il lavoratore che intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale, che generi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve darne tempestiva comunicazione all’Inps (entro un mese dall’inizio dell’attività), dichiarando il reddito annuo che prevede di perseguire.

La prestazione è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina i l periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno; detta riduzione è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.

I lavoratori non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in alternativa, devono presentare all’Inps un’apposita autodichiarazione del reddito ricavato dall’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, entro il 31 marzo dell’anno successivo; in ipotesi contraria, occorrerà restituire la Naspi percepita dall’inizio dell’attività autonoma.

Autoimprenditorialità
Il Decreto offre la possibilità al lavoratore di chiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, dell’importo del trattamento spettante residuo, allo scopo di intraprendere un’attività di lavoro autonomo in forma di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio. Tale ipotesi non dà diritto alla contribuzione figurativa e agli assegni familiari.
Ad ogni modo, entro 30 giorni dalla data di inizio dell’attività autonoma o di impresa individuale o alla data di sottoscrizione di una quota di capitale sociale della cooperativa, deve essere fatta esplicita richiesta all’Inps.
Tuttavia, l’anticipazione ottenuta, deve essere restituita qualora, prima della scadenza del termine di fruizione della Naspi, il lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato; fanno eccezione i rapporti di lavoro subordinato instaurati con la cooperativa con la quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.

Compatibilità e cumulabilità
Di seguito vediamo cosa accade se un lavoratore, in corso di fruizione della Naspi, instauri un rapporto di lavoro subordinato o intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale.

Con riferimento ai rapporti di lavoro subordinati, se il reddito annuale risulti essere superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, non riceve più la prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi poiché, in tal caso, la prestazione viene sospesa d’ufficio e riprende una volta cessato il rapporto di lavoro. Qualora invece il reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione, la Naspi viene ugualmente erogata, a condizione che il lavoratore comunichi all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto oltre che la non coincidenza del datore di lavoro attuale con il datore di lavoro per il quale il lavoratore è stato impiegato per il periodo che ha determinato il diritto al riconoscimento dell’indennità. Da ultimo, se il lavoratore è impiegato con due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale e cessi da uno dei rapporti il cui reddito sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato disoccupazione, ha diritto, ricorrendo tutti gli altri requisiti previsti, a percepire la Naspi, ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto (rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno). Ad ogni modo, il soggetto beneficiario ha l’obbligo di comunicare all’Inps, entro un mese dall’inoltro dalla domanda di prestazione, il reddito annuo previsto.

Diversamente da quanto sopra visto, il lavoratore che intraprenda un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale, che generi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve darne tempestiva comunicazione all’Inps (entro un mese dall’inizio dell’attività), dichiarando il reddito annuo che prevede di perseguire.

La prestazione è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina i l periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno; detta riduzione è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.

I lavoratori non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in alternativa, devono presentare all’Inps un’apposita auto dichiarazione del reddito ricavato dall'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, entro il 31 marzo dell’anno successivo; in ipotesi contraria, occorrerà restituire la Naspi percepita dall'inizio dell’attività autonoma.

Decadenza
Il lavoratore perde il diritto di fruire della prestazione a causa:
• della perdita dello status di disoccupato;
• dell’inizio di un’attività di lavoro subordinato o autonomo senza effettuare le comunicazioni di cui sopra;
• del raggiungimento dei requisiti per il pensionamento;
• dell’acquisizione del diritto all'assegno ordinario di invalidità (salvo optare per la NASPI).

Contribuzione figurativa
La contribuzione figurativa equivale alla retribuzione imponibile previdenziale degli ultimi 4 anni, entro un limite di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della prestazione.

Le retribuzioni non sono conteggiate ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile laddove siano di importo inferiore alla retribuzione media ottenuta senza tener conto di tali retribuzioni.



Tutele per il lavoro dal 1° maggio 2015



Per ammortizzatori sociali si intende il complesso di misure adottate dagli organi governativi che hanno lo scopo di sostenere economicamente tutti coloro che vivono una situazione di disoccupazione. In questa sezione del sito trovi tutte le notizie relativi agli interventi di sostegno al reddito adottati sia a livello nazionale che a livello regionale, come accedere e le novità 2015.

Quindi diventano operativi i nuovi ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro. Aspi e mini Aspi lasciano il posto a una nuova prestazione di sostegno al reddito chiamata Naspi che interessa tutti coloro che, avendone i requisiti, perdono involontariamente il lavoro. La cassa integrazione sarà sottoposta a nuove regole che ne escludono il ricorso in caso di cessazione definitiva di attività aziendale o di un ramo di essa.

Una profonda rivisitazione è affidato  al capitolo dedicato alle tutele contro la disoccupazione involontaria. Ci saranno tre nuove tutele per chi resta senza lavoro.

La Nuova Aspi - Dall'Aspi, targata Fornero, si passerà alla Naspi, acronimo che sta per Nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego, che prevede una indennità mensile di disoccupazione per tutti i lavoratori dipendenti, esclusi quelli della pubblica amministrazione (qui i dettagli sui lavoratori beneficiari). Sarà riconosciuto ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che siano in stato di disoccupazione e che possano far valere, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione, nonché possano far valere diciotto giornate di lavoro effettivo o equivalenti, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

Il sussidio verrà pagato mensilmente sino ad massimo di due anni, e sarà rapportato alla retribuzione degli ultimi quattro anni (nel 2015 non potrà comunque essere superiore a 1.300 euro) (vedi come si calcola l'importo della Naspi). La durata del sussidio è pari alla metà delle settimane lavorate negli ultimi quattro anni fino a 24 mesi, ovvero 6 in più rispetto ai 18 previsti a regime dall'Aspi Fornero.

