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sabato 17 marzo 2018

Contratti di lavoro si cambia



E' stato firmato il testo definitivo della riforma del modello contrattuale. Dopo anni di tentativi Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno finalmente chiuso una partita che si protraeva da tempo e che - oltre a definire un modello con cui disciplinare il contratto nazionale (su due livelli di contrattazione e livelli salariali autonomi) - definisce anche nuove regole sulla rappresentanza sindacale e, per la prima volta, anche quella delle imprese.

Una firma, inoltre, che riporta in primo piano il ruolo di regolatore che Confindustria e sindacati giocano nella vita economica del Paese dopo una lunga stagione che ne aveva messo in discussione le competenze ed allontana eventuali interventi di legge con cui scavalcare le parti sociali, come quel salario minimo per legge a cui ha pensato negli ultimi mesi la politica.

Viene individuato un trattamento economico complessivo (Tec), costituito dal trattamento economico minimo (Tem, i minimi tabellari) e da tutte quelle voci (dagli scatti di anzianità, all’Edr, all’elemento perequativo, al welfare sanitario o previdenziale) che il Ccnl considera comuni a tutti i lavoratori del settore. In sostanza le differenti esperienze negoziali delle categorie vengono sistematizzate dal documento conclusivo delle parti sociali. Alla luce di queste esperienze, il menù a disposizione delle parti nella negoziazione si è arricchito. Il contratto nazionale non si limita più a indicare i minimi tabellari ma ricomprende ormai altre voci: tra queste, il welfare entra a pieno titolo nel trattamento economico complessivo. Il contratto nazionale individuerà, dunque, i minimi tabellari per la vigenza contrattuale e la variazione avverrà, secondo le regole dei singoli Ccnl, in base agli scostamenti registrati dall’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi Ue (depurato dei prezzi dei beni energetici importati), calcolato dall’Istat.

In busta paga, inoltre, entreranno anche eventuali forme di welfare: il trattamento economico complessivo, infatti, sarà costituito dal salario minimo e da tutti i trattamenti economici, dunque compreso il welfare, che il contratto collettivo nazionale di categoria qualifica come "comuni a tutti i lavoratori del settore". Per quanto riguarda la contrattazione aziendale, il secondo livello, invece, l'accordo punta ad incentivarne uno "sviluppo virtuoso", sia quantitativo che qualitativo. E tornando alle norme sulla rappresentanza e all'obiettivo anti dumping che si pongono le parti sociali sembrano non voler escludere un intervento di legge che rafforzi lo scopo anti pirateria. "Le intese in materia di rappresentanza possono costituire, attraverso il loro recepimento, il presupposto per l'eventuale definizione di un quadro normativo in materia", si legge infatti nel documento.

Un modello contrattuale che spinge alla crescita della produttività aziendale e, con essa, dei salari dei lavoratori. Il documento conclusivo di Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, confermando gli attuali due livelli contrattuali (nazionale e aziendale o, in alternativa, territoriale) valorizza il ruolo del contratto nazionale e della contrattazione decentrata: il primo come fonte di regolazione dei rapporti di lavoro e garante dei trattamenti economici e normativi comuni ai lavoratori del settore, sull’intero territorio nazionale; la seconda, come luogo in cui si realizza l’incontro virtuoso tra salario e produttività.

Le parti riconoscono un ruolo importante alla contrattazione collettiva che può creare le condizioni per «migliorare il valore reale» delle retribuzioni e, nel contempo, «favorire la crescita del valore aggiunto e dei risultati aziendali», valorizzando le «competenze tecniche e organizzative dei lavoratori» contro il rischio di un appiattimento nelle politiche salariali.

Si tratta, appunto, di un modello che lascia alle categorie la decisione se distribuire gli aumenti ex post (come fanno i meccanici) o ex ante (come i chimici). Sempre in tema di autonomia e responsabilità delle parti, attraverso la contrattazione si potrà valorizzare nei diversi settori la partecipazione organizzativa, per contribuire alla competitività delle imprese e valorizzare il lavoro.




martedì 29 novembre 2016

Contratto dei metalmeccanici i dettagli sul rinnovo del contratto



E' stato siglato il contratto nazionale dei metalmeccanici per il periodo 2016-2019. A regime si stima un aumento mensile medio di circa 92 euro, calcolando tutte le diverse voci, dal recupero previsto per l’inflazione al welfare. Sempre a regime, si stimano incrementi mensili medi in busta paga di 51,7 euro per la prevista inflazione (con un tasso stimato al 2,7%), di 7,69 euro per la previdenza integrativa, di 12 euro per l’assistenza sanità, estesa ai familiari. A cui si aggiungono 13,6 euro di salario non tassato (che includono 450 euro annui di ‘ticket’ più l’una tantum di 80 euro da erogare a marzo prossimo). Completano il quadro 7,69 euro di formazione. Riassumendo si tratta precisamente di 92,68 euro mensili. Così si chiude il rinnovo per un milione di metalmeccanici dopo una trattativa durata più di un anno e una ‘no stop’ iniziata mercoledì. Sul filo di lana sono stati infatti superati gli scogli: niente decalage e recupero del 100% dell’inflazione per tutta la durata del contratto e riconoscimento pieno degli scatti di anzianità.

Più peso alle prestazioni di welfare, premi di risultato realmente variabili, assorbimento nei minimi contrattuali degli incrementi retributivi individuali e degli aumenti fissi collettivi. Nell’ipotesi di contratto nazionale dei metalmeccanici 2016-2019 firmato sabato 26 novembre viene confermato il suo ruolo regolatorio.

Entrando nel merito: gli aumenti del Ccnl sono riconosciuti a tutti i lavoratori, ma non sono più erogati a gennaio, bensì a giugno. Se verranno confermate le attuali previsioni sull’andamento dell’inflazione nel triennio, il nuovo contratto a regime in media equivale a 51 euro di incremento.
Dal lato della sanità integrativa, viene azzerato il contributo a Metasalute a carico del lavoratore, mentre 156 euro annui vengono assicurati dall’azienda per la copertura di prestazioni mediche con un valore di mercato stimato in 700 euro. Questo è inoltre il primo contratto nazionale che prevede l’introduzione del diritto soggettivo alla formazione continua della durata di 24 ore pro-capite nel periodo 2017-2019. Per chi non coinvolto in piani di aggiornamento sarà disponibile un contributo massimo di 300 euro da spendere per attività formative.

Tra il 19 ed il 21 dicembre si svolgerà il referendum tra i lavoratori per la validazione del rinnovo. Il contratto sarà valido se votato a maggioranza semplice, un principio che le stesse imprese hanno riconosciuto valido in un allegato al testo dell’accordo.

I punti salienti dell’intesa:

Aumenti – L’intesa prevede a regime un aumento medio mensile di 92,67 euro, cifra comprensiva di parte salariale, welfare, formazione. Per il recupero dell’inflazione sono previsti 51,7 euro, per il salario non tassato 13,5, 7,69 per la previdenza, 12 per sanità e 19 per welfare; in totale sono 85 euro a cui vanno aggiunti 7,69 euro per la formazione. L’aumento medio calcolato al quinto livello è di 89 euro. I 13,6 euro comprendono anche 80 euro come una tantum in pagamento a marzo prossimo.
Posizioni di partenza – Federmeccanica non prevedeva alcun incremento per il 2016 e un beneficio solo per chi ha un salario individuale inferiore a quello di garanzia. La proposta è stata immediatamente bocciata da Fim, Fiom, Uilm, secondo cui l’aumento sarebbe andato ad appena un 5% dei lavoratori. La piattaforma di Fim e Uilm chiedeva un aumento di 105 euro mensili (per il quinto livello), e sulla stessa linea la Fiom. I sindacati hanno risposto con venti ore di sciopero, decine di manifestazioni, blocchi degli straordinari e delle flessibilità.

Salario ​- Riconoscimento dell’inflazione ex post anno su anno a partire dal 2017. Incrementi retributivi dal mese di giugno di ciascun anno (e non gennaio).
Assistenza sanitaria - Prevista Meta’salute, l’assistenza sanitaria integrativa (156 euro totalmente a carico delle aziende e riconosciuto a tutti i lavoratori metalmeccanici e ai loro familiari a carico, anche ai conviventi).

Welfare aziendale – Previsti Flexible Benefits pari a 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018, 200 euro nel 2019. Soldi netti da spendere, a titolo di esempio, come “carrello della spesa”, buoni carburante, spese scolastiche, e altri beni e servizi.

Formazione – Dal 1 gennaio 2017 le aziende coinvolgeranno i lavoratori a tempo indeterminato ad effettuare, nel triennio, almeno un percorso di formazione di 24 ore pro-capite a loro carico. In assenza di percorsi aziendali, il lavoratore ha il diritto di ricercare e partecipare a corsi di formazione all’esterno, con un contributo di spese direttamente a carico delle aziende fino a 300 euro.

Diritto allo studio – Per i lavoratori studenti universitari, oltre i giorni retribuiti per ciascun giorno d’esame e le 120 ore annue non retribuite, le 150 ore retribuite triennali (50 ore annue) potranno essere utilizzate con maggior flessibilità per la preparazione degli esami. Oltre i 9 esami triennali il lavoratore avrà diritto a 16 ore retribuite aggiuntive per ogni esame.

Congedi parentali - Il padre lavoratore e la madre lavoratrice, per ogni bambino nei primi suoi dodici anni di vita, hanno diritto al congedo parentale che potrà essere utilizzato anche su base oraria (a gruppi di due o quattro ore) oltrechè giornaliera o continuativa.

Previdenza complementare – Cometa, la previdenza integrativa, vede aumentare il contributo a carico dell’azienda dall’1,6% al 2% per incentivare e valorizzare uno strumento fondamentale per le pensioni del futuro, soprattutto per i giovani.
Permessi per eventi, cause particolari, ex art 33, L.104. - Il lavoratore ha diritto ad usufruire di 3 giorni di permesso retributi in caso di decesso o di grave infermità del coniuge anche legalmente separato, o di un parente di secondo grado anche non convivente. I permessi legge 104 sono cumulabili; il lavoratore deve presentare un piano di programmazione mensile.

Salute e sicurezza – Istituita un Commissione con il compito di realizzare un evento annuale a livello nazionale, degli approfondimenti. Nelle aziende con almeno 200 dipendenti si terranno due incontri annuali nelle diverse aree di lavoro, per metà del tempo in orario di lavoro, sui fattori di rischio e per individuare le possibili soluzioni; saranno sperimentati i cosiddetti break formativi dei lavoratori, di 15/20 minuti in orario di lavoro, di aggiornamento sulle procedure di sicurezza dell’area di lavoro. Si introduce infine una piccola ma significativa novità, prevedendo Gli RLS saranno dotati di elementi di identificazione (cartellino, badge, spilla, ecc.) per valorizzare il loro ruolo in azienda. Vengono aumentate lievemente le ore a disposizione del singolo RLS nelle aziende oltre i 300 dipendenti (elevate a 72 ore annue) e oltre i 1000 (elevate a 76 ore annue).

Trasferimenti – Per i trasferimenti individuali di sede di lavoro viene portata a 52 anni (oggi 50) per gli uomini e a 48 per le donne (oggi 45) l’età oltre la quale i trasferimenti possono avvenire solo in casi eccezionali.

Comitato consultivo di partecipazione – Viene istituito nelle aziende con oltre 1.500 dipendenti e con almeno due unità produttive con più di 300 dipendenti, o almeno una unità produttiva con almeno 500 dipendenti, su richiesta di una delle parti. Il comitato verrà convocato dall’azienda in caso di scelte strategiche rilevanti su cui verrà chiesto il parere del sindacato.