L'Assegno di disoccupazione - La seconda novità introdotta col Jobs act è l'Asdi, una sigla che sta per Assegno di disoccupazione. Sarà concesso, in via sperimentale per il prossimo anno, a tutti coloro per cui il periodo coperto dalla Naspi è passato invano e si trovano in condizioni di particolare necessità. In pratica un'ulteriore forma di sostegno al reddito, elargita a lavoratori in «condizione economica di bisogno». E una via preferenziale verrà riservata ai lavoratori che hanno minorenni a carico o a coloro a cui manca poco al pensionamento. Infatti nel primo anno di attuazione, gli aiuti saranno prioritariamente riservati ai lavoratori in età vicina al pensionamento, ma che non hanno ancora maturato i requisiti necessari alla messa a riposo. Sei mesi la durata dell'assegno.

Il sostegno economico sarà condizionato all’adesione ad un progetto personalizzato redatto dai competenti servizi per l’impiego contenente specifici impegni in termini di ricerca attiva di lavoro, disponibilità a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione, accettazione di adeguate proposte di lavoro. La partecipazione alle iniziative di attivazione proposte sarà obbligatoria, pena la perdita del beneficio.

L'indennità per i parasubordinati - Infine c'è la Dis-Coll, un ammortizzatore sociale di 6 mesi dedicato ai precari. Per il 2015 avranno una indennità mensile di disoccupazione anche i collaboratori, continuativi o a progetto (co.co.co. e co.co.pro.), grazie all'esordio della Dis-Coll. Questa indennità vale per gli iscritti alla Gestione separata Inps (esclusi pensionati e partite Iva) e quanti potranno far valere almeno 3 mesi di contribuzione nell'anno precedente, o 1 mese di contribuzione nell'anno in corso. L'importo del sussidio, la cui durata non potrà superare i 6 mesi, sarà rapportato al reddito e graduato con gli stessi meccanismi della Naspi, cioè fino a un massimo di 1.300 euro, con una riduzione del 3% mensile dal quarto mese. Inoltre l'erogazione è subordinata dalla frequenza di percorsi di riqualificazione.

Come viene calcolata e in che misura

La Naspi è rapportata alla retribuzione imponibile degli ultimi quattro anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il coefficiente 4,33. In ipotesi in cui la retribuzione mensile, per l’anno 2015 (l’importo è rivalutato annualmente sulla base dell’indice Istat) sia pari o inferiore a euro 1195/mensili, l’indennità mensile equivale al 75% della retribuzione; diversamente, qualora la retribuzione mensile sia superiore al suddetto importo, l’indennità equivale al 75% della retribuzione, incrementata di una somma pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e l’importo di euro 1195,00.

Ad ogni modo l’importo erogato non potrà superare i 1300,00 euro (rivalutabili annualmente in base all’indice Istat).

La Naspi viene erogata mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Tuttavia, si tenga presente che non rientrano nel computo dell’indennità i periodi che in precedenza hanno dato luogo all’erogazione di prestazioni.

A far data dal 1° gennaio 2017, la durata massima sarà di 78 settimane.

La domanda deve essere presentata all’Inps tramite i canali telematici, entro il termine perentorio di 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro; l’Inps provvederà poi ad erogare l’indennità a decorrere dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o dal primo giorno successivo alla data di inoltro della domanda, qualora la stessa venga presentata oltre il predetto termine.

La norma subordina l’erogazione della prestazione al rispetto di alcune condizioni:

• regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale (articolo 1, comma 2, lettera g), Decreto Legislativo n. 181/2000, e successive modificazioni);

• ricerca attiva di un’occupazione e reinserimento nel tessuto produttivo (articolo 1, comma 3, Legge n. 183/2014).

Il Decreto offre la possibilità al lavoratore di chiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, dell’importo del trattamento spettante residuo, allo scopo di intraprendere un’attività di lavoro autonomo in forma di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio. Tale ipotesi non dà diritto alla contribuzione figurativa e agli assegni familiari.

Ad ogni modo, entro 30 giorni dalla data di inizio dell’attività autonoma o di impresa individuale o alla data di sottoscrizione di una quota di capitale sociale della cooperativa, deve essere fatta esplicita richiesta all’Inps.

Tuttavia, l’anticipazione ottenuta, deve essere restituita qualora, prima della scadenza del termine di fruizione della Naspi, il lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato; fanno eccezione i rapporti di lavoro subordinato instaurati con la cooperativa con la quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.



lunedì 23 febbraio 2015

Riforma del lavoro per l’anno 2015 come cambiano i contratti dì lavoro



Cambiano i contratti di lavoro con approvazione decreti attuativi del Jobs Act, dal primo marzo sarà ufficialmente in vigore. Per lo meno, lo saranno i primi due decreti che il governo ha portato oggi in Consiglio dei ministri, a conclusione di una maratona parlamentare durata quasi due mesi.

Riforma dei contratti (con la nuova disciplina che apre al demansionamento), via libera definitivo al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (con le novità in materia di licenziamenti) e ai nuovi ammortizzatori, misure di flessibilità su conciliazione tempi lavoro-famiglia, a partire da congedi di maternità, paternità e parentali.

Via libera al contratto a tutele crescenti, al riordino delle forme contrattuali e all'abolizione dei contratti di collaborazione a progetto, co.co.pro, e restano i contratti a termine per u massimo di 36 mesi. Nel caso dei co.co.pro, resteranno in vita solo quelli in essere e saranno totalmente aboliti dal primo gennaio 2016, sostituiti dal nuovo contratto a tutele crescenti, contratto a tempo indeterminato e che prevede sgravi contributivi per tre anni per le aziende che assumono.

Significa che  nei casi, come riporta il provvedimento, di ‘modifica degli assetti organizzativi’, le imprese potranno decidere di spostare il lavoratore da un ruolo operativo ad un altro, senza però modificarne il livello di inquadramento o la retribuzione che si percepisce al momento del cambio di mansione. Considerando che, come spiegano diversi esperti, in questo momento di crisi le aziende hanno bisogno di flessibilità nella gestione dei propri lavoratori, questa soluzione è quella giusta che permetterà così proprio quella flessibilità organizzativa necessaria.

In realtà resteranno comunque in vigore altre formule di precariato, come il lavoro a chiamata, i voucher, il lavoro interinale, senza contare che rimarranno 5 i rinnovi di contratti a termine nell’arco di 36 mesi, prima di definire l’assunzione a tempo indeterminato.

“Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”. Il vecchio rapporto di assunzione stabile muterà forma, sotto la sigla del neonato contratto a tutele crescenti, che verrà attivato essenzialmente per le nuove assunzioni nel settore privato.

Confermate le modifiche al licenziamento di tipo economico e disciplinare, che costituiranno, secondo precisi criteri, modalità sufficienti a evitare il diritto al reintegro. Rimane inalterato il licenziamento discriminatorio.

Il decreto legislativo elimina quasi definitivamente i contratti di collaborazione a progetto, che a partire dal primo gennaio 2016 si trasformeranno in contratti a tempo indeterminato, restano alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa, legati a particolari settori (ad esempio i call center) o tipologie professionali (i professionisti iscritti agli Ordini). In estrema sintesi, la regola è la seguente: quando il decreto entrerà definitivamente in vigore (fra un paio di mesi), le imprese non potranno più stipulare nuovi contratti di collaborazione a progetto, mentre quelli in essere proseguiranno fino alla loro scadenza. Poi, dall’1 gennaio 2016, i contratti di collaborazione «con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro» dovranno diventare rapporti a tempo indeterminato ai quali si applicheranno quindi le nuove tutele crescenti.

Spariscono il contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro e il job sarin , mentre resta sostanzialmente il contratto a tempo determinato (che quindi è applicabile per 36 mesi, tre anni, senza causale). È ampliato il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing), che non necessita più di causali e si può stipulare con un limite fissato al 10% del totale dei contratti a tempo indeterminato esistenti in azienda.

Novità sul part-time: in mancanza di regole precise fissate dai contratti collettivi, vengono stabilite per legge le modalità applicative: il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare, le parti possono pattuire clausole elastiche e flessibili in materia ad esempio di orario di lavoro. Viene infine previsto per il lavoratore il diritto a chiedere il part-time per necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa al congedo parentale.

Lavoro accessorio: elevato a 7mila euro il tetto massimo dell’importo, viene introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata.

La nuova disciplina delle mansioni introduce la possibilità di demansionamento del lavoratore, vietata dallo Statuto dei Lavoratori, in particolare, in presenza di ristrutturazione aziendale e in altri casi individuati dai contratti collettivi, l’impresa può modificare le mansioni del dipendente, limitatamente a un livello e senza diminuire lo stipendio. È anche possibile contrattare individualmente con il dipendente (in sede protetta, quindi attraverso una specifica procedura) modifica delle mansioni e del livello di inquadramento (e di retribuzione), «nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita».

Un’altra delega interviene sui congedi di maternità, paternità e congedi parentali e introduce novità in materia di telelavoro e donne vittime di violenza di genere. Per quanto riguarda i congedi di maternità, diventa più flessibile la possibilità di godere dei giorni di astensione obbligatoria non goduti in caso di parto prematuro, che possono essere fruiti successivamente, anche superano il limite dei cinque mesi. Prevista la possibilità, per la madre, di sospendere la maternità in caso di ricovero del neonato(previo certificato medico che attesti la buona salute della madre).

Il congedo di paternità è esteso a tutti i lavoratori (ora è previsto solo per i dipendenti): anche gli autonomi quindi possono utilizzarlo, nel caso in cui la madre non usufruisca del congedo di maternità.

Il congedo parentale è esteso ai primi 12 anni di vita del bambino (dagli attuali otto). Ampliati anche il congedo parzialmente retribuito al 30%, dagli attuali tre anni a sei anni di vita del bambino, e quello non retribuito, fino a 12 anni di vita del bambino (dagli attuali sei). Infine, sono introdotte nuove norme per tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali.