Appalti – Viene introdotto, in modo condiviso, il principio di salvaguardare l’occupazione in caso di cambio appalto nell’ambito dei pubblici servizi. Su richiesta di una delle parti, verrà attivato un tavolo di confronto che coinvolgerà le organizzazioni sindacali, l’impresa uscente e quella subentrante, allo scopo di definire l’ambito del “cambio appalto”, il numero dei lavoratori coinvolti.
Contrattazione territoriale – Rilancio della contrattazione aziendale con parametri variabili per rilanciare la produttività aziendale e far crescere i salari. Gli Osservatori territoriali, per la prima volta, avranno il compito di promuovere la contrattazione aziendale anche in quelle aziende in cui non c’è.
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martedì 23 agosto 2016

Rinnovo contratto statali quanto deve spettare al dipendente pubblico




La vicenda degli stipendi degli statali risale ormai dal 2010, quando si impose per decreto il blocco delle buste paga di circa 3,3 milioni di dipendenti pubblici per gli anni 2011-2012-2013. poi non più revocato.

Sul rinnovo dei contratti del pubblico impiego si è partiti col il passo inopportuno, infatti sono fermi da sei anni, in seguito  la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178 del luglio 2015, ha stabilito che il blocco doveva cessare, e bisognava rinnovare i contratti. Di qui all'ultimo giorno in cui la legge di stabilità 2017 uscirà dal parlamento  sarà  aperto lo scontro su quante risorse destinare al rinnovo dei contratti degli statali. Ovvero i dipendenti statali, circa tre milioni di dipendenti pubblici. Subiscono il blocco dei contratti di lavoro da sei -sette anni, e hanno diritto, non fosse altro che per la sentenza sopra menzionata, al rinnovo del contratto di lavoro.

Vediamo gli effetti dello stop retributivo pubblico. È ovvio che i sindacati del pubblico impiego considerino molto grave che, fatta 100 la base retributiva pubblica del 2010, essa sia la stessa a giugno 2016, sicché in termini reali i dipendenti pubblici hanno perso potere d'acquisto.

Mentre le retribuzioni del settore privato sono passate da 100 del 2010 a 109,9. Bisogna però equilibrare questo dato con un altro, più di lungo periodo. Le retribuzioni pubbliche conoscevano da decenni andamenti nel complesso superiori rispetto a quelle private. Nel solo periodo 2001-2009, cioè prima dello stop, l'incremento complessivo nominale delle retribuzioni di fatto pubbliche è stato secondo l'Istat del 31,9%, a fronte del 27% nell'industria privata e del 23,% nei servizi di mercato.

Il rinnovo del contratto degli statali sembra che stia entrando nel vivo, appena qualche giorno fa la UilPa ha piazzato l’asticella delle risorse che il governo dovrebbe mettere sul tavolo del rinnovo del contratto degli statali a 7 miliardi a regime, al di sotto di questa cifra non avrebbe senso neanche sedersi al tavolo della trattativa per discuterne, le altre sigle sindacali come Cgil e la Cisl sono quasi sulla stessa lunghezza d’onda della UilPA.

La CGIL ha chiesto un’aumento di stipendio per i 3 milioni di dipendenti statali di circa 220 euro lordi al mese, che al netto delle tasse fanno 132 euro, mentre la Cisl ha chiesto un’incremento in busta paga di 150 euro, cifre molto distanti di quelle fornite dal Governo che ad oggi sarebbe disposto a stanziare circa 300 milioni di euro che divisi per tutti i dipendenti statali sarebbero non più di 10 € di aumento a testa, una vera e propria presa in giro.

Il governo in queste ultime settimane si è reso conto che i 300 milioni di euro sono davvero irrisori ed i fondi da destinare ai dipendenti pubblici devono essere aumentati.

Tra le soluzioni al momento in discussione c’è l’idea di un’aumento di 80 € come è accaduto appena qualche anno fa per i redditi più bassi in questo modo non si andrebbe al di sotto del bonus 80 euro ed allo stesso tempo si tratterebbe di un aumento contrattuale qualche gradino al di sotto di 110 euro mediamente ottenuto dai dipendenti privati nei contratti rinnovati fino ad ora.

Poniamoci delle domande Hanno diritto ad un aumento salariale?

Già, ma quanto? Quanti euro fa questo diritto? Subito dopo la sentenza il governo pro forma mise a bilancio trecento milioni per gli statali: faceva 5/6 euro al mese lordi per lavoratore.

Appena iniziate le trattative reali il governo ha subito spiegato che non sarà trecento milioni la sua disponibilità, sarà di più. Ma quanto di più il governo non ha detto. Hanno detto invece i sindacati: sette miliardi.

Che fa più o meno 150 euro lordi al mese di aumento per dipendente pubblico. Come li calcolano i sindacati questi sette miliardi?

Più o meno così: moltiplicando per tutti gli anni di blocco contrattuale l’inflazione più un totale inerente alla per loro naturale e doverosa progressione delle retribuzioni. Ci provano, è il loro mestiere.

Ma il diritto, come espresso sopra agli statali spetta da sentenza della Corte Costituzionale non sono 150 euro lordi di aumento al mese.

Quel che spetta agli statali, sentenza alla mano è 20/40 euro lori al mese a seconda del grado e qualifica del lavoratore.

La sentenza non impone il recupero del passato, anzi di fatto fissa da quando si ricomincia ad avere contratti non bloccati. E quel quando è il 30 luglio 2015. Quindi agli statali spetta il recupero dei soldi perduti da quella data, dal 30 luglio 2015.

Il recupero da quella data fa 1,2 miliardi di euro e significa appunto 20/40 euro al mese di aumento per dipendente pubblico. Fin qui quel che loro spetta da sentenza, liberissimi di chiedere di più. Ma non in nome di una sentenza che esclude il recupero integrale del blocco contrattuale. Quanto poi alla richiesta del recupero integrale di quanto perso nei sette anni e passa della crisi economica, una domanda impertinente ma assolutamente pertinente. I sindacati, non solo degli statali, quasi sempre si ingegnano a calcolare l’ammontare degli aumenti non avuti se fosse andata come prima della crisi. Fanno al cifra e la dichiarano “soldi persi dai lavoratori”.

Nel calendario della P.A. prima dei contratti viene però la riforma della dirigenza, con la creazione del ruolo unico, la determinazione della durata degli incarichi (quattro anni), l'accesso per concorso con esame di conferma dopo tre anni (altrimenti si retrocede). In linea di principio le novità trovano il favore dei sindacati, che però lanciano l'allarme su eventuali discriminazioni. «In una riforma che già non comprende tutta la dirigenza della Repubblica, perché esclude prefetti e diplomatici, professori universitari e presidi, vogliamo creare ulteriori divisioni?», si chiede Barbara Casagrande, segretario generale di Unadis e Confedir.


martedì 26 luglio 2016

Contributi sindacali e versamento in busta paga



I lavoratori hanno diritto di raccogliere in azienda i contributi sindacali per il finanziamento delle associazioni cui aderiscono, purché non rechino pregiudizio al normale svolgimento dell'attività lavorativa.

Originariamente, la materia del versamento di questi contributi era disciplinata dall'art. 26 dello Statuto dei lavoratori che stabilisce:

il diritto dei lavoratori di raccogliere, all'interno dei luoghi di lavoro ma senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività lavorativa, i contributi per le loro organizzazioni sindacali;

il diritto dei sindacati di percepire i contributi mediante trattenute sulle retribuzioni dei lavoratori iscritti, secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro;

il diritto del lavoratore di chiedere che il versamento dei contributi sindacali avvenga mediante trattenuta sulla retribuzione nelle aziende in cui il rapporto non è regolato da contratti collettivi.

Il referendum del 1995 ha però abrogato i commi 2 e 3 della norma citata eliminando così l'obbligo in capo al datore di lavoro di trattenere e versare i contributi all'Associazione sindacale di riferimento, fermo restando però il diritto dei lavoratori di raccogliere i contributi sindacali, nel nostro ordinamento non esiste più una norma di legge che specificamente disciplini la materia in questione.

Il datore di lavoro dunque non è più obbligato per legge a trattenere, su delega del lavoratore, i contributi sindacali direttamente dalla busta paga ed a versarli all'associazione designata dal lavoratore e la disciplina attuale della riscossione dei contributi sindacali dipende dalla previsione del contratto collettivo di riferimento:

se il CCNL contiene un semplice rinvio alla disciplina legale sulla trattenuta dei contributi sindacali, la norma contrattuale è priva di efficacia operativa

se, come avviene nella maggior parte dei casi, il CCNL disciplina i sistemi di versamento dei contributi, il datore di lavoro deve seguire le regole dettate dallo stesso, dal momento che un comportamento difforme costituisce condotta antisindacale

La materia è di solito disciplinata dai contratti collettivi, che prevedono il diritto del lavoratore di chiedere il versamento dei contributi  mediante trattenuta sulla propria retribuzione. Sentenze del Tribunale di Milano hanno opportunamente chiarito che questo diritto spetta a tutti i lavoratori indistintamente, a prescindere dal fatto che il sindacato beneficiario della trattenuta abbia sottoscritto il contratto collettivo di lavoro, oppure no.

Tuttavia, anche nel caso in cui la materia non sia disciplinata dal contratto, la abrogazione dei commi 2 e 3 dell’art. 26 dello Statuto dei lavoratori non ha portato conseguenze pratiche. Infatti, il Tribunale di Milano ha anche chiarito come la richiesta, da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, di effettuare una trattenuta sulla propria retribuzione per il versamento dei contributi sindacali, rientri perfettamente in un istituto disciplinato dal nostro ordinamento. Si tratta della cessione del credito, contemplato dagli artt. 1260 e seguenti del codice civile, secondo i quali il creditore può cedere, anche parzialmente, il proprio credito ad un terzo, a prescindere dal fatto che il debitore sia consenziente.

Il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro di effettuare la trattenuta e di versare la quota al sindacato designato è da considerarsi, oltre che un illecito civilistico, una condotta antisindacale in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato cui aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dai propri aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della sua attività.
Con il venir meno dell’obbligo legale di versamento dei contributi per ritenuta sulla retribuzione, è stato detto in modo superficiale, che l’obbligazione poteva essere reintrodotta solo per via contrattuale,  cioè dietro pattuizione collettiva o individuale.

Di fatto invece si è favorito:

ad una riaffermazione dell’obbligazione di versamento datoriale per via negoziale, normalmente ad opera delle OO.SS. stipulanti i Ccnl, sia tramite pattuizione nuova (è il caso delle OO.SS. del personale direttivo del credito il cui previgente Ccnl non prevedeva l’obbligo esattivo datoriale) sia in virtù di pattuizione preesistente, già contemplante il diritto del lavoratore al versamento del contributo al sindacato prescelto (è il caso più ricorrente);

alla soluzione unilaterale, e non già pattizia, del ricorso al negozio della “cessione del credito”, attraverso cui i lavoratori (prevalentemente iscritti a sindacati non firmatari dei Ccnl applicati nell’unità produttiva) hanno notificato all’azienda, ai fini e per gli effetti della trattenuta e del relativo versamento al sindacato, una delega d’iscrizione al sindacato che, contemporaneamente, li impegnava – per espressa menzione dell’istituto della “cessione di credito” ex art. 1260 e ss. c.c. - al versamento nei confronti dell’organizzazione di una quota mensile, a titolo di contributo associativo salvo revoca da notificarsi in tempo utile.



giovedì 18 giugno 2015

Lavoratori dipendenti: il datore di lavoro li potrà controllare con pc e telefoni aziendali



I dipendenti comunque devono essere avvisati: multa per chi viola le regole. Leggere posta elettronica e Sms continua a essere vietato, e la telecamera si usa solo per ragioni di sicurezza. Ma si possono tracciare gli spostamenti.