In tema di telelavoro, previste agevolazioni per i datori di lavoro privati che lo concedano andando incontro alle esigenze di cure parentali dei dipendenti.

Infine, è previsto un nuovo congedo, di tre mesi, per le donne vittime di violenza di genere e inserite in percorsi di protezione debitamente certificati. La lavoratrice (dipendente o collaboratrice a progetto) mantiene l’intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi, e ha il diritto di chiedere la trasformazione del contratto in part-time.



giovedì 29 gennaio 2015

False Partite IVA dal 2015 cosa accadrà?



False Partite Iva, a partire dal prossimo 1 gennaio scatteranno le verifiche previste dalla Riforma Fornero dopo due anni dalla sua entrata in vigore. Di fatto, con il nuovo anno gli ispettori del lavoro potranno applicare alle partite Iva la presunzione di collaborazione coordinata e continuativa: ecco, quindi, soggetti interessati, sanzioni ed eccezioni.

Quindi scaduti i due anni dalla Riforma del Lavoro Fornero per i controlli sulla genuinità dei rapporti autonomi, per stanare le false partite IVA: cosa succede dal 2015.

Le norme contro il fenomeno delle false partita IVA sono contenute nella Riforma del Lavoro Fornero dell’estate 2012 ma, di fatto, iniziano a produrre risultati concreti sul fronte dei controlli a partire dal 2015. È infatti scaduto anche l’ultimo termine per la completa applicabilità della norma, il 31 dicembre 2014, per valutare l’eventuale monocommittenza, uno dei paletti contro le false Partite IVA. Quindi i controlli possono ora verificare a 360 gradi la genuinità o meno del rapporto di lavoro autonomo.

Il riferimento legislativo è il comma 26 dell’articolo 1 della legge 92/2012, che introduce la norma, che in base alla quale scatta automaticamente la presunzione di subordinazione se il contratto a partita IVA e prevede almeno due delle seguenti caratteristiche:

collaborazione con il medesimo committente di durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;

il corrispettivo, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisce almeno l’80% del totale annuo percepito dal collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi;

postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.

Attenzione: gli otto mesi vanno calcolati in base a ciascun anno civile (quindi, dal primo gennaio al 31 dicembre). Lo prevede specificamente la circolare applicativa del Ministero del Lavoro (circolare 32/2012).

Considerando che la durata convenzionale di un mese è 30 giorni, significa che la collaborazione è durata per almeno 241 giorni nel corso del 2013 e altrettanti nel 2014. Visto che la legge è entrata in funzione a metà 2012, il primo anno civile utile per questo parametro è stato il 2013.

Per quanto riguarda invece il parametro economico (almeno l’80% delle Entrate dei due anni), il riferimento diventa invece l’anno solare, quindi si calcolano due periodi consecutivi di 365 giorni. Esempio: un collaboratore che il 31 marzo 2016 volesse far valere la presunzione di subordinazione, deve dimostrare che gli introiti hanno rappresentato l’80% delle sue entrate per l’anno dal 31 marzo 2014 alla stessa data del 2015 e per il successivo, dal 31 marzo 2015 alla stessa data 2016.

Qui, c’è un’ulteriore precisazione: per un ricorrente che volesse far coincidere la condizione legata alla durata della prestazione (otto mesi per due anni) e quella economica (l’80% dei compensi per due anni), il Ministero ritiene che «il criterio dell’anno civile attragga» quello reddituale. In pratica, in questo 2015 si considerano i due anni dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2014.

Ricordiamo brevemente cosa prevede la legge nei casi in cui, alla fine, si riscontri che la partita IVA è effettivamente falsa: immediatamente gli ispettori considerano la prestazione come una collaborazione a progetto oppure, se non sussistono le condizioni per la collaborazione a progetto, come un contratto da dipendente a tempo indeterminato.

Ci sono deroghe ed eccezioni: resta sempre possibile un rapporto a partita con professionisti iscritti all'Albo, lavoratori con competenze teoriche elevate o particolari capacità tecnico-pratiche, titolari di reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile previdenziale (19.395 euro per il 2014).

I soggetti che potranno subire questi controlli da parte degli ispettori del lavoro sono i lavoratori autonomi (non imprese) titolari di partita Iva.

Ma che succede se la partita Iva è trasformata in collaborazione?
La co.co.co per essere legittima deve avere un “progetto”: se questo manca, scatterà la sanzione della conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Se, invece, il progetto c’è la collaborazione darà vita a una “co.co.pro con Partita Iva”.

In ogni caso, il meccanismo della “presunzione” non riguarda due tipologie ben precise:

le partite Iva riferite a prestazioni con elevate competenze tecnico-pratiche, svolte da soggetti con reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il minimale contributivo di artigiani e commercianti;

e prestazioni lavorative relative ad attività professionali per le quali è prevista l’iscrizione a ordini, registri o albi.



domenica 28 dicembre 2014

Licenziamenti collettivi cosa cambia dal 2015




Si parla di licenziamento collettivo per indicare l'ipotesi nella quale una impresa, per motivi di crisi, di ristrutturazione aziendale o di chiusura dell'attività, effettua una importante riduzione del personale. I licenziamenti collettivi sono possibili soltanto in casi specifici individuati dalla legge e unicamente dopo la conclusione di un complesso procedimento al quale prendono parte anche le rappresentanze sindacali. Il datore di lavoro non è libero nella scelta dei lavoratori da licenziare dal momento che la legge stabilisce dei criteri ai quali questo deve attenersi nel predisporre la lista dei dipendenti interessati.

Il licenziamento collettivo (o più correttamente la procedura di mobilità) è il fenomeno per il quale una impresa opera una riduzione significativa del personale in un contesto di crisi, a seguito di una ristrutturazione produttiva oppure in vista della chiusura definitiva dell’azienda. Il licenziamento collettivo, disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, si realizza attraverso una complessa procedura che può essere attivata soltanto in presenza di condizioni stabilite dalla legge.

La disciplina prevede che l’impresa possa attivarsi in questo senso quando:

sta beneficiando di strumenti di integrazione salariale come la Cassa Integrazione e ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non potere utilizzare misure alternative;

l’impresa (che ha più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti) decide di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni in vista della cessazione dell’attività o di una ristrutturazione della produzione.

I licenziamenti collettivi sono disciplinati dalla legge 223 del 1991 e scattano quando l’impresa intende effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o più unità produttive nell’ambito della stessa provincia. Attualmente, in base alla 223,esistono due differenze regimi sanzionatori in caso di licenziamento illegittimo. Se si violano i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare l’impresa è punita con la reintegrazione (risarcimento fino a dodici mesi). Per tutti gli altri casi di errori nella procedura è previsto il pagamento di un indennizzo.

Con le nuove regole in via di approvazione in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario. In questo modo ci saranno sanzioni monetarie (e non la reintegra) in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta,quando a essere irregolarmente licenziati, nel quadro di una riduzione del personale, sono dipendenti assunti con il contratto a tutele crescenti.

La novità predominante è che i lavoratori licenziati collettivamente si applicherà il contratto di ricollocazione, e pertanto anche loro avranno diritto ad avere assistenza presso i centri per l’impiego e ottenere il voucher da spendere per trovare un nuovo impiego.

Le modifiche non riguardano invece i dirigenti e quanti risultano già contrattualizzati. Ma c’è un’eccezione, quella di lavoratori che si ritrovino in aziende dove viene superato il limite dei 15 dipendenti: il neoassunto sarà a tutele crescenti e trascinerà con se nel nuovo regime anche gli altri, pur se “veterani”. Ciò ricordando che l’articolo 18 sinora non è mai stato applicato alle piccole imprese.

La riassunzione vale anche per i licenziamenti disciplinari dove il fatto “materiale” (deve dunque avere concretezza) è dimostrato insussistente. In tutte le altre situazioni, quindi in quel che resta dei casi disciplinari e in quelli economici, tutto si risolve con un indennizzo, che va da un minimo di 4 mensilità a un massimo di 24, ridotte a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti. Che infatti danno la loro approvazione in modo deciso e con un sondaggio della Cna sottolineano che «rende i contratti più stabili». Rimane la possibilità di percorre la strada della conciliazione, accettando un assegno di massimo 18 mensilità esentasse.

Un articolo del decreto è poi riservato appunto ai licenziamenti collettivi: anche per questi scatta l’indennizzo se vengono vìolate le procedure che regolano lo strumento.



martedì 16 dicembre 2014

Riforma del lavoro per il 2015 le deleghe al governo



In Gazzetta Ufficiale le deleghe al Governo per la riforma del lavoro, i decreti attuativi dovranno essere emanati entro sei mesi dalla pubblicazione in Gazzetta e quindi entro il 16 giugno 2015.

Il Parlamento ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 290 del 15 dicembre 2014, la L. 10 dicembre 2014, n. 18, contenente le deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. La legge è vigente dal 16 dicembre 2014.

La presente Legge Delega contiene cinque deleghe legislative, che intervengono su importanti e vasti ambiti del diritto del lavoro:

delega in materia di ammortizzatori sociali, finalizzata a razionalizzare le forme di tutela esistenti, differenziando l’impiego degli strumenti di intervento in costanza di rapporto di lavoro (Cassa Integrazione) da quelli previsti in caso di disoccupazione involontaria (ASpI). Lo scopo è quello di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, con tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, nonché di razionalizzare la normativa in materia d’integrazione salariale;

delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, avente lo scopo di riordinare la normativa in materia di servizi per il lavoro, per garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politiche attive del lavoro su tutto il territorio nazionale, razionalizzando gli incentivi all'assunzione e all’autoimpiego e istituendo una cornice giuridica nazionale che faccia da riferimento anche per le normative regionali e provinciali. La delega prevede, in particolare, con l’obiettivo di unificare la gestione delle politiche attive e passive, l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione (con competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI, con il contestuale riordino degli enti operanti nel settore) e il rafforzamento dei servizi per l’impiego, valorizzando le sinergie tra servizi pubblici e privati; si prevedono, inoltre, la valorizzazione delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche attive per il lavoro e interventi di semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive;

delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti, per conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese. In particolare, si vuole diminuire il numero di atti amministrativi inerenti il rapporto di lavoro, attraverso specifiche modalità (ad es. l’unificazione delle comunicazioni alle P.A. per gli stessi eventi, l’obbligo di trasmissione di dati tra le diverse amministrazioni, l’abolizione della tenuta di documenti cartacei e la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino);