Si apre ai controlli a distanza attraverso gli strumenti di lavoro, cioè pc, tablet, telefoni aziendali (senza più passare per accordi sindacali o ispettorato del lavoro). Ma si chiede all'azienda un preciso documento di policy da consegnare ai dipendenti.

I dati che ne derivano possono essere «utilizzati ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy». Nel dettaglio, l’articolo al primo comma prevede che «gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali.

Resterebbe, a livello di principio generale, il divieto di controllo tramite impianti direttamente «finalizzati» alla vigilanza sulla prestazione di lavoro (le cosiddette telecamere che riprendono il lavoratore). Qui si ammetterebbe una deroga: nei casi in cui c’è un’autorizzazione sindacale o amministrativa all’impianto delle apparecchiature purché legate a esigenze di sicurezza e prevenzione. L’attuale articolo 4 dello Statuto dei lavoratori vieta, o limita tantissimo, l’uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (possono essere installati solo per ragioni di sicurezza o in rare altre eccezioni, sempre comunque previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in assenza, con l’ok dell’ispettorato del lavoro). Un freno considerato come le nuove tecnologie siano ormai parte integrante dell’organizzazione del lavoro. E anche il Garante della privacy ha dettato specifiche disposizioni a tutela della riservatezza dei lavoratori.

L’ipotesi su cui sta lavorando il governo è aggiornare l’articolo 4 distinguendo i controlli sugli impianti da quelli sugli strumenti di lavoro. I controlli sui primi, finalizzati alla vigilanza sulla prestazioni di lavoro, sarebbero vietati. Tranne il caso in cui, con un’autorizzazione sindacale o amministrativa, le telecamere servano per garantire la sicurezza. Si “sdoganerebbero” del tutto invece i controlli sugli strumenti di lavoro, per i quali non sarebbero più richieste autorizzazioni di sorta.

«Qui però sarebbe opportuno liberalizzare anche i controlli sulle apparecchiature, come badge e rilevatori di presenza, che non rientrano nell’articolo 4 dello Statuto - sottolinea Arturo Maresca (ordinario di diritto del Lavoro, Sapienza, Roma) -. Inoltre, è positivo aver chiarito l’utilizzabilità degli esiti dei controlli anche ai fini disciplinari. Ma la disposizione deve essere inderogabile, e quindi non modificabile dai contratti collettivi». Anche per Sandro Mainardi (ordinario di diritto del Lavoro, università di Bologna) l’apertura sui controlli attraverso pc, telefonini e tablet «sarebbe una vera novità. Da un lato, perché la strumentazione deve essere destinata allo svolgimento della prestazione e non ad altri fini illeciti; dall’altro perché essendo la proprietà di tali beni/strumenti di matrice aziendale deve pur essere concesso un controllo sull’utilizzo della stessa». Certo, resta il tema della privacy e della informazione preventiva: «Qui il legislatore - aggiunge Mainardi - se la potrebbe cavare traducendo in precetto le buone pratiche da tempo suggerite in termini di policy aziendali dal Garante». Per gli esperti è positivo anche il chiarimento sull'utilizzo degli esiti delle verifiche: «Si potrebbe superare il dibattito giurisprudenziale sui “controlli difensivi”, e soprattutto circa la liceità della prova “elettronica” offerta in giudizio da parte del datore, laddove essa sia davvero significativa di inadempimento certo da parte del lavoratore».

Con l’entrata in vigore delle nuove norme le aziende potranno controllare computer, smartphone e telefoni cellulari assegnati per ragioni di lavoro ai dipendenti senza il via libera delle organizzazioni sindacali. E’ fatto obbligo alle imprese di informare dettagliatamente i propri dipendenti delle caratteristiche dei vari apparecchi, la possibilità di effettuare controlli anche a distanza, compresa la geolocalizzazione, e di fissare eventuali limiti al loro utilizzo.

I datori di lavoro non possono controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali. In base alle disposizione del Garante della privacy che risalgono al 2007 spetta al datore di lavoro definire le modalità d’uso di tali strumenti sempre tenendo conto dei diritti dei lavoratori e della disciplina in tema di relazioni sindacali. L’Autorità prescrive innanzitutto di informare in modo dettagliato i lavoratori sulle modalità di utilizzo di Internet e della posta elettronica e sulla possibilità che vengano effettuati controlli. E vieta la lettura e la registrazione sistematica delle e-mail così come il monitoraggio sistematico delle pagine web visualizzate suggerendo di individuare preventivamente i siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa e l’utilizzo di filtri che prevengano l’accesso a determinati siti o il download di file video o musicali.

In mancanza di accordo possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali». E prosegue: «La disposizione di cui al primo comma non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze».

"Sui controlli a distanza siamo al colpo di mano", dice la Cgil sottolineando che le novità del Jobs act "pongono un punto di arretramento pesante" rispetto allo Statuto. "Non solo daremo battaglia in Parlamento", aggiunge la segretaria nazionale Serena Sorrentino, "Ma verificheremo con il garante della privacy se ciò si può consentire anche alla luce della raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che mira a proteggere la privacy dei lavoratori di fronte ai progressi tecnologici che permettono ai datori di lavoro di raccogliere e conservare ogni tipo di informazione".



giovedì 25 dicembre 2014

Articolo 18 cosa cambia per il 2015



"Altro che rivoluzione copernicana", il governo Renzi "ha cancellato il lavoro a tempo indeterminato, generalizzando la precarizzazione". Così la leader della Cgil, Susanna Camusso, dopo l'ok del Cdm ai decreti attuativi del Jobs Act: norme "ingiuste, sbagliate e punitive". "Il governo ha accolto la nostra reiterata richiesta di un intervento pubblico per l'Ilva: è un fatto decisamente positivo", sostiene invece il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. Ma, aggiunge, "diverso è il nostro giudizio sul Jobs Act. Consideriamo infatti - spiega - negativamente la monetizzazione dei licenziamenti collettivi, fatto che non aiuterà il mondo del lavoro".

Contratto a tutele crescenti e indennizzi “da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mesi”. E poi niente ‘opting out’, cioè niente super-indennizzo per aggirare il reintegro dei lavoratori licenziati illegittimamente, e delega fiscale. E ancora le misure per Taranto e sull’Ilva, la legge Europea 2014 e la proroga dei contratti dei precari delle province. Sono tante e diverse le novità varate dal Consiglio dei Ministri della Vigilia. Nelle immagini una scheda riassuntiva dei principali provvedimenti.

Addio al reintegro nei licenziamenti economici e in una buona parte dei licenziamenti disciplinari. Per i neo assunti, dal 2015, scatterà il contratto a tutele crescenti, e le nuove norme, è una novità dell'ultim'ora, si estenderanno anche ai licenziamenti collettivi (che sono economici per definizione). È quanto prevede il Dlgs con la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti appena varato dal Governo, assieme a una prima lettura del Dlgs sull'Aspi.

Nel testo che cambia l'articolo 18, è previsto che le tutele crescenti per i licenziamenti economici illegittimi partiranno da 2 mensilità per anno di servizio con un tetto di 24 mensilità. È prevista l'introduzione di un indennizzo minimo di 4 mensilità, da far scattare subito dopo il periodo di prova, con l'obiettivo di scoraggiare licenziamenti facili. Visto che i contratti a tutele crescenti godranno dei benefici fiscali e contributivi contenuti nella legge di stabilità. E' confermata la conciliazione veloce: qui il datore di lavoro può offrire una mensilità per anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità, con un minimo di due.

Sul fronte disciplinari c'è un mini-restyling alla legge Fornero. La reintegra resterà per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato. Non è più prevista la clausola dell'opting out, che avrebbe consentito al datore di lavoro di poter convertire la tutela reale in un indennizzo monetario. Oggi la tutela reale scatta in due casi: se il fatto non sussiste o se è punito con una sanzione conservativa nei CCNL. La differenza con la nuova normativa è questa: viene meno il riferimento ai CCNL e si delimita il fatto al solo fatto materiale. Non si eliminerà la discrezionalità dei giudici.

Solo un primo esame con approvazione “salvo intese” per il secondo decreto legislativo, quello che darà vita alla nuova Aspi. Evidentemente i problemi di copertura che fino a ieri avevano trattenuto i tecnici del ministero del Lavoro e di palazzo Chigi alla Ragioneria (mancherebbero circa 300 milioni) devono ancora essere superati. Il nuovo ammortizzatore universale per chi perde il lavoro dovrebbe entrare in funzione verso giugno prossimo e sarebbe accessibili con sole 13 settimane di contributi. Il sussidio dovrebbe crescere con la durata del contratto (detto appunto a tutele crescenti) fino a 24 mesi, ovvero 6 in più rispetto ai 18 previsti a regime dall'Aspi Fornero.


Non trapelano indicazioni sull'ammontare che non dovrebbe però superare il tetto del 1090 euro mensili. L'estensione della platea dovrebbe comprendere la transizione fino a esaurimento dei Cocopro. e i contratti in somministrazione, oltre a tutti i nuovi contratti a tutele crescenti, naturalmente, a prescindere dal settore di appartenenza. Resta l'idea di base di legare la durata del sussidio alla contribuzione pregressa (con scalettatura ancora da definire. come detto) e resta l'assegno di disoccupazione che scatta dopo l'esaurimento della nuova Aspi ma non è chiaro se sarà già contenuta in questo dlgs. Vi si accederebbe con un Isee basso, un ammortizzatore di ultima istanza che sarà legato a una condizionalità: la partecipazione del beneficiario a programmi di reinserimento lavorativo. Con la nuova Aspi, che armonizza l'attuale Aspi e l mini-Aspi non cambierà lo schema della contribuzione dovuta da datori e dipendenti (con un carico per due terzi sui primi e un terzo sui secondi): l'1,30% dovuto per la disoccupazione e l'1,4% per l'Aspi sui contratti a termine. Con l'evidente obiettivo di incentivare anche sotto questo profilo la migrazione dai contratti a termine verso i nuovi contratti a tutele crescenti.



venerdì 31 ottobre 2014

Condotta antisindacale legittimazione passiva




Sussiste la legittimazione passiva dell'istituzione scolastica statale, mentre va esclusa quella del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in ordine a una controversia avente a oggetto la legittimità del diniego opposto da un dirigente scolastico alla richiesta di indizione di assemblea formata dai membri della RSU, posto che a seguito della riforma di cui alla l. n. 59/1997 e al d.p.r. n. 275/1999 le istituzioni scolastiche sono diventate soggetti giuridici autonomi.

La pacifica attribuzione alle "istituzioni scolastiche" di personalità giuridica comporta necessariamente, alla luce del dispositivo ex art. 24 Cost. (precetto che rende del tutto superflua una specifica previsione normativa volta ad attribuire il diritto di azione a colui che è titolare del diritto sostanziale), la loro legittimazione a stare in termini a tutela dei propri diritti.

E' inammissibile il giudizio ex art. 28 Statuto dei lavoratori proposto contro una società cooperativa per fatti attinenti al rapporto tra questa e un socio lavoratore, se il sindacato ricorrente non deduca e provi la natura simulatoria del rapporto associativo.