delega in materia di riordino delle forme contrattuali e dell’attività ispettiva, finalizzata a rafforzare le opportunità d’ingresso nel mondo del lavoro e ai riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo, nonché a rendere più efficiente l’attività ispettiva. In particolare, si prevede la redazione di un testo organico di disciplina delle varie tipologie contrattuali (con possibilità di superamento di alcune di esse); la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio; l’introduzione, anche in via sperimentale, del compenso orario minimo; la ridefinizione della disciplina vigente in materia di mansioni (con la possibilità di “demansionamenti”) e controllo a distanza dei lavoratori;

delega in materia di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, avente lo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori. A tal fine si prevede, in particolare, l’estensione del diritto alla prestazione di maternità alle lavoratrici madri cd. “parasubordinate”; l’introduzione di un credito d’imposta per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o disabili non autosufficienti (al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo) e l’armonizzazione del regime delle detrazioni (dall’imposta sui redditi) per il coniuge a carico; la promozione del telelavoro; l’incentivazione di accordi collettivi volti a facilitare la flessibilità dell’orario di lavoro e l’impiego di premi di produttività; la possibilità di cessione dei giorni di ferie tra lavoratori per attività di cura di figli minori; la promozione dell’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle aziende e dagli enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona.

In arrivo quindi il decreto attuativo con la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti. L'obiettivo è di agevolare le nuove assunzioni dall'inizio del 2015 con le agevolazioni della legge di stabilità, che destina fino a 8.060 euro l'anno per gli sgravi contributivi dei neoassunti con la nuova tipologia contrattuale (per un triennio), e con l'abbattimento della componente lavoro dalla base imponibile Irap per i contratti a tempo indeterminato.

La Legge Delega contiene cinque deleghe legislative, che intervengono su importanti e vasti ambiti del diritto del lavoro:

Una scheda di sintesi delle cinque deleghe con i tempi di attuazione

Delega in materia di ammortizzatori sociali           6 mesi

Delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive   6 mesi


Delega per la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti relativi alla costituzione ed alla gestione dei rapporti di lavoro          6 mesi

Delega per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti nonché per la razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva              6 mesi

Delega per la revisione e l’aggiornamento delle misure intese a sostenere le cure parentali ed a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro                6 mesi.




venerdì 28 novembre 2014

Le modifiche all'articolo 18 e la nuova riforma del lavoro



L'articolo 18 dell'attuale Statuto dei Lavoratori, va a determinare nel sistema contrattuale italiano la cosiddetta tutela reale, in particolare ne disciplina il caso in cui il licenziamento di un singolo lavoratore è da considerarsi non legittimo, in quanto effettuato senza averne comunicato le motivazioni, oppure perché trattasi di licenziamento ingiustificato o discriminatorio.

E bene ricordare che il parlamento affiderà al governo una delega per intervenire sul mercato del lavoro, riformando gli ammortizzatori sociali, l’attività ispettiva, gli strumenti di tutela della maternità, ma soprattutto per riorganizzare i contratti, introducendo il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che avrà quindi bisogno di una riscrittura dell’art. 18, e introducendo un salario minimo («anche in via sperimentale»), e aprendo al demansionamento e al controllo a distanza dei lavoratori.

È utile fare un punto sulle differenze introdotte rispetto all’originaria disciplina e alle modifiche già introdotte dalla riforma Fornero. Il nuovo art.18 sarà applicato a chi firmerà un nuovo contratto, con la formula che il governo vorrebbe «prevalente», quello cioè a tempo indeterminato con tutele crescenti. Ci sono però tre tipi di licenziamenti: vediamo come funzionano nelle aziende con più di 15 dipendenti.

L’unico per cui non cambierà nulla è il licenziamento discriminatorio, quello cioè che un giudice stabilirà effettuato per motivi di religione, di orientamento sessuale, politici o sindacali, o ai danni di un lavoratore che si è sposato o che ha goduto di un congedo parentale. In questo caso il giudice dichiara nullo il licenziamento e impone di reintegrare il lavoratore e di corrispondere il pagamento degli stipendi persi dalla data di illegittima estromissione dal posto di lavoro. Era così prima della Fornero, sarà così dopo il Jobs act.

Il secondo tipo è il licenziamento disciplinare o per giustificato motivo soggettivo, quando cioè la responsabilità, sia legata a fatto specifico o al generale rendimento, viene imputata al lavoratore. Anche in questo caso il licenziamento può essere impugnato dal dipendente davanti a un giudice che dovrà stabilire se il fatto o la responsabilità imputata sussiste o meno. L’onere della prova è a carico del datore di lavoro. Se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, prima della riforma Fornero, il lavoratore aveva diritto ad essere reintegrato, nelle imprese con un numero di lavoratori superiore a 15 dipendenti mentre per quelle che impiegano un numero inferiori ai 15 dipendenti c'era una sanzione economica da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6 mensilità.

Con la riforma Fornero si era mantenuto la possibilità di reintegro (solo per le imprese con un numero di lavoratori superiore a 15 dipendenti) ma con una formulazione più stringente e, ovviamente, nel caso in cui i contratti collettivi prevedano una diversa sanzione: non il licenziamento ma, ad esempio, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per alcuni giorni. Negli altri casi un giudice può soltanto condannare il datore di lavoro a pagare al lavoratore una indennità che va da un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24 mensilità. Con il Jobs act, per questi licenziamenti, si vuole ridurre ulteriormente la discrezionalità del giudice.

Quello che cambierà di più è il licenziamento economico, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Prima della Fornero, anche in questo caso, se il datore di lavoro presentava una mutata esigenza produttiva, o una crisi, che il giudice valutava però non tale da giustificare il licenziamento, il lavoratore aveva diritto a ritornare al suo posto. Dopo Elsa Fornero il reintegro può avvenire solo se il motivo si rivela «manifestamente insussistente», con quindi una stretta anche in questo caso, altrimenti il lavoratore avrà diritto a un indennizzo economico compreso tra le 12 e le 24 mensilità.

Il Jobs act non prevede più il reintegro ma, con il contratto a tutele crescenti, vuole proprio evitare che per il licenziamenti economici si ricorra al giudice e quindi stabilirà nei decreti un’indennità prestabilita a cui il lavoratore avrà diritto in caso di licenziamento: crescerà al crescere dell’anzianità di servizio. Quindi con il contratto a tutele crescenti, le nuove regole escludono per i licenziamenti economici la possibilità della reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegra ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato (prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento). Saranno i decreti delegati a dover recepire questi principi. Con i decreti delegati dovrebbe arrivare, in sostanza, una tipizzazione delle fattispecie per arginare la discrezionalità dei giudici.

Obiettivo della delega è il riordino delle tipologie contrattuali esistenti. Per le nuove assunzioni ci sarà un contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti in base all'anzianità di servizio. Mentre si punta a una riduzione delle altre forme contrattuali, a partire dai cocopro.

Il ddl delega parla di «universalizzazione» il sussidio di disoccupazione dell'Aspi (Assicurazione sociale per l'impiego), con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (fino al superamento di questa forma contrattuale). L'obiettivo è di estendere questa tutela a una platea di almeno 300mila collaboratori, compresi quelli con carriere molto discontinue (3-4 mesi di contratti in due anni). Verranno unificate Aspi e mini-Aspi, rapportando la durata del trattamento «alla pregressa storia contributiva del lavoratore». Ci sarà anche un incremento della durata massima del sussidio per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti.

Le nuove regole previste dalla delega per la «disciplina dei controlli a distanza» delle attività produttive sono soft. Il governo potrà aprire all'uso delle telecamere o altre strumentazioni tecnologiche sui luoghi di lavoro che oggi sono espressamente vietate dallo Statuto dei lavoratori. Ma i controlli dovranno essere sui macchinari. Previsto un ruolo speciale delle commissioni parlamentare sulla verifica dei testi dei decreti delegati.

Si punta ad eliminare la cassa integrazione in caso di «cessazione di attività aziendale o di un ramo» della stessa. Ma le cessazioni dovranno essere «definitive». Quindi se sussistono concrete prospettive di proseguimento o di ripresa dell'attività l'erogazione della cassa integrazione potrà proseguire.

L'articolo 13 dello Statuto dei lavoratori prevede oggi che «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito». La delega prevede, invece, la possibilità di una nuova disciplina delle mansioni, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto e della professionalità.


lunedì 22 settembre 2014

Jobs Act e l'ipotesi di riforma del mercato del lavoro



La prima stesura prevedeva l’introduzione di un contratto unico e indeterminato a tutele crescenti, eventualmente in via sperimentale, per «favorire l’inserimento del mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti». Con l‘emendamento approvato, invece, si applicherà per tutte le nuove assunzioni  (compreso il reinserimento di un disoccupato) e non più solo al primo impiego.

Di conseguenza, in tutti i casi le tutele crescenti escluderanno la protezione dal licenziamento prevista dall’Articolo 18, prevedendo un’indennità economica (crescente con l’anzianità di servizio) al posto del reintegro (oggi imposto nel licenziamento in cui non si evince la giusta causa). In sostanza si apre la strada verso l’abolizione dell’Articolo 18 per tutte le future assunzioni.

L’emendamento rende più chiaro l’obiettivo di riformare i contratti di lavoro. Il testo originario del ddl  delegava il Governo a «misure per il riordino e la semplificazione delle tipologie contrattuali esistenti».

Ora l’Esecutivo è chiamato a formulare:

«un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro».

Altra differenza, prima si richiamava il rispetto degli «orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupabilità», mentre ora il riferimento è più genericamente riferito alla: «coerenza con la regolazione comunitaria e le convenzioni internazionali».

Estensione dei contratti di solidarietà alle PMI sotto i 15 dipendenti, offrendo alle imprese la possibilità di utilizzarli non solo per difendere i posti di lavoro in momenti di crisi, ma per creare nuove assunzioni (riducendo le ore dei dipendenti).

Innovazioni in tema di maternità e conciliazione dei tempi di vita e lavoro, introducendo la possibilità di cedere i giorni di ferie non goduti ai colleghi limitatamente a determinate esigenze (cura dei figli minori in particolari condizioni di salute). Regole più semplici per aumentare l’efficacia delle norme contro le dimissioni in bianco, di cui sono spesso vittima le lavoratrici.