A seguito dell’introduzione del lavoro notturno in azienda in assenza di una previa consultazione con la rappresentanza sindacale unitaria, quest’ultima lamenta la violazione della procedura prevista dall’art. 12 del Dlgs. 8 aprile 2003, n.66 e presenta ricorso al giudice ex art. 28 della L. 300/1970 per far dichiarare antisindacale tale condotta.

L’art. 28 attribuisce la legittimazione ad agire per la repressione della condotta antisindacale esclusivamente agli “organismi locali delle organizzazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse”; tuttavia la norma non specifica come individuare in concreto gli organismi locali di un sindacato di dimensione nazionale ma rinvia implicitamente all’interno della sua struttura organizzativa.

Il significato dell’espressione “organismo locale” è da riferire alle articolazioni più periferiche dei sindacati nazionali, più vicine alle situazioni che si devono difendere con la speciale azione ex art. 28.

La transizione dalle r.s.a. alle r.s.u. operata dall’Accordo Interconfederale del 1993 ha riaperto una questione che in precedenza era stata chiusa con un’elaborazione giurisprudenziale che negava la legittimazione ad agire nel procedimento di repressione della condotta antisindacale alle r.s.a. previste all’art. 19, in quanto strutture autonome non organicamente inserite nell’ambito delle associazioni sindacali in cui si costituiscono.

L’art. 28 è stato riesaminato dalla giurisprudenza di merito che si è divisa sulla configurabilità o meno della r.s.u. come organismo locale del sindacato: infatti mentre la Pretura di Brescia nel 1997 afferma che le attuali r.s.u. hanno una composizione ibrida (2/3 dei seggi sono ripartiti tra tutte le organizzazioni; 1/3 tra le associazioni sindacali firmatarie del C.C.N.L.) e una genesi che consente di considerare le stesse quale espressione locale delle organizzazioni sindacali nazionali; il Tribunale di Civitavecchia nel 2000 sostiene invece che perché un siffatto organismo possa essere considerato organo periferico del sindacato, è pur sempre necessario che esso presenti un legame con le strutture centrali del sindacato nazionale e quindi le stesse modalità di costituzione delle r.s.u., inducono a dubitare fondatamente delle possibilità di riconoscere alle stesse la natura di organismi locali dei sindacati, apparendo, piuttosto, come organismi di natura mista ed ibrida, organi sindacali aziendali rappresentativi della generalità dei lavoratori a carattere prevalentemente elettivo, come sono stati definiti in dottrina.

La Corte di Cassazione n. 1307/2006 ha sviluppato la questione precisando che il carattere “nazionale” dell’associazione sindacale è un dato attinente non solo alla mera dimensione territoriale, ma anche all’attività in concreto svolta dalla stessa.

Come è noto l’art. 28 non riconosce la legittimazione ad agire a tutte le associazioni sindacali, ma la limita ad organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse; la ragione giustificatrice sottesa alla limitazione della legittimazione dell’art. 28 è anche sostanziale (legata all’attività del sindacato e agli interessi collettivi tutelati) e non già solo formale (in base al criterio territoriale).

Ciò significa che lo Statuto dei lavoratori pensava ad un sindacato “nazionale” che, avendo una visione ampia degli interessi dei lavoratori associati, ne perseguisse la tutela non già in un’area limitata, ma in tutto il paese e quindi con un’attività sindacale svolta anche su tutto il territorio nazionale e non già solo localmente.



giovedì 18 settembre 2014

Art 18 cosa accadrà al mercato del lavoro? la voce dei sindacati



Innanzitutto la parola “neoassunti” invece che “inserimento nel mondo del lavoro” nell’articolo 4 (riforma dei contratti) della Delega sul Lavoro apre la strada al superamento dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori in tutti i contratti: è contenuta in un emendamento del Governo sul nuovo contratto unico a tutele crescenti, che rende anche possibile il demansionamento ed il controllo a distanza dei lavoratori. Una rivoluzione delle attuali tutele, a cui le aziende reagiscono con soddisfazione mentre i sindacati preparandosi allo sciopero generale.

Addio all’ Articolo 18 dello statuto dei lavoratori:

Testo originario: «l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti».

Emendamento: «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio».

La differenza fra le due stesure del secondo capitolo del Jobs Act è notevole. Nel primo caso le tutele crescenti si applicavano solo all’inserimento nel mondo del lavoro (giovani al primo impiego). Nel secondo si estende a tutti i contratti di assunzione, compreso il reinserimento di un disoccupato. Significa che per un determinato periodo di tempo (ipotesi di tre anni) qualunque contratto non sarà coperto dall’Articolo 18 (sostituendo il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa con un’indennità economica proporzionale all’anzianità di servizio. Il Governo accoglie quindi la proposta di “tutele crescenti”: l’emendamento non lo esplicita ma nei fatti va in questa direzione.

I sindacati, sono a questo punto sul piede di guerra, minacciano di fare sciopero. I sindacati non apprezzano: "Non ho mai letto che la Bce abbia chiesto l'abolizione dell'art. 18. Questa è solo una bandierina che il governo offre al Paese per depistare e arrivare allo scontro, non mi pare responsabile", ha ribadito il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni.

"Chiedo al governo della trasparenza e della comunicazione di dare i dati dell'art. 18 riformato due anni e mezzo fa da Monti, dicendo quanti sono i contenziosi e quanti quelli risolti con la conciliazione. Si noterebbe che non è questo il problema del lavoro nel Paese".

L'articolo 18 è un'ossessione, una discussione senza senso", ha detto ancora  il segretario generale della Cisl. "A Poletti e al governo intero chiedo che rassegni i dati pubblici sulla gestione dell'articolo 18 negli ultimi due anni, dopo la riforma Monti", ha aggiunto. "Dai nostri dati i casi sono pochi e tutti risolti bene.

Quindi cos'è questo articolo 18? Si vuole dare in pasto all'opinione pubblica una discussione che non ha senso. Il mio sindacato che è pragmatico prima di affrontare il problema vorrebbe, e lo chiediamo formalmente a Poletti, i dati su gestione art 18 ultimi 2 anni. Va bene invece il contratto a tutele crescenti "va bene" ma solo "a condizione che serva a far fuori tutte le truffe in cui sono incappati i giovani". Bisogna "eliminare quelle forme di lavoro truffa", "come le false partite Iva", avverte: "Diversamente sarebbe solo l'ennesimo contratto di lavoro e più di un milione di persone continueranno ad essere truffate".

La segreteria della Cgil, Susanna Camusso, a sorpresa, ha messo da parte gli intenti bellicosi della prima ora e ha chiesto al direttivo di avere il mandato per cercare una linea comune con Cisl e Uil. Niente mobilitazioni in solitaria, si cerca una piattaforma unica, alla faccia di chi come Maurizio Landini, il leader dei metalmeccanici della Cgil, sull'articolo 18 era già pronto alle barricate. La reazione di Cisl e Uil è stata di grande cautela. Dopo che è di fatto saltata la piattaforma su fisco e pensioni, i segretari di Cisl e Uil, rispettivamente Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, sulla riforma del lavoro vogliono vederci chiaro. A nessuno sta bene se il governo cancella le tutele contro i licenziamenti senza giusta causa dell'articolo 18, cosa diversa invece se si ragiona di un contratto di inserimento a tutele crescenti in cui alla fine scatta anche per i neoassunti l'articolo 18.

Il confine è sottile e Cisl e Uil non vogliono ritrovarsi poi invischiati in battaglie solo ideologiche. «La nostra disponibilità alla mobilitazione unitaria ci sarà solo se la proposta verterà su cose concrete, circoscritte e precise con le quali rispondere alle persone sia sul perché ci mobilitiamo sia su quali saranno i risultati. Altrimenti è solo ginnastica sindacale che non è più il tempo di fare», ha precisato Angeletti a margine del congresso della Uilm, il sindacato dei metalmeccanici.

Il contratto a tutele crescenti «va bene a condizione che serva a far fuori tutte le truffe in cui sono incappati i giovani», dice il segretario generale della Cisl. Bonanni chiede poi conto al ministro del lavoro di quanti casi ci siano stati di reintegro sul posto di lavoro dopo la riforma dell'articolo 18 fatta dal governo Monti, «sono pochi, pochissimi, ininfluenti rispetto ai licenziamenti che si fanno perché c'è crisi».


sabato 9 agosto 2014

Firmato l'accordo Alitalia-Etihad: «Sarà un'azienda più stabile e sexy»



Alitalia, sì alle nozze con Etihad. Si apre così una nuova pagina nella storia di Alitalia: l'accordo con Etihad prevede che la compagnia emiratina investa 560 mln per rilevare il 49% dell'aviolinea. Tra gli altri punti, vi sarebbero inoltre il ritorno alla redditività del vettore italiano nel 2017, 7 nuove rotte intercontinentali per arrivare a quota 23 milioni di passeggeri nel 2018. Sul fronte sindacale, ieri notte la Uilt e le associazioni professionali hanno dato l'ok al nuovo contratto nazionale del trasporto aereo e all'intesa sul costo del lavoro che consentirà 31 milioni di risparmi. Un accordo che l'ad di Alitalia Gabriele Del Torchio ha definito "decisivo" per il futuro.

«L'alleanza internazionale era un obiettivo fondamentale - ha detto Hogan - è stato un fidanzamento un po' contrastato, ci sono state turbolenze, ma oggi siamo qui ad avviare un'alleanza strategica, importante e fondamentale ».

Fra le altre Del Torchio ha annunciato che Alitalia ed Etihad saranno official sponsor di Expo 2015. La chiusura dell'operazione è prevista verso la fine dell'anno dopo il via libera delle autorità di regolazione. L'assemblea degli azionisti di Alitalia aveva approvato questa mattina la proposta di accordo preliminare e aveva anche deliberato l'incremento di aumento di capitale a 300 milioni deciso dal Cda di venerdì scorso. «Il governo durante la riunione del Cdm ha salutato con grande piacere l'accordo Alitalia-Ethiad», ha detto il sottosegretario Graziano Delrio al termine del Cdm.

Hogan ha detto che «Etihad è felice di investire», assicurando l'intento di «costruire un'Alitalia più forte e di dare un servizio di qualità». Etihad non intende stravolgere l'Alitalia, ma darle una stabilità. «Vogliamo rilanciare il brand - ha detto Hogan - e rendere Alitalia più "sexy". Sicuramente sarà un'azienda diversa, ma non vogliamo cambiare tutto, ma renderla più stabile». Il ceo di Etihad ha spiegato si tratta di «un investimento di 1,758 miliardi di euro. Ci piace l'Italia, la sua cultura e il suo mercato». Ha aggiunto che Etihad vuole «essere dei partner e saremo sempre dei partner» per l'Alitalia. Il piano triennale, ha spiegato Hogan, «prevede per Alitalia il ritorno alla redditività nel 2017». Il ceo ha sottolineato che «sarà difficile, ma il consolidamento di Alitalia è fondamentale». La compagnia si concentrerà più sul lungo raggio e saranno aggiunti altri collegamenti sulla rete di Abu Dhabi. Nel piano quinquennale si pensa a dieci nuove rotte a lungo raggio anche attraverso il rilancio di Malpensa. Etihad, poi, vuole continuare il rapporto di Alitalia in Skyteam.

La notizia dell'accordo viene accettata in modo positivo dai sindacati: "Questo piano industriale rappresenta una prospettiva: da questo punto di vista è una notizia importante, una buona notizia" ha detto Susanna Camusso segretario generale della Cgil. "Credo sia molto importante che l'accordo sia stato firmato - ha aggiunto - l'accordo sorregge finalmente un piano industriale e una idea di sviluppo intercontinentale della compagnia: si fa adesso quello che si sarebbe dovuto fare nel 2009". Sulla stessa linea il leader della Uil, Luigi Angeletti: "E' il migliore accordo che potessimo concepire perché la compagnia aerea emiratina, a differenza delle compagnie europee, non è concorrenziale ed è assolutamente complementare. Noi abbiamo popolazione, mercato e geografia, loro hanno le risorse economiche: la combinazione di questi fattori può realisticamente consentire di avere una compagnia aerea a 'cinque stelle'". Angeletti sottolinea che la Uil ha firmato questa notte l'accordo sul contratto di lavoro in Alitalia perché "è stato finalmente difeso il buon senso".



venerdì 25 luglio 2014

Alitalia: referendum senza quorum, è scontro tra i sindacati



Non è stato raggiunto il quorum al referendum sui tagli al costo del lavoro in Alitalia: hanno votato 3.500 su 13.200 lavoratori. La Uilt dice che così l'accordo non è valido e chiede una nuova intesa, mentre Cgil, Cisl e Ugl sostengono che trattandosi di un referendum abrogativo, resta la validità degli accordi.' 'Abbiamo chiesto ai lavoratori e ai sindacati grande responsabilità ma i sindacati discutono su chi ha più iscritti, non sapendo che la prospettiva: futuro o baratro'', afferma il ministro Lupi. Oggi l'assemblea degli azionisti della compagnia è chiamata ad approvare il bilancio 2013 e l'aumento di capitale. Etihad nega di aver posto un ultimatum alla compagnia per chiudere l'accordo entro il 28 luglio.

Intanto l'assemblea degli azionisti di Alitalia ha approvato il bilancio 2013 e l'aumento di capitale. Lo ha riferito un azionista scendo dalla riunione, precisando che di Etihad non si è parlato. L'assemblea si è conclusa da poco dopo oltre cinque ore. L'assemblea degli azionisti di Alitalia ha deliberato un aumento di capitale fino ad un massimo di 250 milioni di euro da offrirsi in opzione ai soci in proporzione alla quota di capitale posseduta. Lo si legge in una nota al termine dell'assemblea.

Via libera dell'assemblea degli azionisti di Alitalia al bilancio d'esercizio 2013. Ma anche questa volta, come già nel cda del 13 giugno, nella nota diffusa al termine della riunione non vengono comunicati i risultati. Secondo le indiscrezioni che circolano, la perdita netta si aggirerebbe intorno ai 569 milioni.

Etihad: "Ribadendo l'efficacia degli accordi del 16-17 luglio", Alitalia evidenzia come "la coesione e la condivisione delle scelte da parte di tutte le sigle sindacali siano essenziali per il completamento con successo delle intese con Etihad". Lo afferma Alitalia in una nota. Alitalia, si legge nella nota, "ha appreso, con comunicazione delle organizzazioni sindacali, i risultati del referendum sugli accordi aziendali del 16-17 luglio scorso promosso dalla Uiltrasporti, che indicano 3.555 votanti su una popolazione aziendale di 13.190 unità, pari al 26,95%". "Va comunque segnalato come l'85% di coloro che hanno votato abbia espresso un consenso esplicito agli accordi. Ciò - prosegue la nota - a dimostrazione di quanto il personale della società, compresi i dirigenti che già dal mese di marzo hanno volontariamente offerto un contributo di solidarietà, stia comprendendo l'importanza cruciale del momento aziendale e dei passi decisivi da adottare per garantire il futuro".

"Non mi sembra che le Poste vogliano uscire dall'azionariato di Alitalia. Mi sembra che il cda abbia deliberato la strategicità dell'investimento". Lo ha detto il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, commentando le voci su possibili nuovi partner nell'operazione Etihad-Alitalia."Abbiamo sempre detto all'Europa e a chi fa commenti contrari - ha aggiunto Lupi - che l'investimento di Poste era strategico e industriale e non un aiuto di Stato". Lupi ha sottolineato che il parere sull'accordo con Etihad "è assolutamente positivo ed è una grande sinergia. Bisogna che siano i soci a trovare le modalità con cui questa delibera possa diventare una grande opportunità". "Abbiamo sempre detto all'Europa e a chi fa commenti contrari - ha aggiunto Lupi - che l'investimento di Poste era strategico e industriale e non un aiuto di Stato".

"Il mancato raggiungimento del quorum, sulla base del Testo unico sulla rappresentanza e democrazia sindacale, conferma la validità degli accordi sottoposti a referendum". Lo afferma Alitalia in una nota.

Il referendum, secondo quanto riferito dalla Uilt, ha ottenuto 3000 sì e 500 no. In particolare, tra i naviganti (piloti e assistenti di volo), che sono complessivamente 5.400, il 97% ha votato no. "Non è stato raggiunto il quorum perché Cgil, Cisl, Ugl e azienda hanno voluto mortificare piloti e assistenti di volo", ha commentato Veneziani, sottolineando che "questo accordo non c'entra nulla con Etihad". "Adesso bisogna tornare al tavolo per firmare un accordo valido: questo non lo è", ha detto Veneziani, precisando che "la Uil non è contraria a dare 31 milioni". "Alla luce di questo risultato - ha aggiunto - faremo le nostre valutazioni e decideremo il da farsi".

"Trattandosi di referendum abrogativo, sulla base delle regole dell'accordo sulla rappresentanza, resta confermata la validità degli accordi". Lo affermano Filt Cgil, Fit Cisl e Ugl Trasporto Aereo a proposito dell'esito del referendum. L'accordo sui tagli al costo del lavoro Alitalia firmato solo da Cgil, Cisl, Ugl e Usb "non può essere applicato agli iscritti della Uilt, alle sigle non firmatarie e ai non iscritti". Lo afferma Marco Veneziani della Uilt alla luce del mancato quorum nel referendum, aggiungendo che "adesso bisogna tornare al tavolo e fare un nuovo accordo". "Quorum mancato accordo valido". Lo afferma il segretario generale della Fit Cisl Giovanni Luciano su twitter a proposito del referendum sull'accordo sul taglio al costo del lavoro. "Circa 30% votanti in 25 ore di seggio aperto con oltre 80% di sì", prosegue Luciano: "azienda vive - conclude - lavoro salvo". Air France Klm non parteciperà all'aumento di capitale di Alitalia. Lo ha dichiarato l'amministratore delegato del gruppo franco-olandese, Alexadre de Juniac, durante la presentazione dei risultati semestrali.

La Uil resta sulle barricate («Diffidiamo l'azienda dal prelevare soldi dalle retribuzioni dei nostri iscritti» - scrive il segretario generale della Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi), mentre il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni parla di «referendum valido». E avverte: «La Uil sta giocando con il fuoco nel momento peggiore di Alitalia perché gli arabi possono anche fuggire».

Di diverso parere la Uil che non ha firmato l'accordo integrativo con i tagli sul costo del lavoro e ha invitato i lavoratori a non partecipare al referendum organizzato da Filt Cgil, Fit Cisl, Ugl e Usb . «Allo stato attuale, diffidiamo l'azienda dal prelevare soldi dalle retribuzioni dei nostri iscritti», ha affermato il segretario generale della Uiltrasporti Claudio Tarlazzi in una nota. Mentre il segretario generale Angeletti aggiunge: «Avevamo visto giusto: la data del 25 luglio, sbandierata da Alitalia come ultimativa, serviva solo contro i sindacati. Non commentiamo le incaute dichiarazioni dell'azienda - anche alla luce del fatto che ci sembra che l'80% dei lavoratori non condivida le sue scelte - perché non vogliamo fornire alibi né pretesti. Le nostre considerazioni le faremo solo dopo l'accordo con Etihad».

Mentre il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni parla di « referendum valido» in base a quanto dice «l'accordo interconfederale firmato dalla Uil». E avverte: «La Uil sta giocando con il fuoco nel momento peggiore di Alitalia perche' gli arabi possono anche fuggire». Etihad, continua Bonannni, «non è abituata ai bizantinismi italiani: qui c'é un nucleo di persone che vuole condizionare la nuova azienda, dobbiamo smettera di avere in Italia dei sindacati che scoraggiano gli investimenti».

Il referendum organizzato da Filt Cgil, Fit Cisl, Ugl e Usb sull'accordo contenente anche i tagli al costo del lavoro dell'Alitalia doveva raggiungere il quorum del 50% più uno dei lavoratori. Gli accordi integrativi prevedono risparmi sul costo del lavoro per 31 milioni di euro. Per la Uilt (che ha invitato gli iscritti a non partecipare al referendum definito «una farsa») gli accordi firmati dalle sole sigle Filt, Fit, Ugl e Usb non sono validi e per questo occorre ritornare al tavolo di trattativa per fare un nuovo accordo.

Spicca, in particolare l'astensione, pressochè totale, del personale navigante. Infatti, ha riferito Veneziani, dei 5.400 aventi diritto (di cui 1.800 piloti e gli altri assistenti di volo) non ha votato il 97%. Dei 3.500 voti, 3.000 sono stati i sì e 500 i no. «L'accordo - ha detto ancora Veneziani - è stato bocciato. Con queste intese si è voluto mortificare professionalità presenti in azienda. Noi avevamo già fatto le nostre proposte all'azienda e riconfermiamo la disponibilità a riaprire la trattativa».

E a chi gli chiedeva se il risultato del referendum possa avere ripercussioni in vista della definizione dell'accordo con la compagnia di Abu Dhabi, Veneziani ha precisato che «Etihad non c'entra nulla». «La questione dell'integrativo e dei risparmi risale a prima che cominciasse la trattativa con il vettore arabo ed è una questione posta soltanto dall'azienda», ha concluso.

Secondo Giovanni Luciano, segretario generale della Fit Cisl, nonostante il quorum sul referendum non abbia raggiunto il quorum, l'accordo è valido. In un tweet, ha spiegato, i votanti sono stati il 30% dei lavoratori dell'Alitalia, e di questi, l'80% si è espresso a favore dell'accordo. «Circa il 30% di votanti in 25 ore di seggi aperti - afferma Luciano - con oltre 80% di sì. Quorum mancato, accordo salvo».

In una nota congiunta i sindacati firmatari dell'accordo ricordano che, essendo una consultazione abrogativa, l'accordo firmato da Filt Cgil, Fit Cisl e Ugl é valido: «Trattandosi di referendum abrogativo, sulla base delle regole dell'accordo sulla rappresentanza, resta confermata la validità degli accordi».

Il ministro per le Infrastrutture e i Trasporti, Maurizio Lupi, in merito alla trattativa tra Alitalia ed Etihad ha inoltre precisato che «non c'é nessun ultimatum, c'é solo bisogno di chiarezza». E ha proseguito ricordando l'intera vicenda: «Non abbiamo lavorato inutilmente per sette mesi - ha detto - sette mesi fa Alitalia era sull'orlo del baratro. Lo Stato pagava il fallimento su un'azienda e si parlava non di 2.950 lavoratori messi in mobilità, ma di 13.000 lavoratori e dell'intero sistema aeroportuale italiano in ginocchio. Si é lavorato seriamente e trovato un grande partner internazionale, c'é una grande opportunità di sviluppo. Etihad non dà ultimatum, ha posto delle condizioni come é giusto che sia. A queste condizioni devono rispondere lavoratori e soci privati».