Previsti meccanismi premiali per aumentare l’efficienza delle agenzie per l’impiego (pubbliche e private), misure per favorire i disoccupati attraverso i contratti di ricollocamento. In questo filone si inserisce la nuova proposta di Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro al Senato, di introdurre un voucher per remunerare le agenzie in caso di ricollocamento del lavoratore che perde il posto.

"Io sono personalmente favorevole all'abolizione dell'articolo 18 anche perché dobbiamo considerare che è un mantra che in tutto il mondo ci addossano come paese. Parlando in tutto il mondo ci dicono che in Italia non si può investire perché c'e'l'art. 18 e quando assumi un dipendente è per la vita". E' quanto ha detto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi intervistato da Maria Latella su Sky Tg24.

"Bisogna fare chiarezza: il nostro sistema con le cig speciali e in deroga è sbagliato perchè permette di continuare la finzione che aziende esistano ancora quando invece hanno chiuso e sono decotte. La cassa integrazione deve essere uno strumento importante per aziende in difficoltà ma che abbiamo prospettive di rilancio: la durata dovrebbe essere al massimo di un anno", rileva Squinzi rispondendo ad una domanda sui fondi necessari per allargare gli ammortizzatori.

Il Governo abbia il coraggio politico di spiegarci che cosa vuole fare con la legge delega: ascolti le parti sociali, e poi prenda le sue decisioni". E’ quanto ha detto il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti."Si può decidere se starci a sentire o meno ma si abbia il coraggio di spiegarci come in tutti i paesi normali ". Siamo disponibili al dialogo, ma "guai a toccare le forme di tutela che ci sono già" , aggiunge Angeletti: "Un conto è avvicinare due mondi, ma quello che non si può fare è modificare l'art.18 per chi già ce lo ha"

Oltre l’80% delle imprese è favorevole a ridurre i contratti (abolendo in primis il co.co.pro), esprimendo un forte consenso anche sulla riscrittura dello Statuto dei lavoratori ma, a sorpresa, non tutte si schierano per l’abolizione dell’Articolo 18: quasi la metà non lo ritiene necessario o concorda con il diritto al reintegro nei licenziamenti illegittimi a tre anni di contratto; chi invece opta per l’ipotesi di indennità economica, suggerisce di introdurre programmi di ricollocazione professionale. E’ quanto emerge dall‘Osservatorio Permanente sul Mercato del Lavoro di Gi Group Academy in relazione al Jobs Act, condotto su un campione di circa 500 aziende (in maggioranza micro imprese e PMI).

Al centro del Ddl Delega - approvato dalla Commissione Lavoro del Senato, con l’emendamento del governo sul contratto unico a tutele crescenti per tutti - per il 49,5% delle imprese intervistate dovrebbe esserci l’outplacement, ossia il supporto al ricollocamento. Per il 46,6% la pensione anticipata per gli over 60 e per il 45,4% un indeterminato flessibile.

Quasi tutti d’accordo sul riscrivere lo Statuto dei Lavoratori (71,8%) adeguandolo al mutato contesto economico-sociale. Il 17,9% modificherebbe solo mansioni, controllo a distanza e costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, il 42,5% abolirebbe l’Articolo 18, sostituendo il reintegro con un’indennità e supporto alla ricollocazione professionale, il 32,6% non pensa ci sia bisogno di tutele crescenti (magari per applicare ancora i contratti a termine, meno convenienti con le tutele crescenti?), il 24,9% ne prevedrebbe l’eliminazione per i primi tre anni di assunzione. Per il 10,3% la norma va bene così come è.

Larghissimo consenso sulla necessità di semplificare i contratti (87,4%). I primi da eliminare? Le collaborazioni a progetto (48,4%) e le associazioni in partecipazione (45,3%). Anche dopo il Decreto Poletti (dl 34/2014) in vigore dal 21 marzo, convertito con la legge 78/2014, il 60% delle aziende dichiara di non aver cambiato idea sui contratti da stipulare per le nuove assunzioni, ma di fatto il tempo determinato è aumentato del 19,6% (indeterminato -23,1%), così come tirocini formativi (+17,1%,) e apprendistato (+12,6%).

Queste tendenze nella scelta dei contratti per le nuove assunzioni sembrano da confermarsi anche per il 2015, lasciando poche speranze all’indeterminato. Da segnalare l’intenzione di ricorrere agli incentivi per le assunzioni giovanili: +13% entro fine anno e +18,3% nel 2015. Per quanto riguarda i licenziamenti, aumenteranno del 12% entro fine anno, del 14% nel 2015.

Interessante il capitolo occupazione giovanile. C’è un 45,8% di aziende che riformerebbe ulteriormente l’apprendistato, dando la possibilità di recedere dopo un determinato periodo di tempo (ad esempio un anno), se l’apprendista non viene ritenuto in grado di acquisire le competenze necessarie per ricoprire la posizione. Ma il dato forse più rilevante riguarda la scarsa informazione che le aziende dimostrano di avere per il Piano Garanzia Giovani: il 44% non sanno di cosa si tratti, il 64,5% non sta utilizzando nessuna delle opportunità previste e non prevede di farlo, meno di un’azienda su tre dichiara l’intenzione di ricorrervi nel 2015.

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