«Le Poste - ha infine ribadito il ministro Lupi, a margine della visita ai cantieri del Terzo Valico a Genova-Borzoli - non mi sembra che abbiano detto di voler uscire dall'azionariato. Mi sembra che il Cda di Poste abbia deliberato la strategicità dell'investimento e abbia detto che il parere sull'accordo con Etihad é assolutamente positivo ed é una grande sinergia».
Bisogna che siano i soci, ha aggiunto Lupi, «a trovare la modalità con cui questa delibera e questo parere possa diventare una grande opportunità. Abbiamo sempre detto all'Europa e a quelli che fanno commenti contrari che l'investimento di Poste era strategico e industriale e non era aiuti di stato».

«Etihad investe in Alitalia. Consideriamo positivamente questo investimento, anche perchè ci pare che vogliamo rafforzare le partnership di Alitalia». Lo ha detto il presidente di Air France-Klm, Alexandre de Juniac, durante una conferenza stampa. Il vettore, azionista di Alitalia con il 7,01%, non parteciperà comunque all'aumento di capitale da 200-250 milioni approvato ieri dalla compagnia italiana. «No», ha risposto seccamente de Juniac, interpellato a proposito della sottoscrizione dell'aumento. Air France-Klm quindi si diluirà ulteriormente nel capitale di Alitalia, di cui è stata prima azionista con il 25%.

giovedì 17 luglio 2014

Alitalia nuovo contratto di lavoro firmato da Filt-Cgil e Fit-Cisl




Le federazioni dei lavoratori del trasporto aereo hanno imboccato strade diverse con la Filt-Cgil e la Fit-Cisl che hanno sottoscritto il nuovo contratto nazionale di lavoro e l'accordo per il contenimento del costo del lavoro nel 2014, mentre la Uil trasporti e l'Ugl hanno deciso di non firmare.

E' stata trovata un'intesa al tavolo al Ministero dei Trasporti con azienda e sindacati sul Contratto nazionale di settore e i risparmi sul costo del lavoro. La Filt-Cgil e la Fit-Cisl hanno firmato il contratto e l'accordo sui risparmi per circa 31 milioni per i prossimi 5 mesi. Non hanno invece firmato Uil-Trasporti e Ugl.

Per il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, "noi il testo del Contratto nazionale di settore" così com'è al momento "viola molti diritti delle persone che lavorano in Alitalia e non c'entra nulla con l'operazione Etihad, che non ha mai chiesto di fare un contratto nazionale. Con questo testo - prosegue - non credo ci siano le condizioni perché il rush finale abbia un esito positivo. Tutto ciò che c'era da fare con il matrimonio con Etihad avesse successo noi lo abbiamo fatto" noi abbiamo fatto l'accordo sugli esuberi, il resto attiene tra i rapporti tra aziende e lavoratori.

L'ad di Alitalia, Gabriele Del Torchio, dopo l'incontro con i sindacati ha annunciato che "Alitalia sta morendo. "Abbiamo scelto di non firmare perché il testo del contratto propostoci non prevedeva quelle modifiche a garanzia della rappresentanza", ha detto Claudio Tarlazzi, segretario generale del sindacato di categoria della Uil.

Il sindacalista ha aggiunto che "in virtù degli accordi esistenti tra confederazioni e Confindustria è allo stato dubbio che il nuovo contratto sia legittimo. Comunque noi chiederemo che venga sottoposto al voto dei lavoratori".

Intanto il Ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina fa sapere che conta di dire addio ad Alitalia nel momento in cui la compagnia tornerà in utile. «Alitalia è un caso in cui noi abbiamo sia quote azionarie che crediti e riteniamo che qui ci sia un progetto industriale che valga la pena di essere seguito e che può portarci a uscire da questa azienda nel momento in cui tornerà in utile, ovvero secondo il piano industriale nel 2017. Per cui noi supportiamo il progetto

Credo che ci siano pienamente le condizioni per concludere l’accordo», tra Alitalia ed Etihad, aveva detto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, interpellato sul nodo degli esuberi. «Il problema della Cgi va essenzialmente riferito all’accordo sulla gestione degli esuberi». Per cui, «con il consenso di tutte le altre organizzazioni e il consenso parziale della Cgil credo ci siano le condizioni» per chiudere. «La Cgil - prosegue Poletti a margine del vertice dei ministri del Lavoro e dell’Ambiente dell’Unione Europea, in corso a Milano - ha dichiarato di essere interessata e disponibile a sottoscrivere il contratto e l’accordo sulla riduzione degli oneri economici». Quanto al collocamento degli esuberi, «è collegato ai tempi dell’accordo e delle procedure di Alitalia e di Etihad», spiega il ministro, aggiungendo che «ci deve essere una richiesta da parte di Alitalia per il passaggio alla cassa integrazione per crisi per cessazione. Poi le procedure seguiranno i tempi». Poletti ricordava poi che per le persone che rimarranno non collocate «abbiamo previsto per settembre di attivare un lavoro preliminare tra Regione Lazio, ministero del Lavoro ed Enac». Si aprirà quindi «un tavolo per la predisposizione degli strumenti di supporto al ricollocamento», ha aggiunto il titolare del Welfare, concludendo che «questo può avvenire solo nel momento in cui la mobilità è decretata».

Sulla firma del contratto nazionale del trasporto aereo serve referendum tra i lavoratori, chiedono Avia e Anpac, le associazioni degli assistenti di volo e dei piloti. «Noi non firmiamo - ha detto il presidente Avia, Antonio Divietri - ci prendiamo il tempo per fare le verifiche con i lavoratori. Non è un rifiuto, ma una firma tecnica che vale dopo il referendum certificato». Per il presidente Anpac, Giovanni Galiotto, «alla luce di quanto abbiamo sentito, immaginiamo che non ci sia nulla da firmare perché l'azienda credo non ci presenti un testo non condiviso. Ci prendiamo lo spazio per consultare i nostri associati».


venerdì 11 luglio 2014

Alitalia e gli esuberi in attesa della risposta dei sindacati



«A oggi il numero degli esuberi in Alitalia si è ridotto a circa 980». Lo ha detto il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, dopo l'incontro con i sindacati. Dei 2.251 esuberi previsti dal matrimonio tra Alitalia ed Etihad, ha spiegato il ministro, «250 assistenti di volo anziché andare in mobilità avranno il contratto di solidarietà, c'è la disponibilità di Alitalia e di Etihad». Per circa mille persone si sta cercando una ricollocazione. I 980 esuberi, ha sottolineato Lupi, «andranno in mobilità con l'80% dello stipendio per 4 anni» e si utilizzerà il contratto di ricollocamento previsto dall'ultima legge di stabilità. Per Lupi la soluzione è «un grande successo» raggiunto «con lo sforzo di tutti».

Per contribuire alla soluzione degli esuberi Alitalia il governo mette in campo, per la prima volta, lo strumento dei contratti di ricollocamento previsti dalla legge di stabilità. È quanto ha reso noto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti incontrando i giornalisti uscendo dall'incontro con Alitalia e sindacati al quale ha partecipato con il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi.

«Per quanto mi riguarda - sono parole di Poletti - abbiamo messo sul tavolo la possibilità di usare sperimentalmente il contratto di ricollocamento previsto nella legge di stabilità per il quale, mi sembra, c'é già uno stanziamento di 15 milioni per la fase sperimentale».

Questo strumento - ha spiegato il ministro - consente a chi é in mobilità di fare un accordo con le agenzie del lavoro, in questo caso del Lazio, con il supporto di una unità di missione alla quale partecipano i ministeri interessati, in questo caso del Lavoro e delle Infrastrutture e Trasporti), la Regione in collaborazione con l'Enac».

«Applichiamo una cosa mai fatta prima in Italia che sperimentiamo con l'Alitalia. Non è una garanzia ma un contratto di servizio che prevede obblighi per i lavoratori, per l'agenzia e le istituzioni e rappresenta l'anticipazione delle politiche attive del lavoro che si fa fatica a far passare». Insomma, «si organizza un contratto individuale per costruire un corso di ricollocamento».

Il 12 luglio 2014 ognuno si assumerà le proprie responsabilità, perché credo sia doveroso, visto che la prossima settimana Hogan sarà in Italia, presentarsi con una risposta». «Non c'é nessuna data di ultimatum - ha sottolineato Lupi - perché avevamo già detto che la scadenza era fissata alla fine della prossima settimana, perché si possa chiudere l'accordo con le banche, i soci ed Etihad. Nessun ultimatum, nessuna rottura. Il governo chiederà che domani ci sia una risposta finale».

Questa mattina, il confronto tra azienda e sindacati confederali si è concentrato sul nodo del costo del lavoro, tema affrontato in parallelo anche al tavolo di confronto dell'azienda con i sindacati del personale navigante. Al ministero dei Trasporti, che ospita gli incontri, sono presenti i vertici di Alitalia, l'amministratore delegato Gabriele Del Torchio e il presidente Roberto Colaninno.

Il tavolo tra governo, azienda e Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl era iniziato ieri mattina, seguito, in serata, da un secondo confronto parallelo con le associazioni professionali di piloti e assistenti di volo Anpac, Avia e Anpav e l'Usb che è andato avanti per gran parte della nottata. Forte la tensione all'interno del fronte sindacale a causa delle posizioni differenziate sulla definizione del nuovo contratto di lavoro del settore del trasporto aereo (Filt, Fit, Ugl favorevoli e Uilt, Anpac, Avia e Anpav contrari), che è entrato nella partita sui 2.251 esuberi previsti dal piano di Etihad. Altro tema affrontato ieri è stato quello relativo al recupero di ulteriori 48 milioni di risparmi sul costo del lavoro, che ancora mancano per arrivare alla cifra complessiva dei 128 milioni di euro, previsti dal piano messo a punto dall'ad Alitalia Del Torchio.



lunedì 2 giugno 2014

Etihad, accordo con Alitalia investimenti per 600 mln



In attesa dell’ atto finale dell’accordo, Alitalia ed Etihad esordiscono con il primo comunicato commerciale di prodotto congiunto lanciando il programma turistico di tariffe agevolate "Italiani nel Mondo" ("Made of Italians") 2015, pensato in occasione dell'Expo di Milano del prossimo anno. Il programma viene presentato  simultaneamente in 14 ambasciate e consolati in occasione della festa della Repubblica.

"Siamo lieti di poter andare avanti con questa operazione e confidiamo di raggiungere la positiva conclusione della transazione proposta ad Alitalia": le parole del numero uno di Etihad, James Hogan, hanno segnato la svolta positiva che era attesa nella trattativa con Alitalia. La compagnia di Abu Dhabi ha così dato il via libera alla struttura dell'operazione, ed il sì a passare al rush finale della trattativa per l'ultima messa a punto dell'operazione. Un passaggio in cui, con la lettera di risposta attesa da quando il 15 maggio Alitalia aveva mandato ad Abu Dhabi l'ultima proposta, la compagnia emiratina fissa "le condizioni e i criteri" per l'investimento, quindi segna la strada per le limature e gli ultimi nodi da sciogliere. Dagli Emirati c'è la disponibilità ad un investimento intorno ai 600 milioni di euro, preannuncia il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, che sottolinea l'importanza del passaggio ("un giorno importante, direi decisivo"), esclude che il progetto possa portare ad una bad company e avverte: "Adesso ognuno si faccia carico delle sue responsabilità". In gioco, tra i principali nodi da sciogliere, le banche azioniste-creditrici di Alitalia ("per l'accordo sul debito che Abu Dhabi chiede di cancellare: una trattativa che potrebbe portare in parte ad una conversione in quote azionarie), ed i sindacati e lo stesso governo (per la partita su 2.600-3mila esuberi e gli ammortizzatori sociali). L'attesa è per i contenuti della lettera di Etihad, base per la trattativa finale per l'ingresso in Alitalia con una quota intorno al 49% (un passo sotto lo stop Ue agli operatori stranieri): ci vorrà circa un mese per la messa a punto definitiva, prevedono gli addetti ai lavori.

Resta ancora tutta da giocare la partita sugli esuberi che oscillano tra le 3 mila e le 2.600 unità. Se infatti la Cgil evita di commentare, in attesa di conoscere i numeri reali dell'operazione, il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, mette subito in chiaro che e' ancora prematuro parlare di esuberi''. ''L'accordo con la compagnia araba - sottolinea Bonanni - apre una prospettiva importante per Alitalia, soprattutto sul piano intercontinentale. Se ci sara', finalmente, questo nuovo piano di sviluppo che noi auspichiamo da tempo, non ci saranno esuberi e potranno essere riassorbiti via via tutti i lavoratori. Ma e' chiaro che ora dobbiamo venirci tutti incontro: governo, compagnia e sindacati''. Per il leader della Cisl ''bisogna costruire una azienda solida che salvaguardi anche l'indotto. E' sbagliato parlare subito di esuberi. Non bisogna fare terrorismo sulla pelle dei lavoratori''. Anche dal segretario generale della Uilt, Claudio Tarlazzi, arriva un invito alla cautela. ''Mantenere grande cautela per quanto riguarda gli esuberi previsti dall'accordo - afferma il sindacalista -, innanzitutto bisognerà analizzare il piano industriale per il risanamento e lo sviluppo dell'Azienda e in tale contesto dovrà essere fatta un'attenta analisi sulla dimensione degli organici in relazione al piano industriale e solo a valle di tale analisi si potrà comprendere la dimensione degli eventuali esuberi''. ''Rivendichiamo - conclude Tarlazzi - che in una fase così delicata, riguardante tanti posti di lavoro - conclude Tarlazzi -, si concretizzi quanto finora annunciato, servono tutele. Il sindacato ha finora dimostrato senso di responsabilità e continuerà fino al buon esito, ci auguriamo, dell'accordo''. A smorzare i toni interviene il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, rassicurando che ''si troverà sicuramente un compromesso sugli esuberi, anche grazie alla responsabilità dei sindacati e all'impegno del governo su questo fronte''. Resta ora da capire quando saranno convocati i sindacati. Evidentemente ci sarà un doppio passaggio: una prima convocazione da parte dell'Alitalia e un passaggio finale con il Governo che dovrà garantire le tutele agli eventuali esuberi. Intanto per venerdì prossimo dovrebbe riunirsi il Cda dell'Alitalia per una prima valutazione delle condizioni di Etihad, ma le due compagnie già si preparano a lanciare offerte commerciali integrate nell'ambito del programma turistico ''Italiani nel Mondo'' 2015 per l'Expo in programma l'anno prossimo, offrendo tariffe promozionali comuni.
Ora si dovrebbe aprire un percorso che durerà ancora qualche settimana, circa un mese, per scrivere l’intesa in ogni dettaglio e arrivare al varo finale e definitivo dell’operazione. La trattativa «sta andando avanti, stiamo facendo progressi», diceva nei giorni scorsi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Lunedì scorso il board della compagnia aerea di Abu Dhabi si è riunito approvando la cornice dell’accordo sul modello della newco in cui dagli Emirati sono pronti a investire circa 500 milioni (per il ministro Lupi 600) per una quota tra il 40 ed il 49%, restando un passo sotto i vincoli europei all’ingresso di operatori stranieri.

Il nodo della gestione esuberi, richiederà un doppio passaggio: una intesa sindacale, e l’intervento del Governo sul fronte degli ammortizzatori sociali da mettere in campo. Per quanto di competenza dell’esecutivo appare come un percorso in discesa; il ministro del Lavoro Giuliano Poletti è stato chiaro: solo quando sarà noto il progetto, e quindi solo quando saranno chiari i numeri dell’impatto occupazionale, il governo valuterà come intervenire, ma lo farà sicuramente come è stato «sempre fatto per tutte le imprese». La stessa posizione era stata espressa da Maurizio Lupi: vediamo l’accordo, valutiamo il piano industriale, poi si vedrà il tema dell’occupazione insieme al ministro Poletti.

Altro punto chiave, il punto forse più delicato, l’intesa finale con le banche azioniste e creditrici: Etihad vorrebbe che il debito da 560 milioni restasse fuori dalla newco, sulle spalle degli attuali soci, cancellato. Le banche sarebbero disposte a farlo solo in parte, ed ad andare comunque incontro alle richieste di Etihad per una diversa strada, la conversione della quota restante, intorno ai due terzi del debito, in quote azionarie della nuova società da creare con il vettore emiratino.


sabato 3 maggio 2014

Susanna Camusso contro il decreto Lavoro, “aumenta la precarizzazione”



Se le proposte di modifica al decreto Lavoro verranno confermate, si andrà a "peggiorare ulteriormente" un decreto che era già costruito male e non trovava una soluzione al tema della precarietà. "La legislazione corrente sul lavoro, non permette di dire ai giovani che hanno prospettive molteplici di occupazione". "La legislazione corrente sul lavoro, non permette di dire ai giovani che hanno prospettive molteplici di occupazione. "L'unica cosa certa per un giovane - ha aggiunto - e' il lavoro a chiamata, quello a progetto e cosi' via, senza poter sapere cosa accadra' domani".

La segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, boccia gli emendamenti apportati al decreto su contratti a termine e apprendistato sul decreto Lavoro. «Abbiamo visto delle indiscrezioni, non abbiamo testi finali e ci riserviamo di vederli, se però gli annunci corrispondono alla realtà mi pare che si sia ulteriormente peggiorato un decreto che già non andava bene» ha detto, a margine di un incontro delle Giornate del Lavoro.

No della Cgil alla trasformazione del tetto del 20% per l'uso dei contratti a termine in sanzione pecuniaria per quelle aziende che sforano il limite. «Mi pare che si continui a sancire la precarietà come strada che si vuole utilizzare. Così si toglie l'unico argomento e si passa alle sanzioni pecuniarie che e' un modo per dire che non c'e' più un vincolo e un'idea di limitazione e che ci sarà un uso illimitato, e anche illegittimo, di forme di lavoro a termine» dice la Camusso.

Secondo la Camusso, «desta qualche perplessità l'annuncio di voler legare questo decreto al contratto unico a tutele crescenti: così il contratto unico resta un mistero della fede». «La sensazione - ha proseguito - é che la distanza tra la dichiarata volontà e i provvedimenti sia sempre più ampia». «Bisogna decidere se il lavoro é lo strumento con il quale si esce dalla crisi o se si pensa che é sufficiente continuare a svalorizzarlo. L'unica strada é il lavoro».

Concorda con Camusso il segretario Ugl, Giovanni Centrella: "Così si rischia solo di penalizzare ulteriormente il mondo del lavoro. Prevedere una sanzione e non più la stabilizzazione del lavoratore precario non porterà le aziende ad assumere, anzi, il rischio è che si verifichi proprio il contrario".

Raffaele Bonanni: chi non rispetta le regole assuma a tempo indeterminato. «Alt! Chi non rispetta regole tempo determinato deve assumere a tempo indeterminato, altro e' ingiusto». Lo scrive in un tweet, rivolto al premier Matteo Renzi con l'hashtag #renzirispettasindacato, il segretario generale della Cisl.

Luigi Angeletti: forte multa per chi sfora tetto precari è deterrente. L'emendamento al Dl lavoro presentato dal Governo al Senato, che prevede la trasformazione dell'obbligo di assunzione in una multa per le imprese che superino il tetto del 20% di contratti a tempo determinato, «non sarà un grande problema» spiega il leader della Ui.

«Sono perché l'approvino subito, così evitiamo di discutere di cose quasi inutili e abbastanza marginali - ha chiarito Angeletti - non provoca niente né nel bene né nel male». Secondo il segretario generale della Uil «la cosa migliore sarebbe stata che la percentuale per i contratti a termine sull'insieme dell'organico fosse stabilita, come avveniva nel passato, per via contrattuale». L'emendamento dell'esecutivo non rappresenterà un problema «perchè tanto le aziende non sono disposte a pagare. Hanno già cominciato a dire che la multa è troppo elevata».

Hanno peggiorato un decreto che già non andava bene. In sintesi questo il giudizio della numero uno della Cgil Susanna Camusso dopo l'emendamento sul decreto lavoro: che propone, secondo la Cgil, "modalità per cui l'unica strada è la precarizzazione", e la riassunzione trasformata in modalità pecuniaria "è il via libera all'illegittimità dei rapporti".

E a chi parla di Cgil Act manda a dire: "si mettano d'accordo con il cervello, perché ogni due ore passiamo dall'inesistenza del ruolo e del valore dei sindacati al fatto che condizionano tutto”.



sabato 8 febbraio 2014

Electrolux cambia il piano industriale: piano B, Porcia non chiude



Lo stabilimento di Porcia non chiude, il piano per Susegana può essere migliorato, il taglio dell’orario di lavoro a 6 ore sarà messo in campo solo se la perdita di salario sarà sostenuta da ammortizzatori sociali: Electrolux cambia rotta, ed in una lettera indirizzata a Governo e sindacati preannuncia un «piano B», la disponibilità a superare i nodi della vertenza che avevano sollevato più preoccupazione.

Electrolux cambia rotta, ed in una lettera indirizzata a Governo e sindacati ha preannunciato, la disponibilità a superare i nodi della vertenza. La lettera è arrivata nel tardo pomeriggio ai sindacati. "Annuncia che ci sarà un nuovo piano industriale, con investimenti per Porcia, e miglioramenti al piano per Susegana", ha spiegato spiega il coordinatore nazionale per il settore elettrodomestici della Uilm, Gianluca Ficco; E "viene chiarito che lo schema di lavoro a 6 ore è da intendersi esclusivamente come modalità di utilizzo di ammortizzatori sociali". Il gruppo svedese "fa marcia indietro, la lotta dei lavoratori ha pagato. La convinzione di lottare per difendere fabbrica, salari e prospettive industriali ha vinto", commenta il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: "L'azienda si è evidentemente resa conto che scaricare tutto il peso sui lavoratori era sbagliato. Ora il confronto riparte su basi diverse".

Il gruppo svedese «fa marcia indietro, la lotta dei lavoratori ha pagato. La convinzione di lottare per difendere fabbrica, salari e prospettive industriali ha vinto», commenta il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: «L’azienda si è evidentemente resa conto che scaricare tutto il peso sui lavoratori era sbagliato. Ora il confronto riparte su basi diverse».

Poi contratti di solidarietà e cassa integrazione, ed uno studio di valutazione per conservare allo stabilimento di Susegana la produzione del frigorifero modello Cairo 3, secondo le prime indicazioni, era destinata all'Ungheria dal 2015.

La Rsu di Susegana (Treviso) nel pomeriggio aveva riferito dell’intenzione della direzione del gruppo di convocare a breve, pare entro mercoledì prossimo, un incontro con i vertici sindacali nazionali e il coordinamento delle Rsu; E, sulla base delle prime notizie trapelate ma ancora senza conferma, aveva ipotizzato che in arrivo ci fosse la formalizzazione del superamento del piano `A´, quello dei tagli, e la predisposizione di un piano alternativo, indicandone i possibili contenuti: una soluzione alternativa per lo stabilimento di Porcia (Pordenone) senza la chiusura, una soluzione per il contenimento del costo del prodotto senza intaccare il salario. Poi contratti di solidarietà e cassa integrazione, ed uno studio di valutazione per conservare allo stabilimento di Susegana la produzione del frigorifero modello Cairo 3, secondo le prime indicazioni, era destinata all’Ungheria dal 2015.


lunedì 27 gennaio 2014

Electrolux, pesante taglio dei salari e chiusura in Friuli



Si è tenuto a Mestre l'incontro tra le parti sociali e l'azienda svedese di elettrodomestici che prevede la riduzione dei salari da 1.400 a 700 euro. I sindacati annunciano: "Andremo da Letta. Piano irricevibile, sarà lotta dura". La presidente del Friuli Serracchiani: "Soluzione è una: mantenere i 4 siti aperti".

Sospendere gli effetti della contrattazione di secondo livello che vale circa 130 euro al mese sugli attuali stipendi medi da 1.350 e andare verso la chiusura dello stabilimento di Porcia (Pordenone). In più taglio dell'80% dei 2.700 euro di premio aziendale e riduzione delle orario a 6 ore. Sono le richieste shock presentate da Electrolux ai sindacati, secondo le fonti consultate dal Sole 24 Ore, nel corso della riunione fiume di oggi a Mestre.

Il gruppo svedese ha lavorato ad una proposta che punta a ridurre gli attuali 24 euro di costo orario di 3-5 euro medi. Effetto della concorrenza asiatica, coreani di Samsung ed Lg in testa. Nessuno al momento può garantire, per esempio, che neppure lo stabilimento in Polonia si salvi dai complessivi 2.000 tagli previsti dalla multinazionale, di cui 1.500 in Europa.

Altre fonti hanno parlato di un'alternativa ancora più dura da parte di Electrolux: riduzione di circa il 40% di stipendio, per salvare i quattro stabilimenti italiani. In questo caso si tratterebbe di accettare un taglio dei salari dagli attuali 1.400 Euro mensili a 700-800 euro, sempre con una riduzione dell'orario a 6 ore. Tra le prospettive resterebbe valido un numero di esuberi aumentato rispetto all'inizio della trattativa: circa 700 fra Solaro (Milano), Forlì e Susegana (Treviso), che producono lavastoviglie, forni e piani cottura, frigoriferi.

Resta tuttavia in primo piano l'ipotesi chiusura per lo stabilimento Porcia (Pordenone) - dove si producono frigoriferi, 1.200 dipendenti in tutto, ma 2.000 lavoratori coinvolti con l'indotto - per il quale nei giorni scorsi prima Unindustria e poi la Regione hanno presentato il proprio piano per trattenere la multinazionale. Per il sito produttivo friulano l'azienda svedese non ha nemmeno presentato un piano industriale. Sul lavoro a Porcia il taglio sarebbe stimato in 7,50 euro l'ora ma il costo del prodotto finito graverebbe di 30 euro a pezzo mandando fuori mercato la produzione. A questo punto sono indispensabili interventi della Regione e del Governo. Ogni soluzione è da verificare.

La minaccia implicita è che se il piano non dovesse essere accettato verrebbero bloccati in toto gli investimenti che il gruppo avrebbe intenzione di fare in Italia. Qualora, invece, il piano fosse comunque approvato dai sindacati, si prevedono investimenti per 28 milioni di euro a Forlì, 40 milioni a Solaro e 22 a Susegana. Per la decisione definitiva c'è tempo fino ad aprile.

«Ora andremo a parlare della nostra vicenda che è paradigmatica per l'intero Paese con il premier Enrico Letta». È unanime la posizione dei sindacalisti che hanno incontrato a Mestre il gruppo Electrolux per affrontare il futuro dei quattro stabilimenti italiani. «Abbiamo atteso invano un confronto con il ministro per lo Sviluppo, Flavio Zanonato, che non c'è mai stato - hanno detto i delegati e le Rsu - ora andiamo direttamente da Letta perché Electrolux per sbarcare in Italia ha usato soldi degli italiani ed ora per guardare ad Est utilizza fondi Ue che in parte sono sempre nostri».

«Quello che temevamo è successo. Electrolux ha presentato un piano che é sostanzialmente irricevibile ed impedisce alla parte sindacale di proseguire il confronto con l'azienda. È inutile rivolgere al gruppo dirigente della multinazionale svedese dell'elettrodomestico altre valutazioni», ha dichiarato Rocco Palombella, segretario generale della Uilm. «Da tempo - ha spiegato Palombella - denunciavamo il rischio di desertificazioni industriali e le proposte di riorganizzazione ascoltate oggi a Mestre inducono il Paese a rischiare tale disastro se il governo non riesce ad avanzare un piano organico di azioni mirate per tutelare il settore manifatturiero».

E l'azienda? Prima di prendere una decisione definitiva sullo stabilimento di Porcia, Electrolux considera che «debbano essere ricevute e considerate ulteriori potenziali proposte da parte di tutti gli attori coinvolti, che consentano alla fabbrica di colmare i gap ancora presenti», ha commentato il responsabile della contrattazione aziendale per Electrolux Italia, Marco Mondini, al termine della giornata di confronto a Mestre. Negli scorsi giorni la Regione Friuli Venezia Giulia ha presentato un piano di interventi per rilanciare l'industria regionale, e Unindustria Pordenone ha illustrato un contratto d'impresa che punta a ridurre il costo unitario del lavoro del 20%. «La decisione dell'azienda - ha concluso Mondini - verrà presa solo alla fine dei prossimi confronti e tenendo conto degli eventuali nuovi contributi che dovessero essere posti al tavolo negoziale».

«Il problema è che i prodotti italiani in tutto il campo dell'elettrodomestico sono di notevole qualità ma risentono di costi produttivi superiori a quelli dei nostri concorrenti», ha sottolineato il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato a margine di un convegno alla Farnesina, interpellato sull'incontro tra sindacati e la direzione italiana di Electrolux. «Sentiamo che proposta emerge», ha aggiunto il ministro, rimarcando l'impegno a «dare una mano a un comparto strategico per la nostra industria».

«Letta e Zanonato ci convochino immediatamente per valutare assieme le proposte da rilanciare alla multinazionale: il Governo non faccia il notaio della volontà svedese». Così in serata la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, intervenendo sulla vertenza Electrolux. «È inaccettabile - ha aggiunto - che il Governo assista inerte mentre accade quello che si temeva e che abbiamo denunciato. Per il Friuli Venezia Giulia la chiusura di Porcia è una prospettiva che non prendiamo in considerazione».

La vittima predestinata è lo stabilimento di Porcia (Pordenone), dove oltre al taglio più pesante sul fronte salariale non è previsto alcun piano industriale; questo perché le lavatrici prodotte nella fabbrica friulana costano, a pezzo, 30 euro di troppo, e sono vittima della concorrenza dei marchi Far Est, Samsung ed Lg. Per gli altri tre stabilimenti, ci sono comunque dei tagli lineari ma vi sarebbero come contropartita – se il piano passasse – investimenti di 40 milioni di euro per Solaro, 28 per Forlì e 22 per Susegana.


martedì 7 gennaio 2014

Scuola dal 2014, professori perdono 150 euro al mese in busta paga


Rientro in classe acre per gli insegnanti italiani. Alla ripresa delle lezioni, dopo la pausa natalizia 2013, si sono trovati di fronte alla sorpresa di un taglio di 150 euro mensili in busta paga.

Il ministero dell'Economia, chiede la restituzione degli scatti stipendiali già percepiti nel 2013 con una trattenuta appunto di 150 euro mensili, a partire da gennaio 2014. Un'iniziativa che ha incendiato gli animi.

I sindacati, infuriati, minacciano lo sciopero. E il ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, si é schierata al loro fianco scrivendo a Fabrizio Saccomanni. Al titolare del dicastero dell'Economia ha chiesto di sospendere la procedura di recupero degli "scatti" stipendiali per il 2013 segnalando,, l'urgenza di un intervento in questo senso dal momento - ha spiegato nella missiva - che nei prossimi giorni si procederà ai conteggi per gli stipendi di gennaio e quindi a operare le trattenute per il recupero della tranche prevista.

Ma il ministero dell'Economia ha fatto notare che "il recupero delle somme é un atto dovuto da parte dell'amministrazione perché il Dpr n.122 entrato in vigore il 9 novembre ha esteso il blocco degli scatti a tutto il 2013". Poi - spiegano al Mef - "se all'interno del ministero dell'Istruzione si riescono a individuare economie, razionalizzazioni di spesa che consentono di recuperare una cifra sufficiente da utilizzare per il pagamento dello scatto in questione ovviamente questo si farà".

I sindacati già da giorni protestano con forza. "Le istruzioni impartite dal Ministero dell'Economia per un graduale recupero degli scatti maturati nel 2012 costituiscono una decisione inaccettabile che va bloccata, una vera e propria provocazione che se attuata non potrà rimanere senza risposta" ha tuonato il segretario generale della Cisl Scuola Francesco Scrima. E dalla Gilda é arrivato un aut aut: "Siamo stanchi di aspettare: vengano restituiti ai docenti gli scatti degli stipendi 2012 o sarà sciopero generale". Per la Flc-Cgil si assiste "ancora una volta a un pesante intervento sui diritti acquisiti dei lavoratori della scuola, che saranno costretti a restituire le somme legittimamente e giustamente percepite".

"La scuola - ricorda il sindacato guidato da Mimmo Pantaleo - ha già contribuito pesantemente al risanamento dei conti pubblici, finanziandolo con i tagli di personale (8 miliardi di euro), con il blocco del contratto di lavoro, con il taglio del salario e con l'aumento dei carichi di lavoro". Il segretario generale della Uil scuola, Massimo Di Menna, parla di "situazione gravissima, mai accaduta prima". La nota del ministero dell'Economia del 27 dicembre - ricorda - "produce come effetto che, senza che nessuno sia stato avvertito, senza che sia stata fornita nessuna spiegazione, si procede con il prelievo nello stipendio. Come a dire, poiché la scuola è centrale nelle scelte di Governo, apriamo il nuovo anno togliendo parte della retribuzione di quelli che l'avevano legittimamente percepita, perché le regole sono cambiate. Il decreto, che viene interpretato in modo retroattivo, è di novembre e decide di togliere gli aumenti maturati a gennaio. Ed è qui il pasticcio vero, con un Governo che, in questa vicenda, infila un errore dopo l'altro, trattando il personale della scuola anziché come lavoratori titolari di diritti, come sudditi".

Il segretario generale della Uil scuola, Massimo Di Menna, parla di «situazione gravissima, mai accaduta prima». La nota del ministero dell'Economia del 27 dicembre - ricorda - «produce come effetto che, senza che nessuno sia stato avvertito, senza che sia stata fornita nessuna spiegazione, si procede con il prelievo nello stipendio. Come a dire, poichè la scuola è centrale nelle scelte di Governo, apriamo il nuovo anno togliendo parte della retribuzione di quelli che l'avevano legittimamente percepita, perchè le regole sono cambiate. Il decreto, che viene interpretato in modo retroattivo, è di novembre e decide di togliere gli aumenti maturati a gennaio. Ed è qui il pasticcio vero, con un Governo che, in questa vicenda, infila un errore dopo l'altro, trattando il personale della scuola anziché come lavoratori titolari di diritti, come sudditi».

«Le istruzioni impartite dal Ministero dell'Economia per un graduale recupero degli scatti maturati nel 2012 costituiscono una decisione inaccettabile che va bloccata, una vera e propria provocazione che se attuata non potrà rimanere senza risposta» ha tuonato il segretario generale della Cisl Scuola Francesco Scrima.

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